Nel 2000, a Nizza, è stata poi elaborata la nuova Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, contenente un ampio ed “aggiornato” catalogo dei diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini europei e delle persone che vivono nel territorio dell’Unione.

È rilevante inoltre la riarticolazione degli obiettivi generali effettuata dal nuovo Trattato sull’Unione Europea, considerato che tra di essi vi è il richiamo ad una “economia sociale di mercato fortemente competitiva”, che “mira alla piena occupazione e al progresso sociale”, “combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni”, “promuove la giustizia e la protezione sociale”, “la parità tra donne e uomini”, e “la coesione economica, sociale e territoriale”.

Il tutto nell’ambito di un sistema di valori che è rappresentato dal “rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto”, nonché dal “rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. L’esame del diritto “primario” dell’Unione Europea consente di affermare che essa ha assunto una dimensione non soltanto economica, ma anche sociale.

Questa dimensione, tuttavia, ha una consistenza limitata e circoscritta, perché opera proprio sul presupposto che i singoli Stati membri conservino un ruolo da protagonista nella definizione degli assetti dei sistemi nazionali di welfare. Ed infatti, restano del tutto escluse dalle competenze dell’Unione Europea alcune materie importanti, quali sono quelle riguardanti le retribuzioni, il diritto di associazione, il diritto di sciopero e il diritto di serrata.

Mentre la competenza su altre materie, come quelle riguardanti la sicurezza sociale, la protezione in caso di risoluzione del contratto di lavoro, la rappresentanza e difesa collettiva, è esercitabile con estrema difficoltà, essendo necessaria la condizione dell’unanimità dei consensi.

 

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