Una rilevante influenza sul diritto del lavoro nazionale è esercitata dalle norme dei Trattati in materia economica, in base all’interpretazione che ne offre la Corte di Giustizia e soprattutto all’applicazione che ne è data dalle istituzioni europee. Le più recenti pronunzie della Corte di Giustizia esprimono un orientamento che porterebbe a delineare un equilibrio tra libertà economiche e libertà sindacali diverso da quello sul quale è stato fondato lo sviluppo dei rapporti tra impresa e azienda sindacale.

L’obiettivo di regolare la concorrenza è connaturato all’attività del sindacato, il quale agisce attraverso strumenti che inevitabilmente incidono sulla libertà economica dell’imprenditore: il contratto collettivo, infatti, mira ad imporre condizioni minime applicabile a tutti i lavoratori; lo sciopero mira a piegare le resistenze dell’imprenditore e, per definizione, è normalmente destinato a creare un danno alla produzione dell’impresa.

La Corte di Giustizia da atto che contrattazione collettiva e sciopero sono diritti fondamentali, ma afferma che essi, dovendo essere esercitati “conformemente al diritto dell’Unione”, sono necessariamente sottoposti ad un bilanciamento con le libertà economiche fondamentali, e in particolare con la libertà della prestazione di servizi e la libertà di stabilimento. La finalità di tutela dei lavoratori perseguita dal sindacato può costituire una “ragione imperativa di interesse generale” idonea a giustificare una restrizione delle libertà economiche, ma a condizione che persegua un legittimo obiettivo e che, in base ad un giudizio di proporzionalità, non vada al di là di ciò che è necessario per conseguire tale obiettivo.

Il giudice nazionale, quindi, sarebbe chiamato ad accertare: quale sia l’obiettivo dell’azione sindacale; se esso costituisca reazione ad un comportamento dell’impresa lesivo dei rapporti di lavoro e delle condizioni contrattuali; se tale reazione sia proporzionata a quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo. La giurisprudenza della Corte di Giustizia assume rilievo anche sotto un ulteriore profilo.

L’Unione Europea ha emanato una direttiva che individua le condizioni minime “di lavoro e di occupazione” che devono essere applicate ai lavoratori distaccati da uno Stato membro ad un altro; allo stesso tempo, consente che i legislatori nazionali prevedano l’applicazione di ulteriori condizioni previste dal diritto interno, se e nella misura in cui “si tratti di disposizioni di ordine pubblico”.

La Corte di Giustizia ha affermato, però, che tale facoltà va interpretata in senso restrittivo, poiché la clausola cd. di “ordine pubblico” può essere invocata “solamente in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività”. Tale affermazione esclude la possibilità di attribuire indistintamente alle norme nazionali di tutela del lavoro la natura di disposizioni di ordine pubblico, poiché ciò realizzerebbe una eccessiva restrizione della libertà della prestazione di servizi da parte delle imprese di altri Stati membri.

Di conseguenza, potrebbero anche sorgere dubbi in ordine alla compatibilità con il diritto dell’Unione della disciplina nazionale, la quale prevede l’applicazione ai lavoratori distaccati in Italia di tutte le condizioni previste da disposizioni nazionali di legge o della contrattazione collettiva.

 

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