Individuare i requisiti che un atto deve avere per essere un provvedimento, cioè un atto di esercizio di un potere amministrativo, attiene al problema della struttura del provvedimento: per esempio, riguarda lo stabilire se una certa sanzione amministrativa è stata irrogata, cioè se con un certo atto il relativo potere è stato esercitato e l’obbligazione pecuniaria è sorta. Diversamente, il problema dei caratteri del provvedimento concerne l’individuazione dei caratteri che differenziano il provvedimento dagli altri atti giuridici: per esempio, determinare se l’atto di irrogazione di una sanzione pecuniaria è o non è un provvedimento amministrativo.
Esistenza e requisiti del provvedimento
Un provvedimento può ben essere esistente, cioè riconoscibile come tale, ma invalido; ciò vuol dire che la fattispecie concreta è difforme dalla previsione normativa, ma non a tal punto da impedire di ricondurla a essa; il provvedimento potrà essere annullato dal giudice o dall’amministrazione stessa ma, fino a quando ciò non avvenga, rimane esistente e produce i suoi effetti.
In altre ipotesi, la difformità è talmente grave da rendere la fattispecie concreta non riconoscibile come provvedimento: ciò avviene, appunto, quando mancano i requisiti essenziali di quest’ultimo.
Per il provvedimento le norme non risolvono il problema dell’esistenza in termini generali: esse individuano i vizi in presenza dei quali esso è annullabile, ma non i requisiti in assenza dei quali esso è inesistente o nullo.
Per altri tipi di atto, invece, è difficile che si ponga un simile problema di riconoscibilità, perché la relativa disciplina fornisce indici decisivi: per stabilire che un certo atto è una legge, basta fare riferimento a dati come la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e l’inserimento nella ”Raccolta ufficiale”; similmente, per stabilire se un atto è una sentenza (soggetta al relativo regime giuridico) basta fare riferimento all’autorità emanante, al suo deposito e all’auto qualificazione dell’atto; per il contratto non vi sono simili requisiti, ma il codice civile fornisce varie indicazioni, individuandone i requisiti (art. 1325 ss.) e stabilendo che la loro mancanza ne determina la nullità e, quindi, l’inefficacia (art. 1418 ss.).
Il soggetto
Il provvedimento emanato in difetto di attribuzione è inesistente e non produce alcun effetto; quello viziato da incompetenza è soltanto annullabile, quindi produce provvisoriamente i suoi effetti. Mentre la competenza è riferita al singolo ufficio, l’attribuzione è riferita all’intera amministrazione (il ministero, il comune, l’ente pubblico), per cui si dice che la competenza è ”misura dell’esercizio dell’attribuzione”, cioè la quota di attribuzione esercitata dal singolo ufficio. Alla differenza tra le due nozioni corrisponde quella tra il problema dell’esistenza del provvedimento e quello della sua validità.
I fatti di legittimazione costituiscono circostanze alle quali le norme condizionano il legittimo esercizio del potere: per esempio, la regolare investitura o la regolare convocazione dell’organo collegiale.
I presupposti
Sono presupposti del provvedimento, per esempio, la domanda dell’interessato per il rilascio di un’autorizzazione, un titolo di studio o il superamento di un esame per l’iscrizione a un albo professionale, la commissione di un illecito e il mancato decorso di un certo termine per l’irrogazione di una sanzione amministrativa, il rischio di epidemia per l’ordine di abbattimento di un animale. La sussistenza di un presupposto può ovviamente essere oggetto di apprezzamento discrezionale o di valutazione tecnica.
Altri esempi di atti presupposti sono la nomina del titolare di un organo rispetto ai suoi atti o l’approvazione del piano regolatore rispetto agli atti attuativi.
Presupposto di un provvedimento può essere anche un atto della stessa o di un’altra amministrazione: può trattarsi di un atto strumentale previsto dalle norme (come una proposta o un parere) o di un autonomo provvedimento, detto atto presupposto. In ordine all’impugnazione di questi atti, l’illegittimità dell’atto strumentale si fa valere impugnando il provvedimento finale. Allorquando, l’illegittimità del provvedimento finale dipende da quella di un autonomo provvedimento (atto presupposto), occorre impugnare l’uno e l’altro (non basta quindi impugnare l’atto applicativo di un regolamento illegittimo, è necessario impugnare anche il regolamento stesso).
