I sistemi di amministrazione e controllo

La riforma del 2003 ha previsto tre sistemi di amministrazione e controllo:

a) il sistema tradizionale, basato sulla presenza di due organi entrambi di nomina assembleare: l’organo amministrativo e il collegio sindacale.

b) il sistema dualistico, che prevede la presenza di un consiglio di sorveglianza di nomina assembleare e di un consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza.

c) il sistema monistico, nel quale l’amministrazione e il controllo sono esercitate rispettivamente dal consiglio di amministrazione e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno.

Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monistico è poi previsto il controllo contabile esterno.

L’ organo amministrativo

Nel sistema tradizionale, la società per azioni può avere sia un amministratore unico sia una pluralità di amministratori, che formano il consiglio di amministrazione. Inoltre, il consiglio di amministrazione può essere articolato al suo interno con la creazione di uno o più organi delegati che danno luogo alle figure del comitato esecutivo e degli amministratori delegati (art. 2381). Gli amministratori sono l’organo cui è affidata in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale e ad essi spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale (art. 2380-bis). Le loro funzioni sono:

a) gli amministratori deliberano su tutti gli argomenti attinenti alla gestione della società che non siano riservati dalla legge all’assemblea. È questo il cosiddetto potere gestorio degli amministratori.

b) gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società. Hanno cioè il potere di manifestare all’esterno la volontà sociale ponendo in essere i singoli atti giuridici in cui si concretizza l’attività sociale (potere di rappresentanza).

c) gli amministratori danno impulso all’attività dell’assemblea: la convocano e ne fissano l’ordine del giorno. Danno altresì attuazione alle delibere della stessa ed hanno il potere-dovere di impugnare quelle che violino la legge e l’atto costitutivo.

d) gli amministratori devono curare la tenuta dei libri delle scritture contabili della società.

e) gli amministratori devono prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la società, o quanto meno eliminarne o attuarne le conseguenze dannose. Di tutte queste funzioni gli amministratori sono investiti per legge non per mandato dei soci e si tratta di funzioni che essi esercitano in posizione di formale autonomia rispetto all’assemblea.

I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente, la loro nomina compete all’assemblea ordinaria. La legge sull’atto costitutivo può tuttavia riservare la nomina di uno o più amministratori allo stato o ad enti pubblici. Il numero degli amministratori è fissato nello statuto. Gli amministratori possono essere soci o non soci (art. 2380).

Non possono essere nominati amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato ad una pena che comporta l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi (art. 2382). Le cause di incompatibilità comportano solo che l’interessato è tenuto ad optare fra l’uno nell’altro ufficio; non rendono perciò invalida la delibera di nomina. La nomina degli amministratori non può essere fatta per un periodo superiore a tre esercizi. Sono cause di cessazione dall’ufficio prima della decadenza del termine:

a) la revoca da parte dell’assemblea, che può essere deliberata liberamente in ogni tempo, salvo il diritto degli amministratori al risarcimento dei danni se non sussiste una giusta causa;

b) la rinuncia (dimissioni) da parte degli amministratori;

c) la decadenza dall’ufficio, ove sopravvenga una delle cause di ineleggibilità;

d) la morte.

La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto solo dal momento in cui l’organo amministrativo è stato ricostituito. Gli amministratori scaduti perciò rimangono in carica fino all’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori (prorogatio). Le dimissioni dell’amministratore hanno effetto immediato se rimane in carica la maggioranza degli amministratori. In caso contrario, le dimissioni hanno effetto solo dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori. Nel caso della sostituzione degli amministratori mancanti (art. 2386), sono previste tre ipotesi:

A) se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti provvedono a sostituire provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera consiliare approvata dal collegio sindacale (cosiddetta cooptazione).

B) se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea non si dà luogo alla cooptazione. I superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti i nuovi amministratori così nominati scadono con quelli in carica all’atto della nomina.

C) se infine vengono a cessare tutti gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio sindacale deve convocare con urgenza l’assemblea per la ricostituzione dell’organo amministrativo.

L’attuale disciplina riconosce la validità delle clausole statutarie che prevedono una cessazione di tutti gli amministratori e la conseguente ricostruzione dell’intero collegio da parte dell’assemblea a seguito della cessazione di alcuni amministratori (clausole simul stabunt simul cadent). La nomina e la cessazione della carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.

Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività (art. 2389). Questo può consistere anche nella partecipazione agli utili della società o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere predeterminate azioni di futura emissione (cosiddette stock options). Modalità e misura del compenso e sono determinati dall’atto costitutivo o dall’assemblea all’atto della nomina. Per gli amministratori di particolari cariche, la remunerazione è invece stabilita dallo stesso consiglio d’amministrazione. Se lo statuto lo prevede, l’assemblea può fissare un importo complessivo per la remunerazione dei tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolare carica.

