Inizialmente si è assunta come definizione della criminologia una definizione che sembrava accomunare questa disciplina alla scienza del diritto penale in forza dell’identità dell’oggetto: discipline che in forma diversa si occupano del comportamento criminale. La differenza sembra localizzarsi nella connotazione, nell’essenza, rispettivamente empirica e normativa delle due aree. Le difficoltà dei rapporti tra diritto penale e criminologia si manifestano già nella distinzione tra crimine e reato, gli oggetti rispettivi della criminologia e del diritto penale. Riferimenti normativi:

** Art. 1 c.p. : nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite

** Art. 25 comma 2-3 cost : (principio di legalità) nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge

Nell’enunciazione del principio di legalità risultano ben distinti i fatti in generale e quei fatti che vengono scelti dal legislatore per essere qualificati come penalmente rilevanti, come reati appunto. La distinzione tra reato e crimine segnala innanzitutto una diversità di estensione. Si deve considerare il rilievo che, nella determinazione del campo di ricerca della criminologia assume il concetto di criminalità, intesa come il numero complessivo delle azioni o omissioni punibili in un tempo e in un luogo determinati.

Questa nozione assume connotati ben distinti rispetto a quella di reato: a differenza di questo, che si riferisce al fatto punibile di un soggetto determinato, la criminalità caratterizza il comportamento criminale come fenomeno sociale e dunque come oggetto di studio delle scienze sociali. Essa non si esaurisce nel totale statico dei singoli fatti criminali. Le caratteristiche comunemente prese in considerazione nella descrizione di una tale aggregazione di comportamenti sono in particolare:

– lo spazio e il tempo: distribuzione nazionale, regionale o locale degli illeciti in un determinato periodo

– la dimensione: totale di tutte le violazioni

– la struttura: differenze tra livelli di gravità o forme di manifestazione del reato e tipologie o gruppi di delitti

– l’andamento: evoluzione della criminalità totale o di parte di essa entro determinati periodi di tempo

Nei testi di diritto penale non si confonde il crimine con il reato mentre nei testi di criminologia sì. Il legislatore fa una scelta, una decisione di criminalizzazione: è il legislatore e in generale l’organizzazione statuale della società a scegliere quali comportamenti socialmente dannosi debbano essere qualificati come reati. La consapevolezza dell’esistenza di una scelta siffatta costituisce il più formidabile fattore di destabilizzazione di quella comunanza di materia tra il diritto penale e la criminologia.

La scelta di criminalizzazione operata dal legislatore, la cosiddetta criminalizzazione in astratto è il primo snodo attraverso il quale la realtà del crimine viene costituita o costruita. Ad essa seguiranno altri stadi, parimenti costitutivi, che si localizzeranno nella cosiddetta criminalizzazione in concreto: qui le decisioni non competeranno più al legislatore ma ad altri soggetti, la polizia, le procure, i giudici di merito e quelli di cassazione.

La distinzione tra l’astratto e il concreto viene quindi fatta tendenzialmente corrispondere alla tipologia di soggetti istituzionali rispettivamente coinvolti nelle relative decisioni. Si può guardarla anche da un altro angolo: alla criminalizzazione in concreto potrebbero essere ricondotte tutte quelle decisioni anche di pertinenza dello stesso legislatore che determinino uno scarto tra quanto qualificato come illecito dalle previsioni normative astratte e quanto effettivamente punito o necessario da punire ( inquadramento oggettivo della criminalizzazione). Può essere posto in correlazione con il concetto penalistico di punibilità.

Nell’elemento di punibilità si è identificata proprio la possibilità di provvedere a un inquadramento unitario di fenomeni tra loro anche molto diversi ma accomunati dall’idea che la normale connessione tra commissione di un fatto antigiuridico e colpevole e applicazione della pena può essere spezzata dall’irrompere di fattori contemporanei o successivi alla commissione del fatto che rendano inopportuna la pena ( alcune condizioni possono fondare o escludere l’opportunità di punire: opportunità a volte già operata dal legislatore, a volte affidata alla discrezionalità del giudice).

Nella visione soggettiva la norma giuridica vede accentuata la sua caratteristica di imperativo nei confronti sia dei consociati ma anche delle agenzie di controllo. Nella visione oggettiva invece si ha la scelta di rinunciare per ragioni di opportunità alla punizione (non è l’imperativo a essere deluso ma la coerenza di questo giudizio diventa problematica).

Un ulteriore valore aggiunto della distinzione tra piani di criminalizzazione è la contrapposizione tra una concezione di norma penale come imperativo (il legislatore impone la sua volontà) e un’altra concezione che vi ravvisa invece soprattutto un giudizio di valore (ordinamento come insieme di giudizi di valore sulla base dei quali si differenziano comportamenti giuridici e antigiuridici).

Si ravvisa un “codice di secondo livello” tale da modificare e deformare in modo latente l’applicazione del codice ufficiale delle regole penali. Si parla di depenalizzazione prasseologica o fattuale (il codice occulto da un risultato di esclusione della pena nei confronti di una serie di comportamenti criminosi tramite depenalizzazione o de criminalizzazione legale). Si ha però così la criminalità nascosta (o cifra oscura), cioè un deficit della conoscenza ufficiale, insieme dei reati commessi ma non registrati.

 

Lascia un commento