La prima parte dell’art. 232 (già 175) stabilisce che «qualora, in violazione del presente trattato, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione si astengano dal pronunciarsi, gli Stati membri e le altre istituzioni della Comunità possono adire la Corte di giustizia per far constatare tale violazione».
Anche questa è dunque giurisdizione di legittimità: essa differisce dai casi precedenti perché mentre là il fine del ricorso è di distruggere l’esistenza legale di un atto, qui consiste nell’obbligare l’istituzione competente ad agire. Le condizioni per il ricorso sono fissate – limitandoci alla CE – nel seguito dell’art. 232
Il ricorso è ricevibile soltanto quando l’istituzione in causa sia stata preventivamente richiesta di agire. Se, allo scadere di un termine di due mesi da tale richiesta, l’istituzione non ha preso posizione, il ricorso può essere proposto entro un nuovo termine di due mesi. Ogni persona fisica o giuridica può adire la Corte di Giustizia alle condizioni stabilite dai commi precedenti per contestare ad una delle istituzioni della Comunità di avere omesso di emanare nei suoi confronti un atto che non sia una raccomandazione o un parere.
Le istituzioni la cui omissione di agire (failure to act) rende possibile il ricorso in carenza sono il Parlamento, il Consiglio e la Commissione; ora anche la BCE (vedi sotto).
Per quanto riguarda la legittimazione attiva, il testo dell’art. 232 consente di distinguere, come nel ricorso «per annullamento», i ricorrenti «privilegiati» e gli altri. I primi sono gli Stati membri e le altre istituzioni della Comunità. L’ultimo comma dell’articolo vi aggiunge la Banca Centrale Europea: «La Corte di giustizia è competente, alle stesse condizioni, a pronunciarsi sui ricorsi proposti dalla BCE nei settori che rientrano nella sua competenza o proposti contro di essa».
Gli altri ricorrenti sono i privati (persone fisiche o giuridiche). Anch’essi possono adire la Corte contestando ad una delle istituzioni della Comunità «di avere omesso di emanare nei (loro) confronti un atto che non sia una raccomandazione o un parere». Dal requisito che l’atto deve essere «rivolto» (il testo francese del Trattato reca la parola adressé) al ricorrente, si evince che le persone private non possono azionare il ricorso in carenza per ottenere l’emanazione di una direttiva o di una decisione di carattere generale rivolta agli Stati membri (per i regolamenti, v. sotto).
Nonostante le differenze, la Corte di giustizia ha affermato che il ricorso per annullamento e quello in carenza sono «l’espressione di uno stesso rimedio giuridico» (CGCE 18-XI-1970, causa 15/70, Chevalley, in Raccolta, p. 975).
Il coordinamento tra i due rimedi si esprime mediante le seguenti regole:
il ricorso – istituzione comunitaria avrebbe dovuto in carenza non è proponibile quando una adottare un atto che il ricorrente non aveva legittimazione ad impugnare direttamente (CGCE 10-XII-1969, cause riunite 10 e 18/68, Eridania, in Raccolta, p. 459, spec. 483). Così, la mancata emanazione di un regolamento da parte della Commissione può costituire l’oggetto di un ricorso in carenza esercitato dal Consiglio se questo aveva delegato la Commissione ad emanare l’atto. Per contro un privato potrà agire solo se riesce a dimostrare, cosa praticamente impossibile, che manca un regolamento che lo riguarderebbe (naturalmente in senso favorevole) direttamente e individualmente.
La Corte (28-III-1979, in causa 90/78, Granaria in Raccolta, p. 1081) ha dichiarato irricevibile un ricorso in carenza presentato da persone fisiche o giuridiche, quando l’atto da emanare sia un regolamento «dato che questo non può essere considerato, né per forma né per natura un atto di cui detta persona potrebbe essere destinataria a sensi dell’art. 175, 3o comma».
Il privato potrà invece ricorrere per la mancata emanazione di una decisione – a lui favorevole – che la Commissione avrebbe dovuto adottare nei suoi confronti.
in tutti i – s’intende promuovere il ricorso casi in cui l’istituzione contro la quale rifiuta esplicitamente di adottare la misura richiesta, il rifiuto costituisce una decisione che deve fare oggetto di un ricorso per annullamento e non in carenza (CGCE 23-II-1961, causa 30/59, in Raccolta, p. 1, spec. 34). Comunque il rifiuto esplicito di adottare un atto non può costituire oggetto di un ricorso per annullamento se la mancata adozione dell’atto non è tale da giustificare l’esperimento di un ricorso in carenza (CGCE causa 15/70, sopra, in cui il ricorrente Chevalley aveva introdotto un ricorso in carenza perché – a suo dire – la Comunità avrebbe dovuto emanare delle norme sulla coltivazione dei fondi agricoli, e aveva poi «rilanciato» con un ricorso di annullamento contro una lettera della Commissione che gli aveva comunicato che «nella fattispecie nessun atto doveva essere emanato nei suoi confronti»: la Corte ha dichiarato tutto il ricorso irricevibile).