Si è additata in dottrina la necessità che, dal contatto tra legislazione penale e scienze giuridiche si passi ad apprestare una metodologia capace di canalizzare tale contatto su una serie di obiettivi specifici e coordinati. Si richiede anche al giurista uno sciogliersi di quella sua rigidità. Il penalista poi, in particolare, appare ancor più sospinto verso un’ermetica chiusura.
Come insegna ogni manuale di diritto penale per poter ricondurre il caso singolo nella fattispecie incriminatrice generale ed astratta occorre selezionare le caratteristiche giuridicamente rilevanti dell’accadimento concreto e individuare il significato e la portata della legge da applicare (interpretazione della legge penale).
Leggi, modelli, teorie e paradigmi generali paiono preservati dal pericolo di imporsi con troppa violenza alla concretezza della realtà grazie all’esigenza che si formino attraverso un metodo scientifico. L’antidoto culturale sembra quello di fare proprio l’abito mentale, lo spirito scientifico, che è una modalità di pensiero ben diversa da quello che è stato detto il senso comune, che è realistico e pragmatico, non separa le cose dall’affettività con cui le pulsioni lo investono.
Lo spirito scientifico invece è il risultato di un’astrazione e di un emancipazione. Si rilevava recentemente come gli interventi nel campo del controllo del crimine siano spesso fallimentari in assenza di una reale e approfondita verifica scientifica della loro efficacia, per effetto dell’ingenuità con cui si crede che emanata una legge questa venga applicata in modo conforme agli scopi avuti di mira.
La base di un tale assetto è stata individuata soprattutto nella preoccupazione per le conseguenze nel mondo dei fatti delle scelte maturate nel mondo delle norme: la giustezza delle decisioni viene fatta dipendere anche dalla verifica che esse producano conseguenze favorevoli o evitino quelle sfavorevoli.