Per prevenzione generale possiamo intendere unitariamente la prevenzione di comportamenti socialmente indesiderati attraverso la minaccia di una sanzione legale. Si vogliono prevenire soprattutto i crimini della generalità di soggetti che non hanno ancora commesso reati e che ci si aspetta siano trattenuti dal commetterli per effetto della minaccia della sanzione. L’idea generalpreventiva presenta due forme fondamentali:

1. prevenzione generale negativa: fondata nell’opera di Paul Johann Anselm von Feuerbach, considerato il teorico della coazione psicologica. Giocata sul meccanismo della dissuasione, della deterrenza. Si vuol far leva sul sentimento del timore, il risveglio della immaginazione su ciò che potrà accadere al soggetto ove compia un’azione vietata e sulla cui realizzazione si nutre una qualche misura di dubbio.

Evocazione che richiede la conoscenza della connessione tra sanzione e pena e corroborata da una serie di meccanismi di rinforzo. Il meccanismo sembra rispecchiare le meccaniche del condizionamento: al pari di esso anche la prevenzione generale negativa richiede una risposta adattativa basata sull’apprendimento. Sembra rispecchiarsi nel più evoluto modello di condizionamento operante o strumentale. Sia l’inflizione della pena sia il modo di tale inflizione rappresentano rinforzi negativi del condizionamento.

Questa prevenzione ha incontrato problemi criminologici che si classificano in due categorie:

– questioni empiriche o fattuali e

– questione della liceità dell’uso della pena in funzione generalpreventiva che coinvolge la sua giustificazione etico-giuridica.

Esiste una priorità logica tra i due ordini di problemi. Il profilo della liceità diviene invece esclusivo nell’antica critica mossa dall’idealismo classico e in particolare da Hegel che si accanisce proprio sull’idea in sé di un uomo la cui spinta criminosa si voglia assoggettare alla controspinta della pena. Per Hegel è uno svilimento della dignità umana. La critica investe le concezioni sulle libertà dell’uomo, l’antica questione del libero arbitrio. Resta l’ineludibile problema normativo.

Maggiore interesse presentano soprattutto i profili empirici dell’odierno dibattito sulla funzione intimidativa o deterrenza. I problemi empirici più stringenti sono destinati a emergere quando ci si interroghi sull’effetto intimidativo prodottosi a seguito di una determinata scelta politico criminale considerata la difficoltà estrema di ponderare in che misura i potenziali autori di reato siano effettivamente trattenuti dal timore della pena e quanto abbiano invece influito variabili diverse. Le conoscenze acquisite su questo terreno si devono a studi trasversali, longitudinali, soggettivi e sperimentali. Si deve verificare a posteriori se lo scopo è stato raggiunto.

Il problema centrale è quello di accertare il nesso di causalità tra diminuzione dei reati e scelta politico-criminale. Il metodo consiste nel raffronto tra una situazione iniziale senza pena e una situazione finale con l’aggiunta della pena. Si appoggerà sul criterio delle variazioni concomitanti. Si tratta di verificare l’ipotesi causale relativa all’effetto di riduzione dei tassi di criminalità prodotto dalla sanzione penale. es. efficacia della pena di morte. Si tratta di un settore competente alla criminologia quantitativa, intesa come ricerca empirica centrata sulla misurazione del crimine e quindi incline a servirsi di categorie quali volume, estensione…

il metodo presuppone l’applicazione del metodo della differenza: se il caso in cui avviene il fenomeno in esame e un caso in cui esso non avviene hanno in comune tutte le circostanze meno una e questa compare soltanto nel primo caso quella unica circostanza in cui i due casi differiscono è l’effetto o la causa o una parte indispensabile della causa del fenomeno. Ci sono però due incognite importanti: bisogna avere la sicurezza che non si abbia avuto altra variazione altrimenti si potrebbe avere una spiegazione diversa. L’altra incognita è la cifra oscura per cui una ristretta percentuale di tutti i crimini giunge a conoscenza.

