In passato, si è molto discusso sull’ammissibilità di accordi tra privati diretti a modificare gli assetti soggettivi degli obblighi tributari. Alcune norme sembrano escludere questa possibilità, in quanto prevedono, ad esempio l’obbligatorietà della rivalsa da parte del sostituto nei confronti del sostituito, o la nullità di ogni patto contrario all’obbligo di rivalsa dell’IVA. Ed era proprio da queste disposizioni che la giurisprudenza aveva in passato desunto la nullità di tutte le clausole volte ad alterare gli assetti tributari fissati dal legislatore.

Successivamente, però, la stessa giurisprudenza era tornata sui proprio passi, riconoscendo la validità di queste clausole quando esse non incidevano sugli obblighi tributari, bensì sulle loro conseguenze economiche, ossia, quando tendevano ad attuare la traslazione economica delle imposte da un soggetto ad un altro. Proprio per questo motivo che le clausole di accollo sono state ritenute valide e ammissibili anche in presenza di obbligo di rivalsa. Tutte queste incertezze sono state oramai superate con l’entrata in vigore nel 2000 dello Statuto del contribuente, con il quale si è espressamente previsto che è ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui, senza liberazione del contribuente originario.

Questa disposizione comporta alcune implicazioni pratica:

  • La dottrina prevalente ritiene che questa norma sia diretta a permettere solo l’accollo interno degli oneri tributari, ossia accordi che producono effetti solo tra le parti contraenti; e sembra in particolar modo da escludere che l’Amministrazione possa avvantaggiarsi provocando, con la propria adesione, la responsabilità solidale del terzo nei propri confronti;
  • Resta aperto, invece il problema della configurabilità di un reddito imponibile nel vantaggio economico derivante dall’accollo delle imposte. In passato, la Cassazione era orientata verso una risposta affermativa, in considerazione del fatto che l’accollo si traduce in una maggiorazione del compenso soggetto a tassazione. Però, questa soluzione può essere contestata in quanto questo “vantaggio” non sempre è accompagnato dalla percezione di proventi aventi natura reddituale.

 

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