L’annullamento, inoltre, può essere parziale, se riguarda solo una parte del contenuto del provvedimento. Gli ulteriori provvedimenti, consequenziali a quello annullato, sono affetti da illegittimità derivata: essi, nella maggior parte dei casi rimangono esistenti ed efficaci, ma possono essere a loro volta annullati. L’annullamento impone, poi, di eliminarne le conseguenze materiali del provvedimento: per esempio, di restituire il bene in seguito all’annullamento dell’occupazione d’urgenza.
In seguito all’annullamento del provvedimento l’amministrazione rimane titolare del potere amministrativo, che può nuovamente essere esercitato. Nell’esercitarlo, peraltro, deve ovviamente evitare di emanare un provvedimento affetto dallo stesso vizio del precedente e deve adeguare la propria attività alle statuizioni contenute nell’atto di annullamento.
L’inesistenza può essere dovuta ad anomalie strutturali dell’atto, come l’assenza di volontà o di oggetto: per esempio, l’assenza di sottoscrizione nell’esternazione scritta o la mancata indicazione del bene espropriato nell’espropriazione. Si tratta, però, di ipotesi molto rare.
La nullità
Più spesso, l’inesistenza del provvedimento dipende dall’inesistenza del potere amministrativo: se il soggetto che pone in essere un atto non è titolare del corrispondente potere, l’atto non può essere considerato esercizio di quel potere. L’atto adottato in Carenza di Potere è inesistente.
La nozione di inesistenza, ovviamente, assume rilievo solo nei casi in cui si pone il problema dell’esistenza di un provvedimento: quindi, in presenza di un atto qualificato come provvedimento o, comunque, di una fattispecie che presenta qualche aspetto comune a quella provvedimentale, ma che non possa essere considerata atto di esercizio di un potere amministrativo, per via di una difformità particolarmente grave (per esempio, nel caso di presa di possesso di un immobile da parte della forza pubblica, senza la previa comunicazione di un provvedimento di espropriazione o di occupazione).
In queste ipotesi, affermare l’inesistenza di un provvedimento significa non solo negarne gli effetti, ma anche negare la giurisdizione del giudice amministrativo, a favore di quella del giudice ordinario (al quale il proprietario del bene potrà rivolgersi, chiedendo la tutela della proprietà o del possesso).
La carenza di potere, nozione particolarmente importante in sede di riparto della giurisdizione, può dipendere da varie circostanze:
– Un caso è quello in cui nessuna norma attribuisce ad alcuna autorità il potere amministrativo che si pretende di esercitare. È raro, si pensi ad atti di imposizione di un tributo non previsto da alcuna legge.
– In secondo luogo, essa è determinata dalla incompetenza assoluta.
– In terzo luogo, può dipendere dall’assenza del presupposto necessario per l’esercizio del potere (come la dichiarazione di pubblica utilità rispetto al decreto di espropriazione): si parla, in questo caso, di carenza di potere in concreto, perché l’amministrazione è (astrattamente) titolare del potere esercitato.
– In quarto luogo, essa si ha quando il provvedimento è emanato in violazione del giudicato, ove da questo derivi, a carico dell’amministrazione, l’obbligo di emanare un atto il cui contenuto sia integralmente desumibile dalla sentenza.
Le cause di nullità
In alcuni casi, le norme prevedono la nullità di certi provvedimenti, per la violazione di definite norme:
– assunzioni operate dalle pubbliche amministrazioni senza concorso;
– inquadramento di dipendenti pubblici in violazione delle norme;
– conferimento di incarichi a dipendenti di altre amministrazioni, senza l’autorizzazione delle stesse;
– atti privi di copertura finanziaria;
– provvedimenti emanati da organi amministrativi scaduti.
Si tratta di ipotesi diverse, almeno astrattamente, da quelle relative alla annullabilità e all’inesistenza: vi è, infatti, un atto riconoscibile come provvedimento amministrativo, espressione di un potere amministrativo del quale l’autorità emanante è titolare; questo provvedimento, tuttavia, non produce alcun effetto giuridico. Ciò avviene non perché manchi il potere o perché esso non possa essere esercitato, bensì perché il provvedimento è affetto da un vizio al quale l’ordinamento, eccezionalmente, reagisce con la radicale privazione di efficacia.
Tuttavia, il regime di questi atti è analogo a quello dei provvedimenti inesistenti. I provvedimenti nulli non hanno neanche la limitata rilevanza giuridica che il codice civile riconosce ai contratti nulli (per esempio, ai fini della conversione). Di conseguenza, la distinzione tra inesistenza e nullità è solo teorica.
L’irregolarità
L’irregolarità è la condizione del provvedimento caratterizzato da una difformità, rispetto allo schema normativo, il cui rilievo non è tale da viziare il provvedimento. Si tratta, quindi, di una condizione diversa dall’invalidità: a essa la giurisprudenza fa spesso riferimento proprio per evitare l’annullamento di atti la cui anormalità non sia tale da pregiudicare gli interessi tutelati dalle norme.
L’irregolarità è una figura applicata dalla giurisprudenza soprattutto per anomalie relative all’esternazione (difetto dell’intestazione; mancata indicazione della data o del numero di protocollo; errore nella citazione dei testi normativi o nell’indicazione degli atti preparatori; inesatta indicazione dei membri di un organo collegiale o dei loro nomi e così via) o per atti di organi collegiali (per esempio, l’irregolarità nella convocazione o nella fissazione dell’ordine del giorno è sanata dalla partecipazione di tutti i componenti alla riunione e dall’assenza di loro obiezioni sugli argomenti all’ordine del giorno). L’irregolarità, comunque, non incide sulla validità né sull’efficacia del provvedimento, ma può rilevare ad altri fini, in particolare in ordine alla responsabilità del dipendente che ha predisposto o emanato il provvedimento stesso.