La ricerca generalpreventiva può contare ormai una cospicua mole di studi. Si concorda ormai sul punto secondo cui i soggetti influenzabili dal messaggio intimidatorio della pena comminata risulteranno comunque più sensibili al rischio di essere concretamente puniti che non alla severità della pena minacciata. Delle due tradizionali variabili dunque quella della severità e quella della certezza della pena, la ricerca empirica tende a confermare il rilievo della seconda. L’asserzione per cui a prescindere dalle dimensioni della criminalità la maggior parte degli appartenenti al corpo sociale non commette reati non è di per sé una prova del legame causale tra un tale generale comportamento conforme al diritto e l’effetto dissuasivo della sanzione penale.

L’obiettivo è quello di ponderare il peso della paura della sanzione nella prognosi del comportamento conforme. Il bilancio complessivo non può ancora considerarsi probante circa l’attitudine della pena a orientare le condotte per mezzo dell’effetto intimidatorio. Un ulteriore problema empirico della prevenzione generale è costituito dall’assioma dell’uomo razionale. Accanto all’uomo razionale che soppesa vantaggi e svantaggi delle linee di azione prospettate esisterebbe una categoria di soggetti che non calcolano, impulsivi.

I destinatari devono inoltre avere la conoscenza della minaccia. Lo specifico e più recente influsso degli economisti neoclassici sulla criminologia e le scienze sociali ha trovato eco a partire dagli anni ottanta in una teoria della azione criminale detta della scelta razionale in base alla quale la decisione di realizzare un crimine sarebbe condizionata dal trovarsi in una situazione nella quale il rischio vale la candela. Sembrano prospettabili due ordini di considerazioni: 1- si può rilevare come nei confronti dell’agire impulsivo sia il comando espresso dal precetto penale a modificarsi inefficace per un difetto di comunicazione con il soggetto che non ragiona.

Altra obiezione più rilevante è quella secondo cui una volta che l’agente sia disposto a violare la norma il suo ragionamento consisterà nel calcolare quali siano le sue chances di non venire scoperto. Un altro problema ben noto è quello della comunicazione che si presenta in 2 forme: chiarezza delle leggi e percezione del destinatario

2. prevenzione generale positiva: si differenziano 3 effetti attesi dalla sanzione penale: apprendimento che la popolazione acquisisce grazie all’attività della giustizia penale, fiducia del cittadino nel diritto, soddisfazione dopo l’inflizione della pena. Connotati distintivi: determinazione della funzione della pena sulla base della funzione del diritto penale. Visione integrata dei compiti della prevenzione generale e individuale, il dato per cui la prevenzione generale assume un significato positivo, proponendosi una stabilizzazione delle norme. Il suo contenuto consisterebbe nell’affermare e assicurare pubblicamente norme dirette a una prevenzione efficace e a una risoluzione formalizzata dei conflitti. Non poche difficoltà incontra il compito di individuare tangibili correlati empirici della teoria e ardua appare la verifica se la prevenzione generale abbia avuto effettivamente successo. Vi sono poi anche manchevolezze di ordine teorico e pratico.

 

La prevenzione speciale

La prevenzione speciale configura la sanzione come mezzo rispetto allo scopo di prevenire la commissione di reati da parte dello stesso soggetto cui la sanzione viene irrogata. Il finalismo della prevenzione speciale non può sottrarsi al difficile confronto con la realtà empirico-sociale. Come nella prevenzione generale il rilevamento dei tassi di criminalità segna il momento cruciale della ponderazione del successo delle scelte politico-criminali adottate, così nella prevenzione speciale un indicatore importante potrà essere tratto dagli indici di recidiva.

In sede di prevenzione speciale dovrebbe risultare particolarmente decisiva la scelta di una qualità e quantità della sanzione da irrogare concretamente corrispondenti a quanto l’esperienza insegni essere più propizio ad assicurare il reinserimento del reo nella società o almeno alla sua non ricaduta nel delitto. La presunta crisi del concetto di risocializzazione è derivata dalla presa d’atto che gli effetti sul condannato non si sarebbero manifestati in modo adeguato. Per quanto gravato da incertezze, il principio di risocializzazione realizza al meglio i dettami dello stato sociale con l’attenzione alla persona del reo x una sua reintegrazione (art.3 c.p.v. Rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà dei cittadini). La crisi del principio di risocializzazione induce a ripensarne le modalità di realizzazione.

 

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