Prevede l’ipotesi in cui più parti debbano necessariamente partecipare al processo e, qualora il processo inizi in mancanza di una di queste parti, il giudice deve fissare un termine per l’integrazione del contraddittorio. Ciascuna parte può integrare il contraddittorio nei confronti del terzo che prende il nome di litisconsorte necessario pretermesso. Se nessuna delle parti provvede a citare il terzo, il processo si estingue immediatamente decorso il termine.
La dottrina ha individuato tre tipologie di litisconsorzio previste dalla legge:
– Litisconsorzio necessario per ragioni di diritto sostanziale (propter tenorem rationis): si tratta di casi in cui è controversa una situazione sostanziale di cui sono contitolari una pluralità di soggetti.
È il caso previsto dall’art. 784 c.p.c. nella prima parte che riguarda l’ipotesi che venga proposta in giudizio la domanda di divisione dell’eredità o di scioglimento della comunione. In tal caso devono partecipare al processo tutti i coeredi o i comproprietari;
– Litisconsorzio necessario per ragioni processuali: esempio è l’azione surrogatoria (art. 2900 cc.). Quando il creditore (sostituto processuale) agisce in giudizio, deve partecipare al giudizio anche il debitore (sostituito processuale) a cui il creditore su surroga.
Si vuole tutelare il contraddittorio ed il diritto di difesa del sostituito.
Altra ipotesi è quella degli art. 331 e 332 c.p.c. che disciplinano il litisconsorzio nelle fasi di gravame (vedi p. 197): quando c’è una pluralità di parti in primo grado, questa pluralità deve presentarsi anche nel giudizio d’impugnazione nelle ipotesi di cause inscindibili o di cause tra loro dipendenti, mentre non è necessario qualora le cause siano scindibili;
– Litisconsorzio necessario per ragioni di opportunità (propter opportunitatem): è previsto dall’art. 784 c.p.c. seconda parte secondo cui devono partecipare al processo, non solo tutti i coeredi o comproprietari, ma anche i creditori opponenti. Questi creditori sono totalmente estranei al rapporto sostanziale controverso.
Il problema è quello di stabilire se l’art. 102 c.p.c. sia una norma in bianco che si limita a disciplinare i casi già previsti espressamente dalla legge, oppure abbia un rilievo autonomo. In quest’ultimo caso si dovrebbe ritenere che esistano delle ipotesi di litisconsorzio necessario non espressamente previste dalla legge. Il criterio per individuare queste ultime è quello su cui si fonda la categoria del litisconsorzio per ragioni di diritto sostanziale: ogniqualvolta oggetto del processo è un rapporto giuridico plurilaterale (in cui una pluralità di soggetti sono contitolari del diritto sostanziale), allora tutti i contitolari devono partecipare al processo.
Un’opinione limita, fra tutte le ipotesi in cui è controverso un rapporto giuridico plurilaterale, il litisconsorzio necessario soltanto ai casi in cui venga proposta in giudizio un’azione costitutiva. Questo perché, visto che la caratteristica dell’azione costitutiva è quella di produrre una modificazione giuridica, non si può produrre questa modificazione giuridica solo per alcuni soggetti, ma la deve essere prodotta nei confronti di tutti i contitolari del rapporto dedotto in giudizio (es. il titolare del fondo intercluso può ottenere la costituzione coattiva di una servitù di passaggio sul fondo servente, ma se sono più i condomini del fondo servente, deve citarli in giudizio tutti poiché non si può costituire una servitù di passaggio solo nei confronti di alcuni dei comproprietari).
Questa opinione non è stata accolta poiché non vi è ragione di limitare il litisconsorzio necessario solo ai casi di azione costitutiva, infatti fra le ipotesi di litisconsorzio necessario previste espressamente vi è l’ipotesi dell’art. 1012 cc. (l’usufruttuario può agire per far accertare le servitù a favore del proprio fondo): in questo caso deve partecipare al processo anche il proprietario. Questo è un caso di azione di mero accertamento e vi è litisconsorzio necessario.
