La disciplina della concorrenza sleale è oggi affiancata, al fine di tutelare anche i consumatori, da una specifica disciplina contro la pubblicità ingannevole e la pubblicità comparativa illecita, prevista dal codice del consumo.
A partire dagli anni sessanta i più importanti mezzi di pubblicità hanno dato vita ad un sistema di autodisciplina pubblicitaria, che li impegna a non diffondere messaggi pubblicitari che contrastino con le regole di comportamento fissate in un apposito codice privato, il codice di autodisciplina pubblicitaria.
Sul rispetto di tale codice vigila un organismo di giustizia privato, il Giurì di autodisciplina, al quale può rivolgersi chiunque si ritenga pregiudicato da attività pubblicitarie contrarie al codice. Le decisioni del Giurì sono insindacabili, ma sono vincolanti solo per coloro che aderiscono all’autodisciplina.
Con il d.lgs. 74/1992, oggi confluito nel codice del consumo, l’interesse del pubblico ad essere tutelato contro gli effetti distorsivi della pubblicità ingannevole è diventato un interesse tutelato dall’ordinamento statale. Quindi, alla autodisciplina si affianca anche la legislazione. La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta, nonché chiaramente riconoscibile come tale.
La legge vieta qualsiasi forma di pubblicità ingannevole o di pubblicità sublimale, cioè che stimoli l’inconscio. Chiunque può rivolgersi all’Autorità garante per inibire ogni atto di pubblicità ingannevole o comparativa illecita.
Sotto questo aspetto vengono in rilievo in realtà due discipline, una statale e una regolata dall’ autonomia privata.
A) La prima è quella che oggi compendia nel d.lgs. 145/2007. Anche qui l’ interesse tutelato è duplice: da un lato delle imprese, che attraverso il messaggio pubblicitario mirano ad acquisire il favore dei consumatori, dall’ altro lato di questi ultimi, i quali fruendo del messaggio tendono ad orientare le loro scelte. E’ perciò vietata la pubblicità ingannevole, cioè quella che induce in un qualunque modo in errore le persone cui è rivolta, così da pregiudicare il comportamento economico o ledere anche potenzialmente per tale motivo un concorrente. E’ altresì vietata la pubblicità COMPARATIVA ma solo quando non rispetti tutta una serie di requisiti, sostanzialmente di veridicità del propagandato, di obiettività della comparazione, di assenza di momenti propriamente denigratori, e che si traduca nel confronto oggettivo di una o più caratteristiche essenziali e rappresentative dei prodotti, tra cui il prezzo, tutte verificabili nel senso di essere suscettibili di dimostrazione. La pubblicità, per potersi considerare lecita, deve essere, infine, sempre RICONOSCIBILE come tale, dal che discende il divieto di forme di comunicazione commerciale che non siano riconoscibili nella loro consistenza di messaggi promozionali dal consumatore ed ancor di più quelle che si presentino nella forma di comunicazione suggestive, nemmeno autonomamente percepibili nella loro consistenza di messaggio tout court (cd. pubblicità subliminale). Anche rispetto alle iniziative pubblicitarie che non corrispondano ai prescritti requisiti si ripresenta quella duplicità di forme di tutela sopra descritte, giacchè accanto al potere degli imprenditori che ne siano potenzialmente pregiudicati di adire l’ autorità giudiziaria e allo speculare potere di azione spettante ai consumatori o alle loro associazioni rappresentative, emerge un potere d’ intervento di stampo pubblicistico. Anche in questo caso i poteri sono assai ampi, dal momento che accanto ai poteri inibitori e sanzionatori, l’ Autorità dispone di un potere conformativo della comunicazione pubblicitaria potendo imporre rettifiche al messaggio promozionale.
B) Dalla autonomia privata trae fonte invece il giurì della pubblicità, competente per l’ applicazione di un codice di autodisciplina pubblicitaria nei confronti delle imprese che vi aderiscono. E’ mirato a proteggere i consumatori, e gli operai, dagli inganni pubblicitari. Nonostante la sua natura privata, la legge espressamente prevede la possibilità che le parti convengano di astenersi dall’ adire all’ Autorità garante fino a quando non sia conclusa la procedura davanti al giurì