Per evitare situazioni di antagonismo con la società e di potenziale conflitto di interessi, gli amministratore di società per azioni non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in società concorrenti, né essere amministratori e direttori generali in società concorrenti, salva l’autorizzazione dell’assemblea (art. 2390). L’inosservanza del divieto espone l’amministratore alla revoca dell’ufficio per giusta causa e al risarcimento degli eventuali danni arrecati la società.

La società per azioni può avere sia l’amministratore unico, sia una pluralità di amministratori. L’amministratore unico esercita individualmente tutte le funzioni proprie dell’organo amministrativo. Quando invece l’amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione, retto da un presidente scelto dallo stesso consiglio fra i suoi membri, qualora non sia già stato nominato dall’assemblea (art. 2380-bis, 5 comma). In tal caso l’attività è esercitata collegialmente. Le relative decisioni devono essere adottate in apposite riunioni alle quali devono assistere i sindaci (art. 2405).

L’attuale disciplina stabilisce che, se lo statuto non prevede diversamente, il consiglio di amministrazione è convocato dal presidente dello stesso, il quale fissa anche all’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché tutti gli amministratori siano adeguatamente informati sulle materie iscritte all’ordine del giorno (art. 2381, 1 comma). Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica; le deliberazioni sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti (voto per teste). Non è ammesso il voto per rappresentanza.

La riforma del 2003 ha modificato la disciplina dell’invalidità della deliberazione del consiglio di amministrazione, la cui impugnazione è consentita in un solo caso: delibera adottata con voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi (ex art. 2391). L’attuale disciplina ha optato per ampliare la categoria delle delibere consiliari annullabili, mentre non sono previste cause di nullità delle stesse. L’art. 2388, 4 comma, prevede che possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto.

L’impugnativa può essere proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal consiglio sindacale entro 90 giorni dalla data della deliberazione. Quando la delibera consiliare leda direttamente un diritto soggettivo del socio questi avrà diritto di agire giudizialmente per far annullare la delibera.

L’annullamento delle delibere consiliari non pregiudica i diritti acquistati in buona fede terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle stesse. Il conflitto d’interessi degli amministratori è disciplinato all’art. 2391, l’amministratore che in una determinata operazione ha un interesse non necessariamente in conflitto con quello da società:

a) deve darne notizia agli amministratori e al collegio sindacale precisandone ” la natura, i termini, l’origine e la portata”;

b) se si tratta di amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal compiere l’operazione investendo della stessa l’organo collegiale competente;

c) in entrambi i casi il consiglio d’amministrazione né deve adeguatamente motivare le ragioni della convenienza per la società dell’operazione.

Nelle società per azioni di maggiore dimensione è frequente un’articolazione interna del consiglio di amministrazione per rendere più razionale ed efficiente la gestione corrente dell’impresa sociale. Se l’atto costitutivo e l’assemblea lo consentono, il consiglio d’amministrazione può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo ovvero ad uno o più amministratori delegati (art. 2381). Il comitato esecutivo è un organo collegiale; le sue decisioni sono adottate in riunioni alle quali devono assistere i sindaci (art. 2405).

Gli amministratori delegati sono invece organi unipersonali. Se vi sono più amministratori delegati, essi agiscono disgiuntamente o congiuntamente, a seconda di quanto stabilito dallo statuto o dell’atto di nomina. Agli amministratori delegati è di regola affidata la rappresentanza della società. È poi possibile la coesistenza di un comitato esecutivo e di uno o più amministratori delegati con competenze ripartite. I membri del comitato esecutivo e gli amministratori delegati sono designati dallo stesso consiglio di amministrazione, che determina l’ambito della delega. In base all’attuale disciplina non possono esser tuttavia delegati:

a) la redazione del bilancio di esercizio;

b) la facoltà di aumentare il capitale sociale e di emettere obbligazioni convertibili per delega;

c) gli adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale per perdite; d) la redazione del progetto di fusione o di scissione.

 L’attuale disciplina puntualizza funzioni proprie degli organi delegati e definisce i rapporti tra gli stessi e gli altri componenti del consiglio, per i quali è ammessa azione al fine di favorire la circolazione delle informazioni sulla gestione fra i diversi componenti del consiglio e la partecipazione attiva alla gestione anche degli amministratori privi di delega. Si stabilisce infatti che gli organi delegati:

A) curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa;

B) riferiscono periodicamente al consiglio di amministrazione e collegio sindacale sul generale andamento del gestione e sulla prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggiore rilievo.

Per consentire un’effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della società si dispone che tutti gli amministratori devono agire in modo tale che ciascuno può chiedere agli organi delegati che siano fornite in consiglio, informazioni relative alla gestione della società (art. 2385, 6 comma). L’attuale disciplina attribuisce al consiglio di amministrazione il potere-dovere di: – valutare, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativa e contabile della società; – esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società; – valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.

Fra le funzioni di cui gli amministratori sono per legge vestiti, vi è quella di rappresentanza della società. Se più sono gli amministratori con rappresentanza, deve essere specificato se essi hanno il potere di agire disgiuntamente o congiuntamente. Di regola, la rappresentanza della società è attribuita, disgiuntamente o congiuntamente, al presidente del consiglio di amministrazione e/o ad uno o più amministratori delegati. In base all’attuale disciplina il potere di rappresentanza degli amministratori è generale non più circoscritto agli atti che rientrano nell’oggetto sociale.

