Sembra farsi luce questa conclusione anche in common law, nonostante la rigida separazione fra contratto e torto (Mario Serio parla di “sistema bipolare”).
Questa rigida separazione fra contratto e torto fa rifluire nel secondo tutto ciò che non sia riconducibile al primo, rigidamente inteso come atto di volontà.
Oggi si è pervenuti alla consapevolezza che la natura contrattuale della responsabilità non dipende necessariamente da un consenso che di per sé può mancare, ma dalla valutazione che l’ordinamento possa fare, alla stregua di esso, di comportamenti soggettivi.
Così la common law sembra abbandonare una delle rigidità strutturali secondo cui non può esservi obbligazione, e perciò responsabilità contrattuale, senza contratto, cioè senza consenso, e senza consideration.
Questo accade sia nei casi che i giudici qualificano alla stregua di contratti mancati che tuttavia hanno generato tra le parti rapporti giuridicamente rilevanti, con riguardo ai quali si evoca la figura della culpa in contrahendo, sia nei casi di responsabilità nei confronti di soggetti terzi rispetto al contratto, nei quali lo sbarramento della consideration viene superato con la privity (relatività contrattuale).
Nella civil law ciò è cominciato ad accadere con la scoperta della culpa in contrahendo ad opera di Rudolf von Jhering.
Sì è cominciata ad accreditare una responsabilità che, in anticipo e a prescindere dall’effettivo sorgere di un rapporto da un contratto, nei contenuti (l’interesse negativo, che è misura del danno da violazione di obblighi di protezione ma, prima ancora, del danno meramente patrimoniale, non risarcibile in sede aquiliana, rappresentato dalla perdita per un affare che non si sarebbe voluto o si sarebbe voluto altrimenti se si fossero ricevute informazioni esatte ed esaurienti dall’altra parte) mimava in parte la responsabilità conseguente alla violazione di un tale rapporto e nella natura si identificava completamente con essa.
Secondo Heinrich Stoll gli obblighi di protezione erano ancora accessori all’obbligo di prestazione e quindi potevano essere pensati solo in connessione con questo.
Hans Dölle negli anni ‘40 del XX secolo pose il problema se, fuori dalle ipotesi di trattativa precontrattuale, un sozialer Kontakt non dovesse comportare un identico modello di tutela nel quale la responsabilità rilevasse in esito alla lesione di un affidamento ingenerato da una parte nei confronti dell’altra.
La risposta fu positiva: si trattava di fornire una forma giuridica più adeguata a tutte le fattispecie nelle quali il danno non può dirsi derivare da una «casuale o non desiderata collisione di soggetti “terzi”».
Ma tale conclusione dovette scontare un deciso attacco ad opera di Karl Larenz, il quale sostenne che l’affidamento reciproco poteva generare una responsabilità contrattuale solo in presenza di altri elementi in grado di giustificare il superamento dei confini di quella aquiliana.
La preoccupazione era di impedire l’evanescenza della linea di demarcazione fra contratto e torto.
Questa preoccupazione non apparve giustificata ad Eike Schmidt, il quale rileva come nella visione di Hans Dölle dovesse dar vita a responsabilità contrattuale non qualsiasi contatto più o meno casuale, ma quelli nei quali l’affidamento fosse specificamente e consapevolmente generato da una parte e perseguito dall’altra.
In effetti la critica di Karl Larenz aveva le sue ragioni.
Lo stesso Hans Dölle si preoccupava che una responsabilità contrattuale da un puro contatto sociale potesse apparire priva di contorni precisi, ed indicò quello che avrebbe dovuto essere il criterio per circoscriverla: “I confini di questa responsabilità si ricavano da una calibrata delimitazione del concetto di sfera giuridica [il soggetto è responsabile dei danni verificatisi nell’ambito di essa], dalla determinazione di un appropriato criterio di responsabilità, dal postulato dello specifico legame […] tra lo scopo del contatto sociale e il danno arrecato e correlativamente di un legame tra il danno ed i rischi specifici della sfera giuridica entro la quale il danno si verifica”.
I primi due criteri sono tautologici, il terzo è ancora troppo generico.
Karl Larenz non si rese conto di aver elaborato nel frattempo la categoria dogmatica appropriata a superare l’ammanco tra la scoperta di Hans Dölle e la soluzione fornita da questo autore nella chiave di un affidamento non ancorato a parametri sicuri.
Il rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione, al quale viene ricondotta la responsabilità da informazioni, fornite da soggetti professionali fuori da una qualsiasi relazione negoziale provvede infatti la veste dogmatica per l’affidamento creato da quelle persone e imprese che assumono una posizione di garanzia nei confronti dei destinatari dell’informazione da esse fornita.
Infatti nell’ancorare l’affidamento alla professionalità si appronta un criterio certo e sicuro ad una responsabilità contrattuale esigita in quelle ipotesi che Hans Dölle diceva essere «non di collisione casuale o non voluta tra soggetti “terzi”», ma che egli finiva col ridurre al contatto sociale.
La responsabilità implicata dall’obbligazione senza prestazione è una responsabilità contrattuale riportata al suo valore semantico: come responsabilità da violazione di obblighi creati dalla buona fede sulla scorta di un affidamento socialmente rilevante, non riducibile all’inadempimento dell’obbligazione come prestazione né all’obbligazione nata da contratto, ma parimente lontana dalla “responsabilità del passante”.
{Francesco Donato Busnelli, per giustificare la critica al mio assunto secondo il quale la responsabilità aquiliana è “responsabilità del passante”, richiama il 2395 (Azione individuale del socio e del terzo), il quale prevede il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori (e si tratterebbe di responsabilità extracontrattuale, secondo quanto affermato da Ugo Carnevali, al quale Francesco Donato Busnelli fa riferimento).
Ma il richiamo non è probante perché anzitutto occorre distinguere tra amministratori e soci e tra amministratori e terzi e, quanto ai primi, la responsabilità è contrattuale.
Peraltro, il 2395 (Azione individuale del socio e del terzo), come il 2394 (Responsabilità verso i creditori sociali), testimonia che il nostro non è un sistema di responsabilità (extracontrattuale) fondato su una clausola generale, perché il legislatore, quando ha reputato di prevedere la responsabilità per un danno meramente patrimoniale, ha ritenuto necessario adottare una norma ad hoc}.