Introduzione

L’amministrazione risponde dei danni ingiusti provocati dalla sua azione, svolta mediante strumenti pubblicistici o privatistici, a titolo di responsabilità extracontrattuale (cui si affianca anche una responsabilità precontrattuale e contrattuale), come qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento. Quindi, come la responsabilità civile dei privati trova la sua disciplina nel codice civile, così lo stesso vale per la responsabilità della pubblica amministrazione.

Si riteneva che l’amministrazione non dovesse rispondere civilmente dei suoi comportamenti, come gli altri operatori giuridici, poiché lo Stato sovrano, immune da responsabilità, era un soggetto dotato di prerogative speciali e la cui azione era rivolta alla tutela dell’interesse pubblico. Al privato danneggiato non spettava, quindi, alcun rimedio. Tuttavia, reggendosi il binomio sovranità-immunità sui due cardini del potere speciale e della dimensione pubblica dell’interesse perseguito, caduti questi, il principio di immunità è stato lentamente superato.

Da un lato, il potere esercitato non è più qualificato speciale e sovrano, sinonimi di immunità. Dall’altro, l’attività amministrativa si svolge in campi diversi e con strumenti diversi, tanto pubblicistici, quanto privatistici, e non è più supportata da un interesse pubblico unitario che pervade di sé ogni atto.

Ne consegue che la responsabilità civile dell’amministrazione è pienamente assimilabile nella sua disciplina a quella degli altri soggetti di diritto comune (non incontra limitazioni). Anzi, per certi versi, tale responsabilità è ancora più ampia della responsabilità dei soggetti privati, perché essa si estende ad aree e profili che non rilevano per l’attività dei privati, come accade, ad esempio, per la responsabilità c.d. procedimentale e per la responsabilità da servizio pubblico.

 

Disciplina costituzionale

L’art. 113 cost. prevede un sistema di tutela generalizzata, dinanzi al giudice, contro ogni e qualsiasi atto dell’amministrazione. Si prevede che tutti gli atti sono ricorribili ed è sempre ammessa la tutela dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela, quindi, non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

L’art. 28 cost. è scorporabile in due proposizioni fondamentali. Da un lato, il funzionario e il dipendente dello Stato e dell’ente pubblico è direttamente responsabile per gli atti compiuti in violazione di diritti, ma la concreta definizione della disciplina è rimessa alle leggi penali, civili e amministrative (responsabilità solidale).

Dall’altro, solo la responsabilità civile si estende in via solidale alla persona giuridica del singolo ente pubblico, in ragione delle sue più ampie risorse (rispetto a quelle personali del dipendente) che garantiscono meglio il ristoro e la riparazione del danno. Dove c’è responsabilità dell’agente c’è anche responsabilità dell’amministrazione. Il soggetto terzo danneggiato ingiustamente dal dipendente nell’esercizio dei compiti propri dell’amministrazione potrà quindi rivalersi non solo sul dipendente ma sull’amministrazione di appartenenza.

Lo statuto del pubblico impiego (DPR 3/1957) costituisce una normativa generale sulla responsabilità dei dipendenti e dei funzionari che, pur nel rispetto della disciplina comune dell’illecito civile, prevede particolari modalità di attivazione. Con essa si definiscono il danno ingiusto e i criteri di imputazione della condotta dannosa, si determinano alcune fattispecie particolari, si indicano le modalità procedimentali per l’attivazione della responsabilità e si specificano, infine, le cause di esclusione (fra le quali rilevano l’esecuzione dell’ordine, la legittima difesa, l’azione o l’omissione costretta con violenza).

Secondo questa disciplina, la responsabilità personale del dipendente è limitata ai casi di violazioni commesse per dolo o colpa grave, mentre la disciplina del codice civile comprende tutte le ipotesi di colpa. La pubblica amministrazione, quindi, risponde del danno provocato anche in caso di colpa lieve o quando l’agente resta anonimo.

Ai fini dell’applicazione di tale statuto non è richiesto un effettivo rapporto di impiego, bensì è sufficiente che sussista un rapporto di servizio fra amministrazione e agente. In altre parole, la responsabilità per l’esercizio di attribuzioni o funzioni pubbliche può farsi valere sia nei confronti dei funzionari professionali, sia nei confronti dei funzionari onorari.

Il dipendente che agisce per finalità estranee all’attività della pubblica amministrazione, violando diritti dei terzi, è responsabile di quanto compiuto secondo le norme del codice civile, per cui risponderà anche per colpa lieve. Venendo meno, infatti, il collegamento tra danno provocato e esercizio dei compiti pubblicistici, non trova più applicazione lo statuto del pubblico impiego, che, definendo i criteri di imputazione della condotta, limita la responsabilità personale dell’impiegato. In tal caso, l’ente pubblico non deve rispondere dei danni arrecati dai propri dipendenti.

È devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti (giudice contabile) l’azione di rivalsa dell’amministrazione, che abbia risarcito i danni arrecati a terzi dal pubblico impiegato. Quest’ultimo è responsabile, secondo quanto stabilisce il testo unico n. 3/1957, per la violazione degli obblighi di servizio ed è tenuto a rifondere l’ente pubblico di quanto pagato a coloro i quali abbiano esperito con successo l’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione.

 

Lascia un commento