A) l’occasione di lavoro

La legge dispone che il diritto alle prestazioni previdenziali sorga in tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, a cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero una inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni.

Discussioni sorgono quando si tratti di individuare quale relazione debba intercorrere tra il lavoro e l’infortunio, affinché quest’ultimo dia luogo all’erogazione delle prestazioni previdenziali.

La legge non richiede affatto che il lavoro sia la causa dell’infortunio. Si può ritenere che “l’occasione di lavoro” si realizzi tutte le volte che lo svolgimento di un’attività lavorativa, costituisca l’occasione dell’infortunio, pur non essendone la causa; e cioè che abbia determinato l’esposizione del soggetto protetto al rischio del suo verificarsi, dando luogo così ad un nesso causale tra evento e lavoro. Da ciò deriva che l’occasione di lavoro può avvenire anche quando l’infortunio derivi dal caso fortuito o da cause estranee al lavoro svolto. Per contro non si può ritenere che l’occasione di lavoro sussista soltanto perché l’infortunio si sia verificato durante o sul luogo del lavoro.

La dottrina che determina la ricorrenza di un’occasione di lavoro distinguendo a seconda che l’infortunio sia derivato da un rischio generico o da un rischio specifico, da un rischio cioè che incombe su tutti i cittadini o solo sul lavoratore, appare ambigua. L’occasione di lavoro sussiste anche quando il lavoro espone il soggetto protetto a un rischio generico, come per esempio accade quando le modalità di esercizio dell’attività lavorativa comportino un esposizione al rischio della strada.

 

B) colpa e dolo del soggetto protetto; il rischio elettivo

Va precisato come il nesso che deve intercorrere tra il lavoro e l’infortunio non è affatto interrotto dall’eventuale colpa del lavoratore, almeno quanto questa si concretizzi nell’imprudenza, nella negligenza o nell’imperizia attinenti all’esecuzione della sua prestazione di lavoro.

La legge esclude il diritto alle prestazioni soltanto quando l’infortunio consegue ad un comportamento doloso del soggetto protetto, e cioè in caso di autolesionismo.

Tuttavia, quando il comportamento colposo non sia collegato all’esecuzione del lavoro, viene meno, in caso di infortunio, l’occasione di lavoro. Alla stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il lavoratore abbia posto in essere, di sua iniziativa, comportamenti che, non potendo essere considerati come adempimento dell’obbligazione di lavoro, escludono ogni connessione tra l’esposizione al rischio e il lavoro. È questo il caso del cosiddetto rischio elettivo, che non si caratterizza per la rilevanza della colpa del lavoratore, ma per l’interruzione del nesso occasionale che deve intercorrere tra il lavoro e l’infortunio.

I criteri ora esposti risolvono anche il problema dell’indennizzabilità dell’infortunio occorso durante i conflitti di lavoro. L’esercizio del diritto di sciopero presenta strette connessioni con il lavoro, avendo in questo la sua ragion d’essere e la sua giustificazione. Ne deriva che, anche per gli infortuni verificatisi in occasione di azioni di lotta sindacale, sussiste l’occasione di lavoro, a meno che non ricorra un ipotesi di rischio elettivo o di solo del soggetto protetto, in ordine sia al verificarsi dell’infortunio che all’aggravamento della lesione.

 

C) occasione di lavoro e infortunio in itinere

La nozione di occasione di lavoro consentiva di ritenere indennizzabili alcuni casi di infortunio in itinere, e cioè di infortuni che hanno colpito il soggetto protetto durante il percorso seguito per recarsi dall’abitazione al lavoro o viceversa.

In mancanza di una disciplina legislativa si riteneva che l’infortunio in itinere fosse indennizzabile soltanto quando poteva essere considerato un infortunio sul lavoro e, cioè, si fosse verificato in occasione di lavoro, essendo stato il lavoro ad esporre il soggetto protetto al rischio dell’infortunio sulla strada. Secondo una giurisprudenza risalente, l’infortunio in itinere era ritenuto indennizzabile se il soggetto protetto fosse rimasto vittima di un infortunio su un cammino che è necessario percorrere perché è l’unico che può condurre alla sede del lavoro; avesse dovuto usare speciai mezzi di trasporto apprestati dallo stesso datore di lavoro; avesse dovuto trasportare strumenti di lavoro pesanti ed ingombranti tali da essergli di impaccio nei movimenti. In tutti questi casi si riteneva che fosse stato il lavoro a esporre il lavoratore al rischio dell’infortunio.

Una più recente giurisprudenza aveva però ritenuto che l’infortunio in itinere fosse indennizzabile anche quando derivi da eventi che soltanto indirettamente sono in occasione del lavoro, essendo determinati, in realtà, dal cosiddetto rischio della strada.

Al tempo stesso la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità dell’art. 4 del d.p.r. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non prevede l’obbligo assicurativo per quanti siano costretti all’uso dell’automobile per raggiungere il posto di lavoro.

Sennonché il legislatore ha delegato il Governo ad estendere la tutela infortunistica agli infortuni in itinere ispirandosi al più recente orientamento giurisprudenziale.

La delega ha esteso la tutela a:

gli infortuni occorsi durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro;

gli infortuni occorsi durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro;

agli infortuni occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale di pasti.

