Il verificarsi dell’infortunio, con la morte o le lesioni colpose del lavoratore, dà luogo anche a responsabilità civile, che può ridursi, senza che venga del tutto esclusa quando vi sia la colpa dello stesso lavoratore infortunato; tuttavia si afferma un esonero completo del datore da ogni responsabilità quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità e dell’assoluta imprevedibilità anche in considerazione dell’esperienza lavorativa del dipendente (Cass. 13 ottobre 2000, n. 13690).
Si tratta di una responsabilità contrattuale che deriva dalla violazione di un’obbligazione di correttezza, integrativa del contratto. La natura contrattuale della responsabilità dovrebbe comportare, ai sensi dell’art. 1218 cc., che il lavoratore dia la prova dell’inadempimento, senza dover dimostrare il nesso di causalità con l’infortunio verificatosi; spetterebbe poi al datore provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Tuttavia la giurisprudenza richiede che il lavoratore dimostri il nesso di causalità tra inadempimento ed infortunio, ricadendo sul datore soltanto la prova della non imputabilità dell’inadempimento.
Responsabilità extracontrattuale nei confronti dei parenti. La pretesa del coniuge del lavoratore infortunato al risarcimento del danno morale sarebbe, secondo una parte della giurisprudenza, estranea al rapporto di lavoro essendo fatta valere dal coniuge, o parente, che è terzo rispetto al rapporto di lavoro, con conseguente giurisdizione del giudice civile.
La natura contrattuale della responsabilità ha importanza anche al fine della prescrizione, che è quella ordinaria decennale (art.2946 cc.), e non quella breve (art.2947 cc.) per le ipotesi della responsabilità extracontrattuale o aquiliana.
Poiché la sicurezza oltre ad essere oggetto dell’obbligazione è anche il contenuto di un dovere sanzionato penalmente, la responsabilità civile si configura altresì come responsabilità aquiliana, con conseguente allargamento della responsabilità anche oltre i confini del contratto. Siamo in presenza, in ogni caso, di una responsabilità soggettiva o per colpa, come risulta dall’art.2050 cc., in base al quale nell’esercizio delle attività pericolose la responsabilità è esclusa se l’imprenditore prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
La responsabilità oggettiva dell’imprenditore si ha soltanto, alla stregua dell’art. 2049 cc., se l’infortunio si sia verificato per un comportamento illecito di un dipendente dello stesso imprenditore, commesso nell’esercizio delle incombenze cui è adibito.
La rilevanza del danno morale e biologico. Il danno rilevante ai fini della responsabilità del datore non è soltanto quello economico, consistente nella perdita o nella riduzione della capacità lavorativa, ma anche il danno morale (art. 2059 cc.), cioè la sofferenza del lavoratore per le lesioni subite o dei parenti per la morte del lavoratore. Assume, inoltre, rilevanza il danno biologico, ossia il pregiudizio all’integrità fisica e psichica, che si riflette sulla vita relazionale ed esistenziale del lavoratore.