Per la disciplina del rapporto, in generale trovano applicazione le norme per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In ogni caso, la legge precisa che il lavoratore assunto a termine ha diritto alle ferie, alla tredicesima mensilità, al TFR e a ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori a tempo indeterminato inquadrati al medesimo livello; ovviamente, questi istituti spettano in proporzione al periodo lavorato, e sempre che non siano obiettivamente incompatibili con la natura del contratto a termine.

All’equiparazione tra prestatore di lavoro a tempo determinato e indeterminato si può ricondurre la norma dell’art. 8, in virtù della quale i lavoratori a termine sono computabili ove il contratto abbia durata superiore a nove mesi.

La legge ha inoltre predisposto tutele del diritto alla salute e dell’interesse ad una occupazione stabile dei lavoratori a tempo determinato. Il diritto ad una formazione professionale sufficiente ed adeguata alle mansioni espletate “al fine di prevenire rischi specifici connessi all’esecuzione del lavoro”. Ancora ai contratti collettivi nazionali è affidato il compito di definire le modalità e i contenuti delle informazioni circa il ricorso ai contratti a termine nelle aziende; nonché le modalità affinché ai lavoratori a tempo determinato siano rese le informazioni circa i posti vacanti disponibili nell’impresa.

Nessuna disposizione è contenuta nel D.Lgs. n. 368 in merito alla disciplina cui deve ritenersi assoggettato un eventuale scioglimento del contratto “ante tempus”.

Fatta eccezione per l’ipotesi della sussistenza di una giusta causa, la legge assicura alle parti una stabilità contrattuale, il quale dovrà proseguire fino alla scadenza concordata.

 

Limitazioni quantitative all’apposizione del termine; esenzioni; il diritto di precedenza

L’apertura all’autonomia individuale in merito alle causali giustificatrici è riequilibrata dalle disposizioni all’autonomia collettiva, utilizzando la cosiddetta delega normativa, un’importante funzione di controllo e disciplina del contratto a tempo determinato.

L’art. 10, co. 7°, D.Lgs. n. 368, affida ai contratti nazionali di lavoro stipulati da sindacati l’individuazione di limitazioni quantitative alle assunzioni a tempo determinato. La ratio della norma è chiara: attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva, il legislatore si è proposto l’obiettivo di disciplinare la domanda di lavoro temporaneo nel suo complesso e non di esercitare un controllo di legittimità sulle singole assunzioni. Dette limitazioni quantitative (o cosiddette clausole di contingentamento, normalmente in percentuale sul numero degli occupati) possono essere stabilite anche in misura non uniforme e cioè differenziata.

La stipulazione del contratto a tempo determinato deve avvenire nel rispetto dei requisiti previsti dall’art 1: sia a quello cosiddetto causale (ragioni oggettive); sia a quello di forma (atto scritto specificativo di dette ragioni). Di qui deriva la possibilità che l’autonomia collettiva delimiti le cause giustificatrici dell’apposizione del termine.

La legge ha escluso dal meccanismo negoziale delle limitazioni quantitative le ipotesi nelle quali la temporaneità è intrinseca nel rapporto, e quindi non possono essere assoggettate al controllo sindacale.

Le fattispecie esenti sono:

la fase di avvio di nuove attività;

le ragioni di carattere sostitutivo e le attività stagionali in genere;

l’intensificazione dell’attività in determinati periodi dell’anno;

specifici spettacoli radiofonici e televisivi;

l’esecuzione di un’opera o servizio definiti o predeterminati nel tempo, aventi carattere straordinario o occasionale..

Il legislatore ha stabilito l’esclusione anche dei contratti giustificati da causale cosiddetta soggettiva, in particolare dei contratti stipulati a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, nonché dei contratti stipulati con lavoratori di età superiore a 55 anni.

Ancora, il successivo co. 8° ha escluso anche i contratti a tempo determinato i quali, non rientrando nelle causali cosiddetti oggettive e soggettive del co. 7°, siano di durata non superiore ai sette mesi.

Infine l’art. 10, co. 9°, affida ai contratti collettivi nazionali stipulati con i sindacati “l’individuazione di un diritto di precedenza nell’assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica, esclusivamente a favore dei lavoratori”. Il diritto di precedenza non è riconosciuto in via automatica dalla legge, ma potrà essere attribuito dalla contrattazione collettiva. Inoltre i lavoratori assunti in forza del diritto di precedenza non concorrono a determinare la quota di riserva sulle assunzioni prevista in favore delle cosiddette fasce deboli di disoccupati.

Ai sensi del co. 10° dell’art. 7, “in ogni caso il diritto di precedenza si estingue entro un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro”; ai fini del diritto di precedenza, il lavoratore è tenuto a manifestare la propria volontà al datore di lavoro entro il termine di tre mesi dalla cessazione del rapporto.

 

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