L’autorizzazione è una tecnica di controllo sulle attività private. L’esplicazione di molte attività (guidare un autoveicolo, possedere un’arma, andare a caccia, esercitare un commercio, costruire o ristrutturare un immobile e così via) può ledere interessi pubblici (la sicurezza dei cittadini, la salute o l’affidamento dei consumatori, lo sviluppo dell’economia, il paesaggio e l’assetto del territorio, la stabilità degli edifici e così via).

Di conseguenza, la liceità del loro svolgimento è spesso condizionata all’esito positivo di un controllo preventivo. Le autorizzazioni, quindi, sono atti favorevoli per il privato – e i relativi procedimenti sono a iniziativa di parte – ma il regime autorizzatorio nel suo complesso non lo è, perché implica una restrizione della possibilità di svolgimento di determinate attività.

L’autorizzazione, comunque, è spesso fungibile con altre tecniche di controllo. Quest’ultimo, infatti, può non essere necessario né preventivo. Per esempio, per ascoltare musica e per stabilire il prezzo dei prodotti in vendita non c’è bisogno di alcuna autorizzazione: ma se la musica viene ascoltata in un orario e a un volume tali da disturbare i vicini, questi possono rivolgersi alle forze dell’ordine, per ottenere la sua interruzione; e se diverse imprese si accordano per operare prezzi tali da falsare il gioco della concorrenza, esse vengono sanzionate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. In queste ipotesi, il controllo è successivo ed eventuale.

A volte non può non esserlo, perché lo svolgimento di determinate attività private costituisce esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione, che non tollera l’imposizione di regimi autorizzatori: sarebbe incostituzionale, per esempio, una legge che imponesse un’autorizzazione per riunirsi, per costituire un’associazione, per manifestare la propria opinione o per pubblicare un libro o un articolo; i pubblici poteri, quindi, possono intervenire solo successivamente, per sanzionare le violazioni (per esempio, per sciogliere una riunione pericolosa o violenta o per punire la diffamazione a mezzo stampa).

Al di là di queste ipotesi, il legislatore può decidere se privilegiare l’interesse privato allo svolgimento dell’attività o quello pubblico, che può esserne danneggiato: nel primo caso, sottoporrà l’attività a un controllo eventuale e successivo (per esempio, quello dei vigili urbani sul rispetto delle prescrizioni urbanistiche e del regolamento edilizio), nel secondo a un regime autorizzatorio (per esempio, il permesso di costruire).

La tendenza attuale è nel senso di una maggiore tutela del primo e, quindi, di un alleggerimento del controllo sulle attività private, a causa di tre fattori:

– il diritto europeo,

– la politica di semplificazione

– la politica di liberalizzazione.

Spesso, il diritto europeo considera i regimi autorizzatoli strumenti di restrizione dell’accesso ai mercati, che viene condizionato alla decisione discrezionale di un’autorità amministrativa. In vari settori, dunque, le norme e la giurisprudenza comunitarie tendono alla sostituzione del regime autorizzatorio con un regime diverso: per esempio, quello dell’ autorizzazione generale (che è un atto generale e non un’autorizzazione) seguita da una denuncia di inizio di attività del privato (così in materia di telecomunicazioni).

In altri casi, esse mantengono il regime autorizzatorio, ma definiscono i caratteri delle autorizzazioni, stabilendo che esse devono rispettare i principi di oggettività, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e così via (l’autorizzazione all’attività bancaria, per esempio, ha perso il carattere discrezionale che aveva in precedenza).

Sono decisamente recessive, quindi, le autorizzazioni ”in funzione di programmazione”, largamente discrezionali, volte appunto a orientare l’attività di operatori privati al perseguimento di fini e all’attuazione di piani stabiliti dai pubblici poteri.

Ai sensi della legge n. 241/90, le abilitazioni possono essere sostituite dalla denuncia del privato di inizio attività ovvero dal silenzio-assenso della pubblica amministrazione.

Gli art. 19 e 20, legge n. 241/1990, hanno disposto un nuovo assetto normativo per le autorizzazioni: in particolare, essa prevede che appositi regolamenti stabiliscano quali tra un complesso di atti definiti autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi, nonché tra altri atti di consenso, individuati dalla legge stessa, possano essere sostituiti da una denuncia di inizio dell’attività (salvo verifica d’ufficio dei presupposti e dei requisiti da parte dell’autorità competente, con eventuale divieto di prosecuzione e rimozione dei suoi effetti ovvero con conformazione dell’interessato alla normativa) o dal silenzio-assenso della pubblica amministrazione (salvo annullamento dell’atto di assenso illegittimamente formato, dopo che l’interessato abbia lasciato trascorrere inutilmente il termine per sanare i vizi).

In ambedue i casi, risulta evidente l’intento di rendere meno gravosa un’attività privata, sottoposta a controlli amministrativi con contenuto discrezionale molto limitato. Dal primo regime, sono escluse le concessioni edilizie e le autorizzazioni relative alle cose di interesse artistico o storico, alle bellezze paesistiche e alla tutela dell’ambiente, nonché tutti gli atti per il cui rilascio è necessario compiere accertamenti tecnici (come l’esame di guida) e sono previsti limiti o contingenti (per esempio, un numero massimo di permessi).

Il secondo regime si applica a tutti i procedimenti espressamente elencati nel dPR n. 300/1992.

 

 

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