All’interno della colpevolezza, assume rilevanza la coscienza dell’illiceità, intesa come elemento costitutivo autonoma: cioè come requisito distinto che si aggiunge all’imputabilità, al dolo o alla colpa e all’assenza di cause di discolpa.

Dato che si tratta di un requisito autonomo, la sua assenza lascia impregiudicata l’esistenza del dolo come coefficiente soggettivo che sorregge la realizzazione del singolo fatto di reato. (il dolo non include la coscienza dell’illiceità penale).

Infatti, se la colpevolezza esprime un rimprovero per il fatto criminoso commesso, il rimprovero risulterà tanto più giustificato quanto più il reo sia consapevole di aver realizzato un fatto contrastante con l’ordinamento giuridico. Il grado psicologico di appartenenza del fatto criminoso all’autore cresce, nella misura in cui il soggetto si rende conto del disvalore del comportamento realizzato.

Chi non sa di aver commesso un fatto contrario alle esigenze dell’ordinamento giuridico, non è in grado di sentire la pena né come una giusta retribuzione (teoria della retribuzione) per il male arrecato, né come uno strumento necessario a favorire il processo di risocializzazione.

Portata e limiti dell’affermazione “non esiste colpevolezza senza coscienza dell’illiceità”. Il tradizionale fondamento del principio ex art. 5

È da escludersi che la volontà colpevole richieda la piena conoscenza dell’illiceità penale, infatti, l’art. 5 c.p. accoglie il principio ignorantia legis non excusat, principio che, si riferisce tanto al caso di mancata conoscenza che a quello di erronea conoscenza della legge.

L’accoglimento di tale principio trovava, in origine, la sua ratio nell’incondizionata prevalenza della legge e degli interessi pubblici da essa rappresentati, rispetto ad una più puntuale valutazione delle condizioni personali che ne abbiano accompagnato la violazione, nel quadro di uno statalismo autoritario. La stessa Corte ha ritenuto in un primo tempo che, a legittimare tale principio nel nostro ordinamento, fosse sufficiente la possibilità di conoscere la norma penale: possibilità garantita dalla pubblicazione della legge, come atto che precede l’entrata in vigore della stessa e tramite il divieto di retroattività delle norme incriminatrici.

Ma lo stesso impatto con la prassi ha fatto apparire astratta e teoria oltre che iniqua, la pretesa dell’assolutezza del principio di inescusabilità dell’errore sulla legge penale. L’ordinamento penale moderno, infatti ricomprende oltre ai tradizionali c.d. delitti naturali (lesivi di valori etico- sociali tutela ti da quasi tutte le legislazioni storiche) anche delitti di pura creazione legislativa, cioè tipi di illecito penale che sono tali per volontà del legislatore, senza che ad essi preesista una diffusa disapprovazione sociale.

La massa crescente delle disposizioni penale, pone il cittadino spesso , in una condizione che favorisce l’ignoranza e/o erronea conoscenza della norma incriminatrice.

 

L’efficacia scusante della “buona fede”

Infatti, a seguito di pressioni esercitate dalla prassi, la stessa giurisprudenza aveva finito con l’accogliere l’opposto principio dell’efficacia scusante dell’error juris. È la giurisprudenza incline a riconoscere efficacia scusante alla buona fede nelle contravvenzioni, a condizione che la mancanza di coscienza della illiceità del fatto derivasse non dalla semplice ignoranza della legge, ma da un elemento positivo, consistente in una circostanza che inducesse alla convinzione della liceità del comportamento tenuto (es. il fatto che la P.A. rilasci un provvedimento concessiorio come concessione edilizia, se di per sé non garantisce il rispetto di tutte le condizioni che lo rendono legittimo, può comunque indurre il cittadino a confidare nella piena liceità del comportamento posto in essere, nel caso di specie costruzione edilizia abusiva.)

L’interpretazione correttiva dell’art. 5 alla cuce dell’art. 27, comma 1°, cost. la chiave di volta per l’interpretazione dell’art.5 è rappresentata dall’art. 27 comma 1° cost., il quale, sancendo il carattere personale della responsabilità penale, impedisce per ciò stesso di ritenere irrilevante la mancata percezione del disvalore penale del fatto commesso. Perché risulti attuabile la funzione rieducativa dell’art. 27 comma 3°, la risposta punitiva deve operare nei confronti di un soggetto che si trovi in condizione di avvertire il disvalore penale del fatto realizzato, diversamente, cioè se la legge risulta inconoscibile, si altera il rapporto di fiducia tra il cittadino e l’autorità che fa anche da premessa alla stessa disponibilità del reo al procedimento rieducativo.

Per soddisfare l’esigenza costituzionale di una maggiore compenetrazione tra fatto e autore, non è però necessario richiedere l’effettiva conoscenza da parte dell’agente del carattere criminoso del comportamento; si richiede solo la conoscibilità, ovvero la possibilità di conoscenza dell’illiceità. Diventa sufficiente, ai fini del rimprovero di colpevolezza, esigere che l’autore del fatto, prima di agire, sia in grado di percepire il carattere antigiuridico del fatto stesso.

La possibilità di conoscenza del carattere illecito del fatto rende evitabile e perciò inescusabile, l’ignoranza o l’errore in cui il soggetto eventualmente cada. Quindi, se l’agente nella situazione concreta poteva evitare di rimanere in uno stato di inconsapevolezza, questo basta per muovergli un rimprovero di colpevolezza; nessun addebito invece, gli si può muovere se nella situazione concreta non aveva alcuna possibilità di comprendere la portata illecita del fatto commesso.

Il concetto di conoscibilità della legge penale richiama due coppie di concetti simmetriche e opposte:

  • Evitabilità, inescusabilità dell’ignoranza, con conseguente riconoscimento della colpevolezza;
  • Inevitabilità, scusabilità dell’ignoranza, con conseguente assenza di colpevolezza.

La tesi secondo cui l’effettiva possibilità di conoscere la legge penale, costituisce un ulteriore requisito dell’imputazione soggettiva, ha ricevuto avallo dalla Corte Costituzionale che con la sentenza n. 364/88 è pervenuta a dichiarare parzialmente illegittimo l’art. 5 nella parte in cui non escludeva dal principio di inescusabilità dell’ignoranza della legge penale, i casi di ignoranza inevitabile e perciò scusabile.

Le argomentazioni della Corte si basano per lo più, sulla valorizzazione del collegamento sistematico tra 1° e 3° comma dell’art. 27 Cost. i giudici costituzionali si preoccupano anche di definire i c.d. doveri strumentali che incombono sui privato in vista dell’osservanza dei precetti penali aventi finalità strumentali proprio perché intesi a prevenire la trasgressione di leggi penali.

Tali adempimenti hanno fondamento costituzionale da ravvisare nell’esplicazione dei doveri di solidarietà ex art. 2. Chi adempia i doveri di conoscenza e nonostante ciò versi in uno stato di ignoranza circa il carattere penalmente illecito del fatto commesso, non può essere trattato, allo stesso modo di chi violi gli stessi doveri deliberatamente o per trascuratezza.

 

Lascia un commento