Condotta antisindacale. L’art. 28 st. Iv. ha introdotto nel nostro ordi­namento una speciale ipotesi d’illecito civile, che è la condotta antisinda­cale, definendosi come tale qualsiasi comportamento del datore di lavoro diretto ad impedire o ostacolare la libertà, l’attività sindacale o il diritto di sciopero. Pur con molte incertezze prevale in giurisprudenza la tesi che si tratti di un illecito soggettivo che richiede l’intenzione del datore di ostacolare o impedire l’esercizio delle libertà sindacali o del di­ritto di sciopero, mentre è contrastato se occorra anche un comportamen­to oggettivamente pregiudizievole (Cass. 7 marzo 2001, n. 3298).

La duplice configurazione della plurioffensività. La condotta antisindacale presenta anche l’altra caratteristica di essere un comportamento pluriof­fensivo derivante dall’intreccio che esiste tra situazioni in­dividuali e situazioni collettive. In certi casi, come nella preclusione da parte del datore della costitu­zione delle rappresentanze sindacali aziendali, dello svolgimento dell’as­semblea o del referendum o della disponibilità di locali o di spazi per l’af­fissione di notizie sindacali o di lavoro, viene leso l’interesse collettivo delle rappresentanze sindacali aziendali titolari dei relativi diritti; ed indi­rettamente viene leso l’interesse individuale a partecipare all’ assemblea, al referendum ad usufruire dei locali, delle notizie ecc..

Occorre anche il carattere dell’attualità della condotta antisindacale, la quale non viene intesa nel senso stretto della continuità del comporta­mento antisindacale, essendo sufficiente che permangano gli effetti sia ai fini del danno che ne deriva sia ai fini dell’azione intimidatoria.

Casistica: rifiuto di trattative con organizzazioni rappresentative. Il rifiuto del datore di entrare in trattative o di stipulare un contratto collettivo non è condotta antisindacale, in quanto è un comportamento che rientra nell’ambito del conflitto, espressione della libertà contrattuale del datore; se, tuttavia, il datore si rifiuta di entrare in trattative con alcuni sindacati rappresentativi, mentre accetta il contatto con altri, soprattutto se meno rappresentativi, incorre in condotta antisindacale in quanto, pur non essendo tenuto a parità di trattamento nei confronti di tutte le orga­nizzazioni sindacali, impedisce ad alcune, pur rappresentative, di esercita­re l’attività sindacale.

Informazione e consultazione. È certamente condotta antisindacale la violazione della clausola d’informazione prevista dal contratto collettivo o dalla stessa legge; poiché l’obbligo d’informazione è finalizzato all’incon­tro dell’azienda con gli organismi sindacali, l’antisindacalità deve esclu­dersi quando l’incontro si sia verificato ed abbia avuto ad oggetto gli a­spetti essenziali della consultazione sindacale.

Parte obbligatoria e parte normativa. La disapplicazione delle altre clausole obbligatorie del contratto collettivo non configura la condotta antisindacale quando deriva da un contrasto di interpretazione e non comporti un oggettivo impedimento all’ esercizio della libertà sindacale o del diritto di sciopero, come la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.

Non è condot­ta antisindacale la disapplicazione della parte normativa del contratto, sempre che la stessa disapplicazione riguardi soltanto alcuni prestatori, senza presentare i caratteri della generalità e della reiterazione; in presenza dei quali potrebbe viceversa configurarsi la condotta antisindacale in quanto si avrebbe un comportamento obiettivamente lesivo della dignità e del prestigio del sindacato.

