• Criteri soggettivi puri, che fanno prevalentemente leva sulle caratteristiche personali del soggetto agente (livello di intelligenza, grado di scolarizzazione e cultura …). L’individuazione di questi criteri, consente di personalizzare il giudizio di colpevolezza ma reca il rischio di esiti giudiziari manipolati per eccesso di indulgenzialismo o all’opposto di rigore ( non è facile in sede processuale disporre di criteri di valutazione della personalità così obiettivi e rigorosi da scongiurare il pericolo di giudizi falsati). Per tali ragioni il ricorso a questi criteri va circoscritto a ipotesi marginali, nelle quali i deficit di personalità dell’agente emergono in maniere incontrovertibile (soggetti che non sono in grado di percepire l’illiceità del fatto per carenza di socializzazione e cultura, come gli extracomunitari trasferitisi da poco tempo)
  • Criteri oggettivi puri, che tengono conto di cause che rendono impossibile la conoscenza della legge penale da parte di ogni consociato, quali che ne siano le caratteristiche personali. Vengono in rilevo le circostanze oggettive quali, l’assoluta oscurità del testo legislativo, un repentino mutamento della giurisprudenza, a causa del quale viene considerato illecito un comportamento prima lecito. Tali circostanze possono assumere rilevanza su di un piano che precede quello della colpevolezza in senso stretto. Come affermato nella sentenza 364/88 “intanto i cittadini hanno l’obbligo di osservare la legge penale, in quanto il legislatore adempia preventivamente il suo obbligo di rendere le norme riconoscibili”.

Riguardo i casi di assoluta oscurità del testo legislativo, ancor prima della colpevolezza viene meno l’esistenza di un precetto vincolante, il legislatore ha infatti violato il principio di sufficiente determinatezza della fattispecie e il principio di legalità, in quanto non è riuscito a definire con chiarezza i contorni del fatto di reato, e il cittadino non può essere chiamato a rispondere penalmente perché non esiste l’obbligo di osservare un precetto sostanzialmente inesistente e privo di contenuto riconoscibile.

Lo stesso vale per il mutamento repentino di giurisprudenza; il nuovo orientamento interpretativo per effetto del quale un fatto lecito diviene illecito, crea esso stesso il fatto di reato, in analogia a ciò che accade quando è il legislatore a introdurre nell’ordinamento una fattispecie incriminatrice, ciò che risulta violato è il principio di non retroattività delle incriminazioni, ed è questa la ragione , ancor prima della mancanza di colpevolezza, che giustifica l’impunità di chi agisce nella convinzione che un determinato comportamento non costituisca reato, facendo leva sull’orientamento giurisprudenziale precedente.

  • Criteri misti, tengono conto contemporaneamente delle circostanze oggettive e delle caratteristiche del soggetto agente. L’adozione di tali criteri si colloca sul terreno di uno colpevolezza che si preoccupa di bilanciare esigenze individual garantistiche ed esigenze general preventive. L’obiettivo perseguito è quello di scongiurare da un lato l’abuso repressivo (derivante dalla mancata considerazione della personalità dell’agente) edall’altro l’eccesso di clemenza giudiziale (derivante dalla considerazione della sola personalità dell’agente).

Tra le circostanze di natura oggettiva, capaci di assumere rilevanza vi sono:

  • Indicazioni fuorvianti fornite dalle autorità competenti
  • Autorizzazioni amministrative o prassi di abituale tolleranza della pubblica amministrazione
  • Emanazione di + sentenze, in contrasto l’una con l’altra.

Si tratta di circostanze esterne all’agente che possono seriamente precludergli la comprensione della regola d condotta da seguire in concreto.

Tra le circostanze di natura soggettiva sono da considerare:

  • Il livello di socializzazione e differenziazione culturale
  • Il ruolo sociale e la cerchia professionale di appartenenza dell’agente

Qui può essere applicato il criterio dell’homo ejusdem professioni set condicionis, cioè il contenuto e la misura dei doveri di conoscenza, relativi al carattere illecito di una certa azione, vanno determinati in rapporto al diverso campo di esperienza e al diverso livelli di socializzazione e cultura corrispondenti ai tipi di agente- modello , cui l’agente concreto è di volta in volta riconducibile. (es. non si può pretendere che un immigrato tunisino trapiantatosi da poco tempo in Italia conosca la legge penale come un cittadino italiano, o che un comune cittadino conosca tutte le norme circa la gestione si società commerciali allo stesso modo di colui il quale fa professionalmente l’imprenditore o il dirigente d’azienda.)

 

Caso

Un medico detentore di 2 pistole regolarmente denunciate, acquisisce una terza pistola e si presenta all’autorità competente per denunciarne il possesso, dichiarando il n. complessivo di armi possedute: l’autorità lo assicura che questa denuncia è sufficiente ai sensi della normativa in tema di armi. Invece secondo la legge costituisce reato detenere + di 2 armi comuni da sparo senza licenza di collezione rilasciata dal questore.

In tal caso il soggetto non si rende conto di commettere un reato, non perché personalmente convinto della liceità del fatto, ma perché indotto in errore da una fonte qualificata in materia. Considerato poi che il soggetto esercitava la professione del medico, può apparire giustificato che egli confidasse nel giudizio degli organi istituzionale ben + qualificati in materia (diverso sarebbe stato se il soggetto fosse stato un penalista)

In generale vale la regola che chi esercita una particolare attività professionale è tenuto a informarsi sulle leggi che ne disciplinano lo svolgimento.

Lascia un commento