L’urgenza costituisce un particolare presupposto del provvedimento. Come in altri rami del diritto determinati poteri (si pensi alla decretazione d’urgenza, alle misure cautelari, alla vendita delle cose da parte del mandatario), possono essere esercitati solo in sua presenza: per esempio, quello di omettere la comunicazione di avvio del procedimento o di ricorrere alla trattativa privata per la conclusione di un contratto. A volte il potere in questione è quello di emanare un provvedimento amministrativo: l’urgenza consente alle autorità amministrative, per esempio, di occupare, requisire o disporre di beni privati o di emanare un atto di competenza di un altro organo.
Gli atti così emanati sono detti Atti Necessitati.
Se emanati in difetto del presupposto dell’urgenza, essi sono ovviamente illegittimi. Nelle ipotesi appena indicate, il presupposto del provvedimento è indicato in modo generico (“in caso di urgenza …”), ma il suo contenuto è indicato dalle norme. In altre ipotesi, anche il contenuto del provvedimento è generico, perché le norme attribuiscono alle autorità amministrative il potere di adottare, in caso di urgenza, ”i provvedimenti più opportuni”, ”le misure adeguate” e via dicendo. Si tratta di previsioni volte a fare fronte a situazioni non prevedibili né tipizzabili, come quelle determinate da catastrofi naturali.
Si parla, in questi casi, di ordinanze d’urgenza o di necessità.
La volontà e i motivi
Il provvedimento è sempre un Atto Volontario, cioè voluto dal soggetto che lo emana, che è un organo ben identificabile. Esso è, di regola, anche una dichiarazione di volontà, in quanto anche il suo contenuto è voluto. Inoltre, non diversamente da quanto stabilito dal codice civile per il contratto, se la volontà manca, non vi è un provvedimento; invece, se la volontà è viziata, un provvedimento è identificabile.
A differenza di quanto accade per il contratto, tuttavia, l’unilateralità del provvedimento e la sua normale forma scritta fanno sì che difficilmente per esso si ponga il problema dell’assenza di volontà. I vizi della volontà, in quanto tali, non rilevano in ordine alla validità del provvedimento, se non in quanto si traducano in un suo vizio tipico: per esempio, l’errore di fatto può dare luogo a eccesso di potere per travisamento dei fatti o per errore sui presupposti. Ciò dipende semplicemente dalla circostanza che le norme (in materia di giustizia amministrativa) prevedono per il provvedimento cause di annullamento diverse da quelle previste (dal codice civile) per il contratto.
Per la teoria del provvedimento è poco utile la nozione di causa.
Non che la causa non sia individuabile nei vari tipi di provvedimento: tuttavia, l’assetto di interessi realizzato dal provvedimento non ha bisogno di alcuna giustificazione ulteriore rispetto alla valutazione implicita nell’attribuzione del potere amministrativo da parte della norma.
I motivi del provvedimento coincidono con il perseguimento:
– dell’interesse pubblico a tutela del quale il potere amministrativo è attribuito e
– degli altri interessi che l’amministrazione deve prendere in considerazione.
II provvedimento è illegittimo se i suoi motivi non coincidono con la tutela degli interessi in questione. Ciò è alla base, ovviamente, dell’obbligo di motivazione.
Il contenuto
Il contenuto del provvedimento dipende dal tipo di potere esercitato e può, quindi, essere il più vario: l’autorizzazione a svolgere un’attività, il trasferimento della proprietà di un bene o l’attribuzione a esso di una qualificazione giuridica, l’attribuzione di una somma di denaro a un privato, l’irrogazione di una sanzione e così via. Esso è di regola riconducibile in parte alle previsioni normative, in parte alle valutazioni dell’amministrazione. È un elemento necessario, in assenza del quale (per esempio, se manca l’indicazione dell’attività autorizzata o del bene espropriato) non vi è alcun provvedimento.
I provvedimenti negativi sono soggetti allo stesso regime giuridico, anche processuale, del provvedimento positivo: per esempio, devono essere motivati e possono essere annullati dal giudice amministrativo su richiesta di chi aspiri a un provvedimento (positivo) favorevole.
Gli atti di accertamento tributario rientrano fra le decisioni amministrative, così come i provvedimenti emanati in seguito a ricorsi amministrativi, gli atti che decidono su opposizioni e ricorsi interni ai singoli procedimenti, nonché quelli dei collegi arbitrali amministrativi; anche molti atti delle autorità indipendenti rientrano in questa categoria. Le decisioni amministrative, infatti, presuppongono un conflitto, tra l’amministrazione e l’interessato o tra diversi interessati, e sono emanate nel perseguimento non solo dell’interesse al contenuto del provvedimento, ma anche nell’interesse alla giusta soluzione di quel conflitto: hanno, quindi, contenuto simile a quello delle sentenze.