Premessa
Perché il fatto commissivo sia punibile non deve essere solo tipico e antigiuridico, ma anche colpevole. La colpevolezza è, quindi, il terzo elemento costitutivo del reato.
Il ruolo della colpevolezza
Il ruolo centrale del principio di colpevolezza è confermato dalla sua rilevanza costituzionale, come si desume:
- dall’art. 27, comma 1° Cost. che sancisce il principio della personalità della responsabilità penale. Inoltre, secondo un’interpretazione diffusa, tale principio va inteso non solo nel significato minimo di divieto di responsabilità per fatto altrui, ma nel senso più pregnante di responsabilità per fatto proprio colpevole. Il legislatore ha quindi, espresso il principio secondo cui, l’applicazione della pena presuppone l’attribuzione psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del soggetto.
Come ha chiarito la Corte Cost. in una serie di sentenze, il fatto criminoso può essere imputato al suo autore solo se il fatto stesso gli sia attribuibile almeno a titolo di colpa; ove non vi sia né dolo né colpa, viene meno il carattere personale dell’addebito, ed un’eventuale attribuzione di responsabilità si porrebbe in contrasto con l’art. 27 della Cost.
- dall’art. 27 comma 3° che sancisce il finalismo rieducativo della pena. Se fosse sufficiente, ai fini dell’assoggettamento a pena, il semplice fatto di cagionare materialmente un evento lesivo, senza poter rivolgere all’agente nessun rimprovero, neppure di mera disattenzione, la pretesa rieducativa dello Stato non avrebbe più senso. Infatti, chi agisce senza dolo o colpa non manifesta nessuna volontà di ribellione o indifferenza nei confronti dei beni protetti, per cui manca l’elemento psicologico di contrasto con l’ordinamento giuridico che giustificherebbe la necessità di educare al rispetto delle regole di convivenza. Inoltre, la punizione finirebbe con l’essere arbitraria, verrebbe vista come ingiusta e ciò anziché disporre l’agente psicologicamente alla prospettiva di rieducazione, provocherebbe l’effetto contrario di rafforzare in lui i sentimenti di ostilità verso l’ordinamento.
La Corte Cost. nella sent. 364/88 ha affermato che comunque si intenda la funzione rieducativa, essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendo almeno in colpa, non ha bisogno di essere rieducato.
L’idea della colpevolezza presuppone il rifiuto della fattispecie della responsabilità oggettiva: subordinare la punibilità alla colpevolezza equivale cioè a bandire ogni forma di responsabilità per accadimenti dovuti al mero caso fortuito.
Inoltre risulta inammissibile la figura della colpa d’autore; la colpevolezza può solo significare colpa per il fatto (lesivo di un bene penalmente protetto) e non colpevolezza per il carattere o per la condotta di vita.
- La teoria della colpevolezza per il carattere pretende che all’agente si possa muovere l’addebito di non avere frenato in tempo le pulsioni antisociali, in modo da formarsi un carattere meno propenso a delinquere.
- La teoria per la colpevolezza della condotta di vita, pretende di incentrare il giudizio di disapprovazione sullo stesso modello o stile di vita e sulle scelte esistenziali del reo, che sarebbero all’origine della inclinazione al delitto. Una colpevolezza così ancorata alla personalità dell’agente, contribuirebbe a spiegare la struttura di alcuni reati (come lo sfruttamento di prostitute) nonché la recidiva o i casi di ubriachezza abituale.
Obiezioni
L’orientamento tipico del nostro diritto impone di individuare il nucleo centrale del disvalore penale nel fatto offensivo di un interesse tutelato; ne discende che anche la colpevolezza deve assumere a punto di riferimento il singolo fatto di reato. In secondo luogo, la tendenza a ravvisare il carattere personalistico della responsabilità penale in un giudizio di colpevolezza basato sull’atteggiamento spirituale del reo, rischia di collocare il centro di gravità sul modo di essere dell’agente, sulla sua minore o maggiore malvagità.
Colpevolezza e pericolosità sociale
Il concetto di colpevolezza si contrappone a quello di pericolosità sociale: il primo, che riguarda solo i soggetti capaci di intendere e di volere, esprime un rimprovero per la commissione di un fatto delittuoso; il secondo, privilegia la personalità dell’autore e fa riferimento, più che a un fatto di reato già commesso, alla probabilità che l’autore continui a delinquere i futuro. Mentre la colpevolezza costituisce presupposto dell’applicazione della pena in senso stretto, la pericolosità giustifica l’applicazione di una misura di sicurezza.
Tale distinzione, chiara sotto il profilo teorico, tende a sfumare dal punto di vista pratico, sia perché i giudici tendono ad emettere giudizi unitari sull’autore del reato, che finiscono col non distinguere tra atteggiamento psicologico riferito al singolo reato commesso e personalità complessiva del soggetto; sia perché esistono vari istituti che presentano una natura ibrida, nel senso che possono essere ricostruiti privilegiando o il piano della colpevolezza o il piano della pericolosità (es. capacità a delinquere).