È opportuno approfondire un’altra differenza nella fattispecie del 18 l. 349/1986 ed in quella della direttiva CE 35/2004 rispetto al 2043 (Risarcimento per fatto illecito).
Quanto alla legge nazionale, essa è costituita dalla violazione di una norma di legge o di provvedimenti adottati in base a legge, che il 18 l. 349/1986 esige in aggiunta alla violazione della situazione soggettiva “ambientale” quale elemento ulteriore necessario al sorgere della responsabilità.
Il fatto dell’agente deve essere connotato nei termini di un’antigiuridicità specifica (violazione di una norma precisa), che invece non è prevista come elemento costitutivo della fattispecie di cui al 2043.
Infatti nel 2043 elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità non è l’antigiuridicità, ma la non antigiuridicità, denotata dalla presenza di una causa di giustificazione, elemento impeditivo della responsabilità.
Nel confronto col 2043 la previsione di un’antigiuridicità costitutiva quale quella prevista dal 18 l. 349/1986 appare un requisito in più della fattispecie, che rende più difficile l’esito di responsabilità.
Günter Hager e Marc Leonhard apprezzano questo aspetto come un esempio di quello che i penalisti chiamano diritto premiale, consistente nel contrario della pena per colui che mostra di aver ottemperato a certi parametri di condotta imposti dall’ordinamento.
Si afferma in proposito che la non inosservanza di una normativa specificamente rivolta all’attività inquinante funge da limite alla responsabilità, responsabilità che sarebbe contraddittorio ipotizzare a riguardo di un’attività che, in quanto conforme alle prescrizioni dettate specificamente per essa, sarebbe per ciò stesso consentita dall’ordinamento (così Marisa Meli).
In materia di attività pericolose è giurisprudenza costante, confortata dalla dottrina, che l’esercizio di esse pur conforme ad una normativa di sicurezza non basta a scagionare dalla responsabilità: essa si evita solo con la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
In maniera conforme a questo orientamento si afferma che pure in materia di danno ambientale, qualora nonostante l’osservanza della normativa di settore un danno sia cagionato a soggetti privati, questi avranno comunque diritto al risarcimento.
A prima vista questa soluzione sembra configurare una disarmonia all’interno dell’ordinamento.
In realtà la disarmonia è apparente: il 18 l. 349/1986 tutela l’ambiente come bene giuridico pubblico, il 2043 le situazioni soggettive private.
Questo modello bipartito, nel quale il danno ambientale in senso proprio non si configura se l’attività inquinante risulta conforme alla disciplina di settore mentre rimane la possibilità di applicare il 2043 per un danno ingiusto nel senso privatistico al quale tale norma è da sempre dedicata, risulta pure dalla direttiva CE 35/2004.
{L’impostazione della legge tedesca Umwelthaftungsgesetz [Legge sulla responsabilità ambientale], 10 dicembre 1990, è diversa: essa si caratterizza come tutela anzitutto dei singoli che in conseguenza di un’offesa all’ambiente abbiano subìto danno alla persona od al patrimonio.
Quanto alla forma del risarcimento, il § 16 prevede il recupero dei costi che il danneggiato abbia affrontato per riprodurre la situazione naturale che ci sarebbe stata se non si fosse verificata l’offesa all’ambiente, tranne quelli esorbitanti (con la precisazione che tali costi non sono da considerare tali per il semplice fatto che risultino superiori al valore della cosa ripristinata).
Anche la legge tedesca prevede che la tutela in base ad altre disposizioni di legge rimane impregiudicata.
Quanto alla natura della responsabilità, si tratta di una responsabilità oggettiva (il § 4 prevede il limite della forza maggiore) accompagnata da una presunzione di causalità nei confronti di certi impianti}.
La dir. CE 35/2004 al 3.3 precisa che essa non conferisce ai privati un diritto a essere indennizzati in seguito a un danno ambientale o a una minaccia imminente di tale danno.
Del resto la direttiva non istituisce una disciplina che assoggetti il danno ambientale alla responsabilità civile.
Si tratta invece di un modello pubblicistico, secondo il quale (6) Quando si è verificato un danno ambientale, l’operatore comunica senza indugio all’autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della situazione e adotta: a) tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare […] gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni […] b) le necessarie misure di riparazione conformemente all’articolo 7.
Riguardo alle necessarie misure di riparazione, il 7 prevede che gli operatori individuano le possibili misure di riparazione e le presentano per approvazione all’autorità competente.
Infine l’8.1 prevede che L’operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione adottate in conformità della […] direttiva, ed al comma II che l’autorità competente recupera […] dall’operatore che ha causato il danno o l’imminente minaccia di danno i costi da essa sostenuti in relazione alle azioni di prevenzione o di riparazione adottate, salvo che l’operatore provi che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno è stato causato da un terzo o sia conseguenza dell’osservanza di un ordine impartito dall’autorità.
Del tutto incomprensibilmente, non è previsto come escludente la responsabilità il caso fortuito, mentre l’8.4 dà facoltà agli ordinamenti nazionali di escludere la responsabilità quando il danno non sia dovuto a dolo o colpa o ad un fattore che l’operatore dimostri non essere stato considerato probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui si è verificato il fatto.