Essi hanno inoltre la rappresentanza processuale, attiva e passiva, della società. Le limitazioni di potere che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti, non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società (art. 2384, 2 comma). Con l’attuale disciplina non è stata riprodotta la disposizione che precludeva alla società di sottoporre ai terzi in buona fede l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dall’amministratori in nome della società; degli atti cioè che non rientravano nell’attività di impresa determinato dallo statuto (cosiddetti atti ultra vires).

Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in tre direzioni:

1) verso la società (artt. 2392-2393);

2) verso i creditori sociali (art. 2394);

3) verso i singoli soci o terzi (art. 2395).

In base all’attuale disciplina, gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e sono tenuti al risarcimento dei danni (dalla stessa subiti quando) non adempiono ai doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto. Gli amministratori non sono invece responsabili per i risultati negativi della gestione che non sia imputabile difetto di normale diligenza della condotta degli affari sociali o nell’ adempimento degli specifici obblighi posti a loro carico. Se gli amministratori sono più di uno, essi sono responsabili solidamente. Ciascuno può essere quindi costretto a risarcirle la società per l’intero danno subito. La responsabilità degli amministratori, è comunque responsabilità per colpa e non per responsabilità oggettiva. Infatti, la responsabilità per gli atti e le omissioni degli amministratori non si estende tra essi a quello che sia immune da colpa, purché:

a) abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione;

b) del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori resta deliberato dall’assemblea ordinaria, anche se la società è in liquidazione. La deliberazione dell’azione di responsabilità comporta la revoca automatica dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta, solo se la delibera è approvata con voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. Se non si raggiunge tale percentuale del capitale sociale sarà invece necessario una distinta ed espressa delibera di revoca. Nel caso la società cada in dissesto ed è dichiarata fallita o assoggettata a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria, la legittimazione a promuovere l’azienda sociale di responsabilità, compete al curatore fallimentare, al commissario liquidatore, al commissario straordinario (art. 2394-bis). Unanimità indiretta delle minoranze è però prevista anche quando la società è in bonis. La società infatti può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli amministratori. È necessario che non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata. Una tutela più energica delle minoranze è stata introdotta dalla riforma del 1998 per le sole società con azioni quotate (art. 129 Tuf) e poi estesa a tutte le spa dalla riforma del 2003. In base l’art. 2393-bis, l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa anche dagli azionisti di minoranza. L’azione promossa dalla minoranza è diretta a reintegrare il patrimonio sociale, non a risarcire il danno eventualmente subito dal soggetti agenti. Perciò la società deve essere chiamata in giudizio.

Oltre che nei confronti della società, gli amministratori sono responsabili anche verso creditori sociali (art. 2394):

a) gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo “per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”;

b) l’azione può essere proposta dai creditori solo quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

 Quanto corrisposto dagli amministratori a titolo di risarcimento danni non spetterà alla società, ed i creditori attori ne avranno un beneficio solo indiretto dell’incremento del patrimonio sociale e si avvantaggeranno direttamente dei risultati utili dell’azione fino alla concorrenza del loro credito. Fra l’azione sociale di responsabilità e quella concessa ai creditori vi sono comunque indubbie differenze: infatti, il danno subito dai creditori non è che un effetto riflesso del danno che gli amministratori hanno arrecato al patrimonio sociale rendendolo insufficiente a soddisfare i primi. Consegue che se l’azione risarcitoria è stata esperita dalla società e il relativo patrimonio è stato reintegrato, i creditori non potranno più esercitare l’azione che gli spetta dato che gli amministratori sono ovviamente tenuti a risarcire una sola volta il danno. Anche la transazione intervenuta paralizza l’azione dei creditori sociali; invece, la rinuncia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali.

Le azione di responsabilità della società e dei creditori sociali “non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo ch sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori ” (art. 2395). Perché il singolo socio o il terzo possano chiedere agli amministratori il risarcimento dei danni devono ricorre a due presupposti:

a) il compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell’esercizio del loro ufficio;

b) la produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo; di un danno cioè che non sia semplice riflesso a del danno eventualmente subito dal patrimonio sociale. Caso classico di danno diretto, è quello degli amministratori che con un falso bilancio, inducono i soci o terzi a sottoscrivere l’aumento di capitale a prezzo eccessivo.

I direttori generali sono dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell’impresa sociale. Dirigenti cioè che sono al vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati dell’impresa ed operano in rapporto diretto con gli amministratori. Essi sono perciò investiti gli ampi poteri decisionali nella gestione dell’impresa. Inoltre, se nominati dall’assemblea o per disposizione dell’atto costitutivo, agli stessi si applicano le norme che regolano la responsabilità civile degli amministratori, in relazione compiti loro affidati (art. 2396).

 

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