La visione di una pena orientata allo scopo è anche il presupposto di un altro dei cardini fondamentali del diritto penale moderno: il principio di estrema ratio o sussidiarietà per il quale dovrebbe rinunciarsi al diritto penale tutte le volte in cui altri rami dell’ordinamento siano in grado di tutelare adeguatamente il bene giuridico. Esso presenta ben due matrici precise:

1 – l’ idea che la pena non sia assoluta da uno scopo ma relativa in rapporto all’obiettivo di diminuire il numero dei reati e mediamente contribuire alla protezione dei beni giuridici. Impone dunque controllo della congruità rispetto al fine e la necessità di fare riferimento alla realtà empirica per dare risposta a un siffatto quesito. Una concezione relativa della pena è la condizione necessaria anche se non sufficiente perché il diritto penale possa porsi come ultima ratio

2 – vi è poi la matrice costituita dal principio di proporzione o proporzionalità di cui l’extrema ratio appare una specificazione. È apparso alla dottrina un mero canone materiale di politica criminale tale da consentire un sindacato di legittimità nei soli limiti della ragionevolezza. Il principio di extrema ratio non sembra essersi tuttora affrancato da una persistente indeterminatezza e genericità tale da sfumare i confini tra la sua effettiva rilevanza normativa e una rilevanza come criterio informatore nella politica criminale.

L’indicazione minimale di un principio che prescrive di interrogarsi sulla possibilità di servirsi di uno strumentario di interventi giuridico-sociali diversi dall’arma a doppio taglio della pena non può che essere quella di acuire l’attenzione per i fatti, le cause e i valori rinvenibili nel retroterra empirico-sociale della materia oggetto di studio.

La reale adozione del principio di sussidiarietà nella prassi legislativa è dunque destinata ad avanzare pari passo con il processo di deformalizzazione del diritto penale ritenuto fondamentale per il suo adeguamento alla complessità della realtà empirica.

 

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