Il creditore può rifiutare una prestazione che sia quantitativamente inferiore alla misura dell’obbligo, seppure si tratti di una prestazione che per sua natura sia suscettibile di frazionamento in parti, ciascuna capace di conservare in proporzione il valore e la funzione economica dell’intero adempimento. Non vi è dubbio che quando la prestazione è divisibile e soggettivamente semplice, una pluralità di adempimenti parziali non soltanto sia possibile ma in qualche caso possa prestarsi a soddisfare efficacemente gli interessi delle parti.
E’ pure incontestabile che una tale modalità di adempimento non possa essere unilateralmente imposta al creditore e presupponga in ogni caso un accordo tra le parti (1181). Nella facoltà di rifiuto del creditore è stata ravvisata una forma di tutela preventiva volta ad impedire al debitore di liberarsi in maniera irregolare a causa di un’oggettiva difformità tra la prestazione offerta e quella dovuta. Anche un mancato adempimento non grave giustifica il rifiuto, che ha la sola conseguenza di lasciare in vita il rapporto fino al regolare e integrale soddisfacimento dell’interesse del creditore.
La mancanza di un apprezzabile interesse del creditore all’adempimento parziale può condurre all’estinzione del rapporto, se si tratti di contratto con prestazioni corrispettive: difatti, è previsto che il creditore, in tal caso, possa sciogliersi unilateralmente dal vincolo, qualora non ritenga di avvalersi del diritto. L’art. 1181 deve essere posto a confronto con la disciplina della risoluzione giudiziale per inadempimento del contratto con prestazioni corrispettive (1455). Ne derivano due deduzioni simmetriche:
- si prende atto che il creditore non può sempre chiedere la risoluzione del contratto ma può sempre rifiutare la prestazione quantitativamente inesatta, quale che sia la gravità del mancato adempimento (1181).;
- al tempo stesso al creditore è preclusa in ogni caso la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, qualora, avuto riguardo al suo interesse, l’inadempimento del debitore sia di scarsa importanza. In base alla seconda deduzione l’accettazione della prestazione parziale non comporta alcuna rinuncia alla facoltà di chiedere la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, se la parte rimasta inadempiuta non sia di scarsa importanza. L’accettazione della prestazione parziale non esclude la possibilità di valutare il comportamento del debitore nei termini di un inadempimento tale da incidere sulle sorti dell’intero rapporto.
Indici relativi alla nozione di prestazione parziale possono desumersi dai requisiti legalmente richiesti per la validità dell’offerta necessaria ai fini della costituzione in mora del creditore, il quale rifiuti di ricevere la prestazione o di cooperare all’adempimento. Il legislatore usa tuttavia una forma che non è circoscritta al solo pagamento, ma si estende a ricomprendere qualsiasi prestazione dovuta.
Restano dunque escluse le prestazioni di non fare; anche nel caso delle prestazioni di fare il concetto di adempimento parziale fa nascere delicati problemi sistematici. Nel caso delle prestazioni di lavoro subordinato si ha riferimento al numero delle ore lavorative; e talvolta si richiama l’art. 1181 in rapporto all’esecuzione di prestazioni non rispettose del tempo concordato.
La casistica è ricca anche con riferimento alla diffusione di modalità inconsuete di sciopero o di protesta sindacale che comportino irregolarità di vario genere nel normale ciclo produttivo. E’ stato criticato il riferimento all’inesattezza quantitativa e si è prospettata l’ipotesi di un inadempimento in senso qualitativo non rifiutabile in via immediata; è stata posta in dubbio l’opportunità di ricorrere a una forzatura delle norme della parte generale delle obbligazioni per controllare l’esercizio dello sciopero.
Anche alle prestazioni di fare si riferiscono le norme che regolano la figura dell’adempimento parziale con particolare riguardo all’area dei rapporti con prestazioni corrispettive. Il creditore non può rifiutare di ricevere la prestazione parziale isolata se l’impossibilità dell’esecuzione totale deriva da causa non imputabile al debitore stesso. Il creditore potrà scegliere tra una corrispondente riduzione della sua prestazione e la facoltà di recedere dal contratto (1464). Applicazioni si hanno nella materia dell’appalto dove il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta nei limiti in cui è a lui utile, in proporzione del prezzo pattuito.
In due casi il creditore non può rifiutare di ricevere un adempimento parziale: se egli si è preventivamente accordato con il debitore in tal senso; se la legge o gli usi prevedano che il pagamento parziale sia liberatorio. L’accordo relativo al frazionamento del prezzo può risalire al momento della conclusione del contratto ma può anche perfezionarsi nel corso del rapporto.
Resta ferma la necessità di una ricostruzione del regolamento contrattuale in base ai generali canoni ermeneutici. In mancanza di un accordo non equivoco, non può bastare un isolato atteggiamento di tolleranza: il creditore che accetti per una volta un acconto non deve vedersi imporre in seguito un pagamento rateale e ben può pretendere che il resto gli sia versato in un’unica soluzione; ma è eccessivo pretendere un consenso manifestato soltanto per mezzo di una dichiarazione.
Le deroghe legali si riferiscono: alla impossibilità parziale della prestazione; alla divisione dell’obbligazione fra i coeredi (ipotesi di attuazione parziaria dell’obbligazione); ai pagamenti della cambiale e dell’assegno bancario; infine ai pagamenti della pubblica amministrazione in base agli stanziamenti previsti in bilancio o con rinvio del saldo agli esercizi futuri.
Il caso dell’inesattezza qualitativa è previsto dalla disposizione che consente al creditore di rifiutare di ricevere una prestazione diversa da quella dovuta, anche se il valore è uguale o maggiore (1197). Il rifiuto di ricevere il mezzo di pagamento sostitutivo non può essere esercitato in maniera contraria a correttezza. A tal fine potrà tenersi conto: dell’intento di creare difficoltà al debitore, del comportamento tenuto costantemente dalle parti nei loro reciproci rapporti e dell’assenza di un giustificato motivo.
Comunque, non vi è dubbio che le transazioni commerciali più ingenti si compiano sul presupposto implicito che si possa ricorrere ampiamente ai nuovi mezzi di pagamento. La norma così ricostruita ha già conosciuto talune applicazioni che sembrano preludere al riconoscimento dell’efficacia liberatoria di tutti quei mezzi di pagamento che garantiscano al creditore la disponibilità della somma di denaro dovuta.
Salvo patto contrario espresso, il creditore in linea di principio non potrebbe rifiutare l’esecuzione del debito pecuniario con titoli di credito sicuri, a meno che una tale forma di esecuzione dell’obbligazione non risulti per lui effettivamente più onerosa. La normativa della correttezza sempre presuppone tuttavia una valutazione delle circostanze del fatto.
E’ pertanto per molti aspetti opportuno che l’ordinamento si trasformi nel senso di prevedere in maniera testuale e non equivoca i casi o comunque le generali categorie di ipotesi in cui il pagamento con mezzi solutori alternativi e sicuri sia liberatorio. Vi sono ipotesi di inesattezza qualitativa che, entro certi limiti, sono dalla legge reputate tollerabili alla stregua di un criterio di normalità.
Un tale criterio si fonda per lo più su due parametri costanti: la non idoneità dell’oggetto della prestazione all’uso cui il medesimo è destinato; l’apprezzabile diminuzione del suo valore economico. Se i limiti di tolleranza sono superati, il creditore non soltanto può rifiutare la prestazione ma può avvalersi dei rimedi legalmente previsti nelle singole ipotesi salvo il risarcimento del danno.