I fenomeni dell’etilismo e dell’intossicazione da stupefacenti sono presi in considerazione dal legislatore perché spesso contribuiscono alla genesi del crimine. Il codice prevede un trattamento articolato in base alla causa dello stato di ubriachezza (o di intossicazione da stupefacenti).

Ubriachezza accidentale (art. 91)

Si ha quando la perdita (totale o parziale) della capacità di autocontrollo è determinata da un fattore del tutto imprevedibile che impedisce di muovere al soggetto alcun rimprovero, oppure da una forza esterna inevitabile cui non si può opporre alcuna resistenza (es. operaio che lavora in una distilleria che si ubriaca a causa di un guasto dell’impianto). “L’ubriachezza esclude l’imputabilità solo se dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Se l’ubriachezza è tale da far scemare, ma non escludere la capacità di intendere e di volere, la pena è diminuita.” La stessa disciplina vale per l’intossicazione accidentale da stupefacenti.

Ubriachezza volontaria o colposa (art. 92)

Non fa scemare né esclude l’imputabilità, e lo stesso vale per la volontaria intossicazione da stupefacenti. La ratio della disposizione risiede nel fatto che chi si è ubriacato volontariamente o per leggerezza, non può pretendere di accampare scuse; se realizza un reato, deve risponderne come se fosse pienamente capace di intendere e di volere. Però in ogni caso, non si può escludere che al momento del fatto l’autore fosse incapace di intendere e di volere.

Una parte della dottrina sosteneva che, per accertare l’elemento psicologico del reato commesso dall’ubriaco, occorresse risalire al momento nel quale egli si pone in condizioni di ebbrietà: per cui il reato sarebbe doloso o colposo a seconda che l’ubriaco, prima di commetterlo si sia ubriacato volontariamente o involontariamente. (es. se Tizio partecipando ad una cena con amici, non riesce a controllarsi e finisce col perdere l’autocontrollo, ove provochi in tale stato la morte di una persona, risponderà comunque di omicidio colposo, e ciò sia che l’evento consegua ad un involontario incidente stradale, dovuto ad eccesso di velocità, sia che derivi da una decisione volontaria influenzata dallo stato di ubriachezza (ira)).

In tal modo però, si confonde lo stato psicologico che provoca la condizione di ubriachezza, con quello che accompagna la commissione del reato; ed inoltre, vi è il rischio di punire come colposi delitti commessi volontariamente (es. Tizio ubriaco uccide Caio che lo prende in giro per scherzo), e punire viceversa come dolosi, delitti involontari che seguono ad uno stato di ubriachezza volontario (es. Tizio ubriaco investe Caio con l’automobile per imprudenza).

L’orientamento dominante, infatti, propende per una soluzione diversa: si ritiene che il dolo o la colpa dell’ubriaco vadano accertati con riferimento al momento nel quale il reato viene commesso. Questa soluzione permette di evitare le possibili sfasature tra gli atteggiamenti psicologici relativi rispettivamente, allo stato di ubriachezza e alla commissione del reato.

Anche a tale orientamento è opponibile però una obiezione, per altro difficilmente superabile, che trae origine dalla circostanza che l’art. 92 comma 1° introduce una “finzione di imputabilità”. Cioè, considerato imputabile dal codice per ragioni repressive, l’ubriaco in realtà si trova in una condizione psicologica che non gli consente sufficienti capacità di discernimento e di autocontrollo … allora non ha senso distinguere tra dolo e colpa nella condotta di una persona che, quando compie il fatto punibile, non è più in grado a causa dell’ubriachezza di rendersi conto del significato dei suoi atti.

Il dolo dell’ubriaco equivale ad un impulso psicologico volontario, ma la volontà non è davvero consapevole; la colpa dell’ubriaco equivale a mera violazione di una misura oggettiva del dovere di diligenza. Ma in tal modo la finzione di imputabilità finisce col tradursi in una “finzione di elemento soggettivo” del reato commesso: quindi si tratterebbe di un’ipotesi di responsabilità oggettiva mascherata.

Per rendere l’art. 92 più compatibile con i principi costituzionali della responsabilità penale, parte della dottrina muove dal rilievo che la disposizione in esame si limita ad affermare che l’ubriachezza lascia sussistere la piena imputabilità, senza dire che tale imputabilità implichi automaticamente la colpevolezza per il reato commesso. Il soggetto risponderà a titolo di dolo (eventuale) se si è ubriacato nonostante la previsione della commissione del reato ed accettandone il rischio; sarà imputabile a titolo di colpa se il reato, al momento in cui il soggetto si ubriacò, fu previsto ma non accettato o comunque era prevedibile ed evitabile come conseguenza dell’ubriachezza, sempre che si tratti di reato previsto dalla legge come reato colposo.

Anche tale terza impostazione non è esente da obiezioni, infatti, non è possibile accettare in giudizio un dolo eventuale o una colpa rispetto alla futura commissione di fatti criminosi, che potrebbero anche essere sufficientemente lontani e determinati da circostante imponderabili che sfuggono al potere di controllo di chi sta per ubriacarsi.

È perciò auspicabile una riforma della disciplina in modo da renderla più compatibile col principio di colpevolezza.

 

Ubriachezza preordinata (art. 92 comma 2°)

 È tale quando è provocata al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusa. In tale ipotesi il soggetto si ubriaca allo scopo di commettere un reato, ciò perché lo stato di ubriachezza facilita la commissione di un fatto criminoso che lo stesso soggetto non sarebbe capace di commettere o commetterebbe con maggiori difficoltà, in condizioni di normalità.

Ubriachezza abituale (art. 94 commi 1°e 3°) non solo non esclude né diminuisce l’imputabilità, ma comporta anche un aumento di pena e la possibilità di applicare la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia ovvero della libertà vigilata. L’abitualità è subordinata al ricorrere di due presupposti:

  • Dedizione all’uso eccessivo di bevande alcoliche (o stupefacenti)
  • Frequente stato di ubriachezza (o di intossicazione)

Questo trattamento penale rigoroso appare oggi discutibile, perché ha come base la teoria della colpevolezza per la condotta di vita; c’è la concezione contraddittoria dell’ubriaco abituale come un vizioso che deve rispondere della sua condotta di vita e come un soggetto bisognoso di trattamento riabilitativo. Anche qui è auspicabile che la disciplina venga abolita.

Cronica intossicazione (art. 95) da alcol o da stupefacenti può arrivare a escludere o far scemare grandemente la capacità di intendere e di volere. È definibile intossicazione cronica quella che provoca alterazioni patologiche permanenti, tali da far apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte ad una vera e propria malattia psichica.

 

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