I presupposti del processo
“Presupposto” significa requisito che deve esistere prima di un determinato atto perché da quell’atto discendono determinate conseguenze. Riferendosi al rapporto giuridico processuale, i presupposti processuali sono quei requisiti che debbono esistere prima dell’atto col quale si chiede la tutela giurisdizionale, che è la domanda.
Essi si distinguono in: presupposti di esistenza e presupposti di validità o di procedibilità del processo.
I presupposti di esistenza del processo: requisiti che debbono sussistere prima della proposizione della domanda perché la domanda stessa possa dar vita ad un processo. È costituito da un unico requisito: la giurisdizione, ossia che quel soggetto al quale la domanda verrà proposta, sia un giudice, e quindi sia dotato del potere di giudicare.
I presupposti di validità o procedibilità del processo: requisiti che debbono esistere prima della proposizione della domanda, affinché il giudice sia tenuto a rendere una pronuncia che giunga fino al merito. Essi sono due: la competenza, e quindi che il giudice abbia effettivamente il potere di decidere quella controversia; la legittimazione processuale, ossia il potere di compiere atti nel processo, con riguardo sia al soggetto che chiederà la tutela giurisdizionale sia a quello nei cui confronti la domanda verrà proposta.
Esiste un altro ordine di requisiti che non sono presupposti perché la loro esistenza non è richiesta prima della proposizione della domanda, ma della domanda stessa costituiscono requisiti intrinseci con riguardo al suo contenuto: le condizioni dell’azione.
Le condizioni dell’azione sono tre:
Possibilità giuridica (o esistenza del diritto): che consiste nella esistenza di una norma che contempli in astratto il diritto che si vuol far valere.
Interesse ad agire (art. 100 c.p.c.): l’interesse per cui si agisce o contraddice deve essere concreto (ossia deve sussistere concretamente) ed attuale (ossia deve esistere al momento della pronuncia del giudice). Mancando l’interesse ad agire, il giudice non avrà motivo di portare il suo esame sul merito, ma dovrà arrestarsi al rilievo di tale difetto: difetto di interesse e, quindi, difetto di azione.
Legittimazione ad agire: consiste nella corrispondenza tra colui che agisce (attore) ed il titolare del diritto fatto valere, e tra colui contro il quale si agisce (convenuto) ed il soggetto che ha violato tale diritto. Si possono far valere soltanto quei diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità passiva si afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda. Quindi “un soggetto agisce in nome proprio per un proprio diritto”. Tale condizione, si può desumere, indirettamente, dall’art. 81 c.p.c., secondo cui “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. Si parla di legittimazione straordinaria1 o sostituzione processuale. Un esempio di legittimazione straordinaria è l’azione surrogatoria, prevista dall’art. 2900 c.c., a favore del creditore nel caso che il debitore trascuri di far valere i propri diritti.
Capacità di essere parte:
La capacità di essere parte è la trasposizione in chiave processuale della capacità giuridica; se non si è soggetti di diritto non si può ricorrere, ne resistere, ne assumere le vesti delle altre parti del giudizio; essere titolare del diritto di azione.
Capacità processuale e legittimità processuale:
Se la parte si afferma come titolare del diritto dedotto in giudizio si dice parte legittimata ad agire;
Se la parte, invece, ha il potere di proporre domanda è legittimata ad processum, ossia ha la legittimazione processuale per esercitare i poteri e le facoltà che l’ordinamento le riconosce fino alla pronuncia di merito della causa.
La tutela del diritto di accesso
- Ex. Art. 25, l.n.241/1990 il cittadino interessato può richiedere l’accesso ad atti e documenti che lo riguardano o che siano utili per la tutela dei propri interessi e diritti;
- Di fronte ad un diniego od al silenzio della p.a., il cittadino proporre ricorso al Tar, in sede di giurisdizione esclusiva (data la qualifica del diritto di accesso come diritto soggettivo);
- Il ricorso deve essere notificato ai soggetti contro interessati all’accesso a pena di inammissibilità, data la delicatezza di alcuni contenuti.
- Il giudice, valutata la legittimità della richiesta (cioè del diritto in capo al ricorrente), può imporre alla p.a. di esibire il documento (obbligo specifico);
- La p.a. può adempiere spontaneamente adeguandosi al giudicato o, nel caso dell’inerzia sarà necessario il giudizio di ottemperanza.
