L’incompetenza

All’incompetenza sono normalmente ricondotti i vizi relativi al soggetto.

Vi rientra, in primo luogo, il caso in cui il provvedimento sia stato emanato da un organo diverso da quello competente, nell’ambito della stessa amministrazione: per esempio, dal sindaco invece che dal consiglio comunale, dall’assessore invece che dalla giunta regionale.

A seguito dell’introduzione nell’ordinamento del principio di distinzione tra indirizzo politico e gestione, nell’incompetenza rientrano anche le violazioni delle competenze degli organi politici (come il ministro e il sindaco) e i dirigenti.

Rientra nell’incompetenza anche il difetto di attribuzione, se il provvedimento sia stato emanato da un organo che, oltre a non essere competente, appartenga ad amministrazione diversa da quella titolare del potere. Ciò avviene nei casi meno gravi, nei quali il difetto di attribuzione determina l’incompetenza relativa, che è una forma di illegittimità. Nei casi più gravi, invece, il provvedimento emanato in difetto di attribuzione è affetto da incompetenza assoluta, la quale determina carenza di potere e, quindi, inesistenza del provvedimento.

La distinzione tra le due ipotesi è alquanto difficile: il criterio posto dalla giurisprudenza è quello della titolarità, in capo all’amministrazione che ha emanato l’atto, di funzioni nella relativa materia: se essa opera in settori del tutto diversi, si ha incompetenza assoluta; se, viceversa, i compiti in quella materia sono ripartiti tra più amministrazioni, tra le quali quella che ha emanato il provvedimento, si ha incompetenza relativa. Così, se l’occupazione di urgenza di competenza del prefetto è disposta dal presidente della giunta regionale, si avrà incompetenza relativa, e non assoluta, se si tratta di materia nella quale vi sono competenze regionali.

Infine, nell’incompetenza viene spesso incluso il difetto di legittimazione, quindi vizi come quelli derivanti dall’incompatibilità, dalla violazione dell’obbligo di astensione, dall’irregolare composizione o convocazione degli organi collegiali.

 

La violazione di legge

La violazione di legge può derivare:

– dalla violazione di norme procedimentali (comprese, ovviamente, quelle della legge n. 241/1990),

– dall’assenza dei presupposti necessari per l’adozione del provvedimento o dalla loro errata valutazione,

– da vizi dell’esternazione,

– dalla violazione di espliciti divieti contenuti nelle norme e così via.

La legittimità del provvedimento amministrativo va valutato anche alla stregua delle norme comunitarie applicabili: il provvedimento dell’autorità amministrativa nazionale, che violi simili norme, è illegittimo.

Ciò vale anche nel caso in cui la violazione del diritto comunitario dipende dal rispetto di quello interno, cioè se il provvedimento rispetta le norme nazionali ma viola quelle comunitarie.

Per la diretta applicabilità del diritto comunitario, infatti, in presenza di un contrasto tra diritto comunitario e diritto interno le amministrazioni pubbliche devono applicare il primo e non il secondo: se ciò non avviene, il provvedimento è illegittimo.

 

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