La teoria della causalità adeguata
In origine, questa teoria è stata prospettata come correttivo alla teoria condizionalistica nella sfera dei delitti c.d. aggravati dall’evento. Quindi, la teoria della causalità adeguata non rinnega quella condizionalistica ma, fra i molteplici antecedenti causali equivalenti, tende a selezionare quelli veramente rilevanti in sede giuridico- penale. L’esigenza di selezionare gli antecedenti si avverte soprattutto nei casi di decorso causale atipico, caratterizzati da una successione di eventi che fuoriesce dagli schemi di un’ordinaria prevedibilità.
Secondo tale teoria è considerata causa, quella condizione che è tipicamente idonea o adeguata a produrre l’evento in base ad un criterio di prevedibilità basato sull’id quod plaenrumque accidit. I criteri di accertamento della generale attitudine causale dell’azione sono quindi, costituiti dai giudizi di probabilità che si emettono ella vita pratica.
I sostenitori di tale teoria, per evitare di ricorrere ad una diverso metodo solo nel caso della fattispecie dei reati aggravati dall’evento l’hanno proposta come teoria generale, affermando che il rapporto di causalità sussiste tutte le volte in cui non sia improbabile che l’azione produca l’evento. Il giudizio di probabilità va effettuato sulla base delle circostanze presenti al momento dell’azione e conoscibili ex ante da un osservatore avveduto, con aggiunta di quelle superiori eventualmente possedute dall’agente in concreto (criterio di prognosi postuma o ex ante in concreto).
Così esposta tale teoria non riesce sempre a delimitare la responsabilità ( es. A provoca una ferita grave a B il quale, quasi guarito, muore in seguito ad un incendio dell’ospedale. In questo caso un giudizio ex ante farebbe sì che la ferita risulti adeguata a produrre l’evento morte e ovviamente è sproporzionato accollare la morte dovuta all’incendio ad A).
Una delle principali critiche mosse a questa teoria prendono spunto proprio dall’incapacità di risolvere casi in cui l’azione criminosa appare ex ante idonea a cagionare l’evento e questo si verifica tuttavia, per il sopraggiungere di cause imprevedibili.
La dottrina allora ha suggerito di scindere il giudizio in 2 fasi una anteriore e una posteriore al verificarsi dell’evento:
- In base al giudizio ex ante occorre verificare se non appaia improbabile che all’azione consegua un evento del genere di quello contemplato dalla norma;
- In base al giudizio ex post bisogna verificare se l’evento concreto realizzi il pericolo tipicamente connesso all’azione delittuosa.
Il caso di prima risulta così risolvibile, infatti, l’azione di A che infligge una ferita grave a B si rivela ex ante idonea a cagionare l’evento morte in astratto, ma la morte del ferito per l’incendio (evento concreto) non rappresenta una concretizzazione del rischio tipicamente connesso all’azione del ferire, per cui il nesso di causalità è da escludere.
In ogni caso la teoria si espone a critiche difficilmente superabili.
- Non è agevole conciliare il requisito della prevedibilità ex ante dell’evento con l’accertamento della causalità che invece, dovrebbe basarsi su un giudizio ex post di natura oggettiva, cioè che prescinde dalle capacità di previsione dell’agente (modello e concreto).
- La teoria in esame finisce con l’includere nell’ambito della causalità, considerazioni che appartengono alla sfera della colpevolezza;
- Inoltre lo stesso concetto di adeguatezza, in quanto fondato su giudizi di probabilità, è soggetto ad applicazioni incerte.
Teorie minori: la causalità umana
La teoria della causalità umana è quella che ha avuto, tra le teorie minori, maggiore diffusione nell’ambito della dottrina e giurisprudenza italiana. La premessa da cui muove questa teoria è che possono considerarsi causati dall’uomo soltanto i risultati che egli può dominare in virtù dei suoi poteri conoscitivi e di controllo, che rientrano cioè nella sua “sfera di signoria”, mentre non possono essere da lui causati quelli che, per contro, sfuggono al suo potere di dominio.
Antolisei, principale sostenitore di tale teoria, affermava che “non tutti gli effetti anormali, o atipici, come ritiene la teoria della causalità adeguata, sono i risultati che sfuggono al potere di signoria dell’uomo”. Ciò che sfugge veramente è il “fatto” che ha una probabilità minima, insignificante di verificarsi: il fatto eccezionale.
Per l’esistenza del rapporto di causalità necessitano due elementi:
- Uno positivo: che l’uomo con la sua azione abbia posto in essere una condizione dell’evento, e cioè un antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato.
- Uno negativo: che il risultato non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali.
In realtà tale teoria non fornisce un criterio valido per distinguere i fattori atipici dai fattori eccezionali, infatti, asserire che è eccezionale quel fattore che ha una probabilità minima di verificarsi, significa ribadire il criterio dell’adeguatezza. Lo stesso concetto di eccezionalità è dunque relativo.
La conferma dell’incapacità di questa teoria a proporsi come autonoma rispetto a quella della causalità adeguata, è fornita dalla circostanza che i casi addotti a esemplificazione del ricorrere di un fattore eccezionale, sarebbero già risolubili alla stregua della causalità adeguata. Inoltre il concetto di signoria (come dominabilità del fatto attraverso i poteri conoscitivi e volitivi) richiama criteri di imputazioni che coinvolgono il problema della colpevolezza.