I comportamenti antisciopero o lesivi dei diritti sindacali. È condotta antisindacale qualsiasi comportamento diretto a scoraggiare la partecipa­zione ad uno sciopero, come una speciale indennità a chi non aderisce o la minaccia di trattenere l’intera retribuzione anche nel caso di uno sciopero a singhiozzo. Si ritiene che sia consentito al datore di adibire i lavoratori che non partecipino allo sciopero alle mansioni dei lavoratori in sciopero o anche a mansioni inferiori (c.d. crumiraggio interno); è viceversa vietato il c.d. crumiraggio esterno, ossia l’assunzione di lavoratori a termine in sostituzione dei lavoratori assenti per sciopero, espressamente vietata dall’art. 3 lett. a d.lgs. 368/2001. Possono costituire condotta antisindacale trattamenti differenziati a favore di alcuni lavoratori, ma soltanto se sussistono elementi precisi che possano qualificare il trattamento differenziato come atto volto a contra­stare o limitare l’esercizio dell’attività sindacale o dello sciopero (C. Ap­pello Milano, 18 settembre 2002).

La preclusione a sindacalisti esterni di partecipare ad assemblee azien­dali in mancanza dei requisiti di rappresentatività richiesti dall’art. 20 co. 3 st. lv. non costituisce condotta antisindacale.

La procedura: la legittimazione attiva e passiva. Contro la condotta antisinda­cale può presentare, come legittimato attivo, ricorso al giudice del lavoro l’organismo locale del sindacato nazionale, sempre che vi abbia interesse; affinché sussista l’interesse occorre che presso l’azienda dove si è tenuta la condotta antisindacale vi sia un certo numero di lavoratori iscritti o co­munque aderenti all’ associazione sindacale.

Anche la condotta antisindacale della pubblica amministrazione, nel settore del pubblico impiego privatizzato, rientra nella giurisdizione del giudice del lavoro pure quando la situazione lesa non è un diritto colletti­vo, ma un diritto del lavoratore collegato ad interessi sindacali. La giuri­sdizione del giudice del lavoro è piena, con la possibilità della disapplica­zione dei provvedimenti amministrativi quando siano essi ad aver dato luogo alla condotta antisindacale (Cass. Sez. Un. 13 luglio 2001, n. 9541).

Non è legittimato il singolo lavoratore, il quale tuttavia può ricorrere a difesa dei diritti individuali, ad esempio contro un licenziamento anti­sindacale, con l’eventuale riunione con il procedimento per la condotta antisindacale iniziato dal sindacato competente.

Il ricorso può essere presentato sol­tanto nei confronti del datore e non anche dell’associazione sindacale del­lo stesso; se anche l’associazione imprenditoriale abbia dato ai propri soci delle direttive di comportamento antisindacale, quest’ultimo assume rile­vanza soltanto quando il singolo datore, legittimato passivo, abbia dato attuazione alle direttive stesse.

Il decreto del giudice del lavoro. Il tribunale, come giudice del lavoro, sulla base di una procedura a cognizione sommaria, emette in tempi brevi un decreto con il quale condanna il datore di lavoro alla dismissione della condotta antisindacale ed alla rimozione degli effetti.

Il procedimento a cognizione ordinaria e la sentenza. Contro il decre­to provvisorio è ammesso ricorso allo stesso giudice del lavoro entro quindici giorni dalla comunicazione del provvedimento; il ricorso sarà presentato dal datore nel caso di un decreto di condanna o dall’organismo sindacale nel caso di assoluzione. A seguito dell’ opposizione inizia un normale procedimento a cognizione ordinaria, che si conclude con la sen­tenza di assoluzione o di condanna.

La responsabilità penale. La responsabilità penale del datore non deri­va dalla condotta antisindacale, che dà luogo soltanto a conseguenze civi­listiche, ma dall’inottemperanza dell’ordine di dismissione e di rimozione degli effetti emesso con decreto o con sentenza; si applica la sanzione con­travvenzionale prevista dall’art. 650 cp. che, per espressa disposizione di legge, si estende, nel caso specifico, all’inosservanza di un provvedimento giudiziario, anziché dell’autorità amministrativa, cui la disposizione fa ri­ferimento.

 

Lascia un commento