Nell’ipotesi dell’art. 2900 cc. non è che necessariamente deve essere proposta un’azione di condanna, ma molte volte viene proposta.
L’opinione prevalente configura la necessaria titolarità, da parte di più soggetti, della situazione sostanziale controversa come un’ipotesi particolare di legittimazione ad agire, parla di legittimazione ad agire necessariamente congiuntiva: la legittimazione ad agire spetta, sul lato attivo e sul lato passivo, necessariamente a tutti i titolari della situazione sostanziale. Se non vi fosse questa disposizione la domanda dovrebbe terminare con una sentenza di rigetto in rito.
Altra opinione ritiene che la ratio sia quella di tutelare il principio del contradditorio, precisamente il diritto di difesa del litisconsorte necessario pretermesso di modo da assicurare che il processo pervenga ad una pronuncia sul merito (non è ammissibile che si pronunci sul merito di una domanda in mancanza del litisconsorte necessario pretermesso). Se si guarda poi a quale sia l’efficacia della sentenza emessa in litisconsorte non integro, si vede come questa sia un elemento a conforto di quest’opinione minoritaria.
Di frequente sorge di frequente che l’attore configuri un rapporto giuridico in modo inesatto.
Esempio: Il titolare di un fondo giuridico vuole costituire una servitù sul fondo di cui sono contitolari Caio e Sempronio (prospetta la titolarità del fondo servente come in capo a Caio e Sempronio). Nel corso dell’istruzione emerge che titolare del fondo servente sia anche Mevio.
Secondo l’opinione prevalente in questo caso si può applicare la disciplina del litisconsorzio necessario, quindi si può integrare il contraddittorio e il processo può proseguire.
L’orientamento minoritario critica questa soluzione poiché afferma che porta ad un mutamento della domanda nel corso del processo che è vietato nel nostro ordinamento. Il processo proseguirebbe su un rapporto giuridico configurato in modo diverso. La domanda sarebbe una domanda infondata e il processo dovrebbe terminare con una sentenza di rigetto nel merito.
Secondo quest’opinione minoritaria la disciplina del litisconsorzio necessario troverebbe applicazione solo quando l’attore prospetta il rapporto giuridico in modo corretto, ma sbaglia nel citare in giudizio i soggetti. Dal punto di vista concettuale è assolutamente esatta quest’opinione minoritaria poiché non emerge dalla legge un’eccezione al divieto di mutamento della domanda nel corso del processo. Però quest’impostazione non soddisfa i bisogni della pratica, ecco che allora prevale la prima opinione.
Efficacia della sentenza emessa a litisconsorzio non integro:
La regola generale prevede che la sentenza sia inutiliter data, cioè non produce l’efficacia di accertamento incontrovertibile. Quest’ipotesi è una delle ipotesi di sentenza inesistente.
L’art. 161.1. c.p.c. stabilisce il principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame (vedi p. 37 e 57). Vi sono delle ipotesi in cui, considerare una sentenza non più affetta da nullità perché è passata in giudicato, porta a delle conseguenze aberranti. Vi sono però dei vizi che sopravvivono al passaggio in giudicato: sono i vizi d’inesistenza. La categoria dei vizi di inesistenza è una categoria di elaborazione dottrinale.
L’art. 161.2 c.p.c. prevede espressamente un vizio che resiste al passaggio in giudicato: sentenza priva della sottoscrizione del giudice. A questo regime vengono accomunate tutte le sentenze inesistenti.
Tra i vizi di inesistenza della sentenza rientra anche l’ipotesi della sentenza emessa a contraddittorio non integro.
