È opportuno analizzare queste due variazioni rispetto al modello dell’illecito civile di cui al 2043.
Quanto alla descrizione del comportamento illecito, contenuta nel 18, la necessità della violazione di una specifica regola di condotta si spiega con l’origine storica della norma: Paolo Maddalena ricorda che il danno all’ambiente quale figura autonoma nasce nel nostro ordinamento quando esso viene assunto nella cornice più ampia del danno contabile dalla giurisprudenza della Corte dei conti.
Ora il danno contabile presuppone proprio la violazione di una norma di comportamento da parte dell’autore “amministrativo” dell’illecito, il quale viene fatto responsabile solo in quanto imputabile di tale violazione.
In merito all’ingiustizia del danno, la fattispecie del 18 l. 349/1986 non la contempla.
La connotazione dell’ingiustizia riferita al danno significa che il danno diventa rilevante giuridicamente in quanto lesione di una situazione soggettiva.
Quanto al danno all’ambiente come disciplinato dal 18 l. 349/1986, la fattispecie in questione conferma per la propensione alla tipicità.
Da un lato infatti il danno riceve qualifica implicita dall’essere riferito all’ambiente; la necessità poi che il fatto doloso o colposo sia qualificato come violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge implica una “selezione dei comportamenti” (Angelo Luminoso), alla stregua dell’antigiuridicità della condotta.
Da questo punto di vista la scelta legislativa manifesta un atteggiamento “prudente” del legislatore nella delimitazione della fattispecie.
La configurazione del danno nell’art. 18
Ritornando al 18 l. 349/1986, la mancata menzione dell’ingiustizia sembra presentare un danno allo stato primordiale, in quanto esso viene fatto coincidere puramente e semplicemente con l’alterazione, il deterioramento o la distruzione dell’ambiente: la norma speciale accoglie un concetto di danno che è di tipo materiale (concezione naturalistica).
Il legislatore sembra essersi così messo in sintonia con un atteggiamento dottrinale nel quale continua a non esser chiaro se il danno coincida con la concezione naturalistica o con quella giuridica.
Nel 18 l. 349/1986 il danno ha perduto la connotazione giuridica propria fornita dall’ingiustizia, e si riduce a pura lesione materiale di un’entità coglibile empiricamente, abbandonandosi con questo il modello del 2043.
Del resto il legislatore non poteva comporre altrimenti la norma del 18 perché se è vero, come ha affermato Mario Libertini, che non si può parlare di “ambiente” alla stregua di una situazione giuridica soggettiva unitaria e complessiva ma piuttosto bisogna disaggregare tale categoria, averla usata invece per indicare sinteticamente singoli aspetti della realtà materiale che possono subire offesa non consentiva più di utilizzare la categoria “danno” in termini diversi da quella lesione materiale nella quale esso consiste secondo il linguaggio comune, pregiuridico.
Ciononostante, non pare che il tenore del 18 l. 349/1986 escluda, ai fini dell’affermazione del danno ambientale, la necessità di individuare una situazione giuridica soggettiva della quale si debba cogliere la lesione.
In questi termini sembra ormai sfumare la differenza formale fra tale 18 l. 349/1986 ed il 2043.