Con l’art. 62 bis, introdotto dal d.lg.lgt. n. 288 del 1944, sono state reinserite nel nostro codice le attenuanti generiche, le quali erano state soppresse dal legislatore del ’30 in coerenza con l’ispirazione rigoristica propria dell’impianto originario del codice Rocco.
L’art. 62 bis dispone che “ il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’art. 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate, in ogni caso, come una solo circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nell’art. 62”.
Natura e funzioni delle circostanze generiche
La natura e la funzione delle circostanze generiche sono ancora controverse.
Secondo l’orientamento tradizionale, l’art. 62 bis costituirebbe una sorta di appendice dell’art. 133, funzionalmente diretta a consentire una riduzione del minimo edittale della pena, qualora questo minimo si riveli sproporzionato rispetto alla gravità del fatto e alla persona del colpevole: in quest’ottica le circostanze generiche avrebbero funzione identica a quella svolta dagli indici generali di commisurazione della pena. Questa impostazione però, vanifica la funzione autonoma dell’art. 62 bis.
Secondo un’altra opinione, peraltro preferibile, l’art. 62 bis ha una funzione autonoma, consistente nel permettere al giudice di cogliere un valore positivo dal fatto, nuovo o diverso rispetto ai valori espressamente presi in considerazione dall’art. 62: valore nuovo o diverso non tipizzabile a priori in linea generale e astratta, ma desumibile soltanto dai casi concreti considerati nelle loro infinite sfumature.
Si tratta quindi di circostanze in senso tecnico, ancorché non tipizzate, applicabili anche in presenza di un solo valore attenuante, indipendentemente dalla valutazione complessiva del fatto e della personalità del reo. Ciò ha come importanza pratica, che l’art. 62 bis può essere applicato anche allorché la pena base sia irrogata in misura superiore al minimo, il fatto criminoso sia obiettivamente grave ed il reo abbai precedenti penali.
Divieto di doppia valutazione
Anche con riguardo alle circostanze attenuanti generiche vige il principio del divieto di doppia valutazione, quindi, se un valore attenuante si presta a essere preso in considerazione, sia come criterio di commisurazione ex art. 133, sia come circostanza generica ex art. 62 bis, lo si dovrà valutare una sola volta (ne bis in idem sostanziale). Le circostanze generiche si considerano come una sola circostanza e sono soggette al principio di bilanciamento ex art. 69.
La riforma del 2005
La legge di riforma del 2005 ha innovato anche in materia di circostanze attenuanti generiche, con l’aggiunta del 2° comma all’art. 69 bis che limita l’applicabilità della diminuzione di pena ai recidivi reiterati che siano autori di alcune tipologie delittuose previste dall’art. 407 del codice di rito.
L’art. 69 bis al 2° comma stabilisce che “ ai fini dell’applicazione del primo comma, non si tiene conto dei criteri di cui all’art. 133, 1° comma, in relazione ai delitti previsti dall’art. 407, comma 2°, lettera a) c.p.p., nel caso in cui siano puniti con la pena ella reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni.”
Questa disciplina si espone però a gravi riserve. L’obiettivo perseguito è quello di ridurre la discrezionalità valutativa del giudice ai fini della concedibilità delle circostanze generiche nelle specifiche ipotesi di recidiva reiterata, allo scopo di legare le mani al giudice, gli si preclude di tener conto dei criteri di commisurazione giudiziale (art. 133) che fanno riferimento all’intensità del dolo e alla capacità a delinquere del colpevole; con la conseguenza che la valutazione giudiziale dovrà incentrarsi soltanto sugli altri parametri indicati dal codice all’art. 133, e cioè a quelli a carattere oggettivo relativi alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, nonché alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e a ogni altra modalità dell’azione.
Questa preferenza accordata ai parametri di valutazione a carattere oggettivo implica che, secondo il legislatore, risulta giustificata una presunzione normativa a carattere assoluto, circa l’elevata intensità del dolo e l’elevata capacità a delinquere dei recidivi reiterati responsabili dei reati di cui trattasi; da qui l’inopportunità di continuare a devolvere al giudice il potere d valutare in concreto la gravità del reato ai fini della concessione delle attenuanti generiche facendo applicazione di tutti i criteri (oggettivi e soggettivi) previsti dal codice.
Questa scelta di comprimere gli spazi di discrezionalità del giudice è criticabile nel merito, perché irragionevole alla stregua dei principi generali di responsabilità penale: una volta che il legislatore in generale fa dipendere la valutazione giudiziale della gravità del reato dall’applicazione di criteri sia a carattere oggettivo che soggettivo, non si comprende quale sia la logica che consente di derogare ad alcuni di questi criteri con riferimento ad alcuni tipi di autori e ad alcune tipologie di illecito penale.
Il nuovo comma 3° dell’art. 62 bis c.p.
In sede di conversione del «decreto sicurezza» (decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 convertito nella l. 24 luglio 2008, n. 125), è stata introdotta una modifica di disciplina delle circostanze attenuanti generiche, volta a contenere il paventato rischio di un fin troppo facile o indulgenzialistico loro riconoscimento ad opera del giudice.
Precisamente, il nuovo terzo comma dell’art. 62 bis c.p. dispone infatti: «In ogni caso, l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma».
Il legislatore, escludendo d’autorità la rilevanza attenuante della semplice assenza di precedenti condanne, intende d’ora in avanti sollecitare i giudici a un maggiore impegno nel motivare le ragioni che giustificano la diminuzione di pena. Da questo punto di vista, l’aggiunta apportata alla disciplina precedente si traduce in una sorta di regola di giudizio, avente — appunto — come obiettivo di guidare e limitare la discrezionalità giudiziale in chiave anticlemenzialistica.
Ma una lunga esperienza storica insegna che una semplice aggiunta tstuale non basta di per sé a promuovere un formale riorientamento della prassi applicativa, se alla modifica formale della legge non si accompagna un reale mutamento della cultura giudiziale.
È appena il caso di esplicitare che anche questo monito legislativo ad evitare un ricorso indiscriminato all’attenuazione della pena, quale che ne sarà l’effettivo impatto sulla prassi futura, ben riflette la generale tendenza all’inasprimento repressivo che complessivamente caratterizza il «decreto sicurezza».