Le sentenze inesistenti possono essere impugnate, lo prevede espressamente la legge all’art. 354 c.p.c. che disciplina le ipotesi di rimessione della causa dal giudice d’Appello al giudice di primo grado: fra queste vi è la sentenza affetta dal vizio di cui all’art. 161.2 c.p.c. L’art. 354 c.p.c. però riguarda solo il vizio di cui all’art. 161.2 c.p.c., non parla di sentenze inesistenti. Attraverso un’interpretazione si è riuscito ad estendere operare la rimessione della causa al giudice di primo grado con riferimento a tutte le ipotesi di sentenza inesistente: è stato notato che una delle ipotesi dell’art. 345 c.p.c. rinvia ad una norma, non menziona la mancata sottoscrizione del giudice. Allora se non è possibile estendere per via analogica l’ambito di applicazione dell’art. 354 c.p.c., è tuttavia possibile estendere per via analogica l’ambito di applicazione dell’art. 161.2 c.p.c. a tutte le ipotesi di inesistenza della sentenza, e quindi ritenere che tutte le ipotesi soggette all’applicazione della regola dell’art. 161.2 c.p.c. siano soggette anche alla regola dell’art. 354 c.p.c.
La sentenza emessa a litisconsorzio non integro è già un caso espressamente previsto dall’art. 354 c.p.c. della rimessone al giudice di primo grado.
In caso di sentenza inesistente non si produce l’effetto della cosa giudicata materiale, né tra le parti, né nei confronti del litisconsorte necessario pretermesso. L’eccezione è nel caso di litisconsorzio per ragioni di opportunità: in questo caso, se manca l’integrazione del contradditorio nei confronti del litisconsorte necessario per ragioni di opportunità, la sentenza è inefficace nel confronti del litisconsorte necessario pretermesso, ma è efficace tra le parti del processo.
Un opinione minoritaria ritiene che nel caso di litisconsorzio necessario per ragioni di diritto sostanziale la sentenza produca degli effetti minori: gli effetti che le parti avrebbero potuto produrre nell’esercizio dell’autonomia privata.
Esempio: L’art. 1059 cc. prevede che quando sono più i titolari del fondo servente, la servitù può costituirsi solo quando tutti concedono la concessione. Se uno dei comproprietari costituisce volontariamente la servitù, questo non può porre in essere atti che impediscono l’esercizio della servitù. Quindi sul piano negoziale questo atto non costituisce la servitù, ma determina l’obbligo di non porre in essere atti che impediscano la servitù.
Nell’ipotesi che il proprietario del fondo intercluso agisca nei confronti di uno solo dei proprietari del fondo servente, e sia pronunciata la sentenza perché nessuno eccepisce che si versi in un caso di litisconsorzio necessario, la sentenza non produce l’effetto di cosa giudicata materiale, ma produce solo l’obbligo per quel soggetto di non compiere atti impeditivi della servitù.
Questa teoria è stata criticata per due motivi:
– Equiparazione della sentenza con un negozio: hanno natura diversa, non possono essere assimilati;
– L’effetto che si raggiunge per via negoziale è un effetto voluto dalle parti, invece pretendendo che la sentenza produca questo effetto si arriva ad una distorsione perché il soccombente non ha mai voluto concedere questa servitù.
I rimedi a favore del litisconsorzio necessario pretermesso sono più d’uno:
– Può proporre un’azione di accertamento positivo del proprio diritto nei confronti di coloro che sono stati parti nel processo. Può instaurare un processo autonomo;
– Può proporre un’azione di accertamento negativo nei confronti delle parti del processo cui avrebbe dovuto partecipare contestando il diritto configurato dalla sentenza;
– Può proporre opposizione ordinaria di terzo in quanto la sentenza “pregiudica i suoi diritti” (art. 404.1 c.p.c.). C’è chi configura questa opposizione di terzo ordinaria non come impugnazione straordinaria, ma come un’azione di accertamento negativo;
– Potrebbe anche rimanere inerte, e qualora venga convenuto in giudizio dalla parte vittoriosa nel primo processo, e venisse fatta valere la sentenza nei suoi confronti, potrebbe eccepire la violazione dei limiti soggettivi della cosa giudicata (res inter alios acta) perché l’art. 2909 cc. pone la regola che la cosa giudicata materiale fa “stato ad ogni effetto tra le parti, gli eredi e gli aventi causa”.