Non è indennizzabile l’infortunio occorso in caso di interruzione o deviazione del percorso del tutto indipendenti dal lavoro o non necessitate e inoltre qualora l’infortunio in itinere risulti cagionato dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti o allucinogeni, nonché quando il conducente sia sprovvisto della abilitazione di guida.

A ben guardare, l’estensione apportata con la delega, esclude ogni rilevanza dell’occasione di lavoro.

Infatti soltanto la rilevanza attribuita all’occasione di lavoro consente di giustificare la limitazione della tutela infortunistica ai lavoratori addetti a lavorazioni pericolose. Per contro tutti i lavoratori sono egualmente esposti al rischio della strada, onde vi è una violazione del principio costituzionale di eguaglianza. Si aggiunga inoltre che ai datori di lavoro è imposto l’onere della contribuzione destinata a finanziare anche la tutela dell’infortunio in itinere senza che possano approntare alcuna specifica attività di prevenzione dei quel rischio.

 

D) la causa violenta e il problema delle concause

Il secondo requisito richiesto dalla legge per il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziale è che l’infortunio sia derivato da una causa violenta, e cioè da una causa efficiente e rapida.

Va osservato come violenta debba essere la causa della lesione, e non la lesione stessa.

L’efficienza della causa violenta non esclude la possibilità che la lesione sia dovuta anche a fattori preesistenti o sopravvenuti, detti concause, e che possono incidere tanto sulla lesione che sull’inabilità.

Si hanno concause preesistenti di lesione quando a causa di precedenti condizioni morbose, l’infortunio produce lesioni diverse o più gravi rispetto a quelle che avrebbero prodotto di per sé. In questi casi le prestazioni previdenziali sono commisurate alla lesione complessiva effettivamente verificatasi. In questo caso la legge dispone che si proceda alla liquidazione di una nuova rendita che assommi le due inabilità, tenendo conto del grado di riduzione complessiva dell’attitudine di lavoro causato dalle lesioni determiate dal precedente infortunio e dal nuovo.

Si hanno invece concause preesistenti di inabilità quando l’inabilità derivante dall’infortunio si aggiunge ad una inabilità già esistente, sia di carattere professionale o extraprofessionale. In questo caso invece la legge dispone che il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro debba essere rapportato non all’attitudine al lavoro normale, ma a quella ridotta per effetto della preesistente inabilità.

Le concause sopravvenute di lesioni o di inabilità si hanno quando alla lesione o all’inabilità derivanti da un infortunio si assomma una lesione o un’inabilità ad esso successiva. In questo caso la legge riconosce il diritto del soggetto protetto a chiedere la maggiorazione della rendita di inabilità in caso di peggioramento soltanto ove l’aggravamento sia derivato dall’infortunio.

 

E) la lesione

Infine il diritto alle prestazioni previdenziali sorge quando dall’infortunio derivi la morte o l’inabilità al lavoro. Sulla morte, come fatto naturale, non c’è nulla da dire. L’inabilità al lavoro, invece, come concetto legale, deve essere intesa come eliminazione o riduzione delle attitudini psicofisiche del soggetto protetto a svolgere attività lavorativa. Essa, pertanto va accertata con riguardo all’inabilità al lavoro che ne deriva.

Di recente la legge ha esteso la nozione di lesione ricomprendendovi anche le lesioni all’integrità psicofisica del lavoratore, indipendentemente dalla capacità di produzione di reddito, e, quindi, dall’esistenza di una inabilità al lavoro.

L’inabilità al lavoro è considerata dalla legge in termini diversi a seconda che si tratti di inabilità temporanea o permanente.

L’inabilità è temporanea quando le conseguenze dell’infortunio sono sanabili nel tempo e il soggetto può recuperare completamente le sue attitudini di lavoro. In questo caso il diritto alle prestazioni previdenziali sorge solo quando si tratti di una inabilità assoluta che impedisca totalmente e di fatto all’infortunato di attendere al lavoro, e quindi quando si tratti di inabilità specifica, cioè riferita al lavoro effettivamente svolto dal soggetto protetto al momento dell’infortunio.

Si ha inabilità permanente quando le conseguenze dell’infortunio sono destinate a durare per tutta la vita. Tuttavia deve ritenersi permanente anche l’inabilità che non sia precaria e, cioè, sia comunque destinata a durare nel tempo. Ai fini dell’accertamento dello stato di permanenza, non si richiede un giudizio di definitività e di immutabilità, essendo sufficiente che con la definitività e la immutabilità concorra la loro immodificabilità per un tempo ragionevole.

L’inabilità permanente deve essere generica e quindi riferita a qualsiasi lavoro proficuo.

L’inabilità permanente può essere assoluta o parziale. Nel primo caso essa toglie completamente le attitudini al lavoro. Nel caso di inabilità permanente parziale essa viene calcolata sulla base della tabella delle menomazioni di cui al decreto ministeriale 12 luglio 2000. Per aver diritto alle prestazioni previdenziali, le attitudini dal lavoro nel caso di inabilità permanente parziale, devo essere ridotte in misura superiore al 10%.

 

Lascia un commento