La giurisdizione e la competenza: rinvio
La giurisdizione si caratterizza per l’insieme dei rapporti cognitori, cautelari, istruttori e decisori attribuiti ad un ordine giurisdizionale. Nelle controversie in cui è parte pubblica amministrazione vi sono due ordini giurisdizionali: il giudice ordinario e quello amministrativo. L’erronea individuazione del giudice comporta una pronunzia di difetto di giurisdizione.
La competenza serve invece per distribuire, in base a regole predeterminate, la giurisdizione dai diversi giudici che compongono lo stesso ordine giurisdizionale, ed il suo difetto comporta il giudice adito dichiari la propria incompetenza consentendo all’interessato di riproporre la domanda davanti al giudice competente. Nel giudizio amministrativo di primo grado la competenza a tre diversi Tar è regolata per territorio, ed è generalmente derogabile, per cui l’incompetenza se non è sollevata entro i termini stabiliti, si radica.
La capacità di essere parte e la capacità processuale
La capacità di essere parte: è una manifestazione della capacità giuridica. Possono essere parte le persone fisiche e quelle giuridiche. La capacità di assumere il ruolo di parte nel processo va distinta dalla capacità di stare in giudizio, in proprio o in rappresentanza di un altro soggetto (legitimatio ad processum): la prima è manifestazione della capacità giuridica, la seconda è la proiezione sul piano processuale della capacità d’agire. Questa spetta solo alle persone fisiche che abbiano il libero esercizio dei diritti.
La legittimazione ad agire e le legittimazioni formali
La capacità di stare in giudizio, a sua volta, non va confusa con la legittimazione ad agire (legitimatio ad causam: condizione dell’azione: consiste nella titolarità della situazione giuridica fatta valere) e con lo ius postulandi o rappresentanza in giudizio (le parti non possono stare in giudizio se non con l’assistenza di un avvocato): essi non rientrano comunque tra i presupposti processuali.
L’interesse al ricorso
L’interesse alle ricorso è l’utilità concreta, anche solo morale, che la sentenza favorevole può recare alla situazione giuridica soggettiva di cui si affermi la lesione. È elemento necessario e consente altro movimento dell’azione soltanto colui che ne ha interesse. L’azione processuale dell’interesse alle ricorso ha il suo fulcro concettuale nell’utilità, nel vantaggio, che la sentenza favorevole può recare alle ricorrente. L’interesse per il personale, deve quindi riguardare direttamente il ricorrente; deve essere diretto, cioè la lesione deve derivare immediatamente dal provvedimento impugnato o dal comportamento contestato; ed essere attuale, per cui occorre che la lesione dell’interesse sia già avvenuta, non richieda l’emanazione di provvedimenti successivi, non dipenda da avvenimenti futuri ed incerti, venga riparata dalla sentenza, sussista al momento della decisione. quando il giudice dichiara la carenza di interesse non valuta il merito, ma tale pronuncia non consente la riproposizione della domanda: per questo l’interesse alle ricorso è annoverato tra le condizioni dell’azione e non tra i presupposti.
Gli atti impugnabili
Inizialmente il ricorso era ammesso solo contro un atto amministrativo definitivo, ma dal 1971 può essere impugnato anche un atto non definitivo; è necessario però impugnare un atto amministrativo nel giudizio di annullamento per la tutela dell’interesse legittimo. Non tutti gli atti amministrativi sono impugnabili: non sono impugnabili gli atti endoprocedimentali, accessori, preliminari, istruttori. Si è formata una tipologia di atti non impugnabili, caratterizzati da precisi elementi, frutto di elaborazione giurisprudenziale. Questi sono:
- gli atti esecutivi che e seguono materialmente quanto stabilito in un precedente provvedimento
- gli atti conseguenziali, se sono un mero svolgimento di atti presupposti non impugnati
- gli atti regolamentari che contengono norme generali ed astratte, non determinanti una lesione attuale e concreta
- gli atti confermati ivi i precedenti atti
- gli atti di proroga se il ricorso riguarda l’assetto degli interessi determinato dall’atto prorogato non impugnato Tale indicazione funge solo da esempio, e non preclude che vengano individuati altri atti non impugnabili.
Il silenzio
La prima dottrina, per tutelare i privati quando la Pa non adottava alcun provvedimento, lo costruiva come silenzio-rifiuto (provvedimento negativo). Ma il silenzio è patologia della PA, che in ogni caso deve esercitare il potere che le spetta.
Quindi il silenzio diviene significativo sulla base delle norme che possono attribuire a questo effetti positivi (silenzio-assenso) o negativi (silenzio-diniego).
Se invece mancano tali previsione normative, si può ricorrere al giudice se la PA non conclude nei termini il procedimento amministrativo (silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento).