Premessa
Il principio di tassatività o di sufficiente determinatezza impone al legislatore di individuare con sufficiente precisione il comportamento penalmente sanzionato. Tale principio non riguarda la gerarchia delle fonti in materia penale, come il principio di riserva di legge; ma coinvolge la tecnica di formulazione delle fattispecie criminose e tende a salvaguardare i cittadini contro eventuali abusi del potere giudiziario.
Tale principio fa da pendant col principio di frammentarietà, perché se la tutela penale è apprestata solo contro determinate forme di aggressione ai beni giuridici, è necessario che il legislatore specifichi con determinatezza i comportamenti che integrano tali modalità aggressive.
La determinatezza delle fattispecie incriminatrici rappresenta una condizione indispensabile perché la norma penale possa efficacemente fungere da guida del comportamento del cittadino: quanto + il cittadino è posto in condizione di discernere senza ambiguità tra le zone del lecito e dell’illecito, tanto + cresce il rapporto di fiducia nei confronti dello Stato e delle sue istituzioni. Ove tale principio non fosse rispettato, risulterebbe menomato il diritto costituzionale alla difesa, data la difficoltà di confrontarsi con un’ imputazione ben precisa in assenza di una descrizione legale del fatto contestato.
Giurisprudenza
La Corte Cost. ha nella quasi totalità dei casi, respinto le eccezioni sollevate sotto il profilo della violazione del principio di tassatività, facendo leva su vari argomenti, alcuni dei quali discutibili.
Secondo una opinione giurisprudenziale risalente nel tempo, il salvataggio delle norme denunciate è stato operato in base al criterio del significato linguistico, in quanto al giudice sarebbe sempre possibile rintracciare un significato determinato, corrispondente al normale uso linguistico dei termini impiegati nelle norme sospettate di eccessiva indeterminatezza. (es. sent 191/70 sulle norme in materia di osceno; sent 42/72 in materia di assistenza familiare). Però, tale criterio può risultare utile tutt’al più in rapporto ad espressioni linguistiche che il legislatore trae dal linguaggio comune, ma quando invece, si tratta di espressioni tecniche, tale criterio si rileva inadatto a conferire alla norma la ricercata determinatezza.
Un altro filone giurisprudenziale, fa leva sull’argomento del diritto vivente, che viene utilizzato in 2 versioni:
Secondo la prima versione, la Corte tende ad identificare il diritto vivente con l’interpretazione costante o comunque dominante che la giurisprudenza conferisce a una certa norma incriminatrice: per cui tale norma assumerebbe sufficientemente determinatezza, se e in quanto applicata alla stregua dell’interpretazione giurisprudenziale prevalente. (es. sent 11/88 in tema di armi- giocattolo).
La seconda versione viene adottata nei casi in cui manca un indirizzo interpretativo costante o prevalente, per cui in questo caso, la Corte concepisce il diritto vivente come il rapporto dialettico tra le varie interpretazioni e il principio di determinatezza rimarrebbe salvo tutte le volte in cui la disomogeneità interpretativa non superi la soglia di una normale fisiologia (es. sent 21/90 in materia di inosservanza di misure di prevenzione).
Tale criterio del diritto vivente, però, oltre ad essere suscettivo di applicazioni troppo duttili e manipolabili, attribuisce un ruolo eccessivo alla giurisprudenza che viene incaricata del ruolo di supplire alle deficienze del legislatore.
La giurisprudenza ha anche però emesso sentenze di accoglimento come ad es. la sent 96/81 in tema di plagio, che ha precisato che la determinatezza o tassatività della fattispecie incriminatrice non attiene solo alla sua formulazione linguistica, ma implica anche la verificabilità empirica del fatto da essa disciplinato. Nella sentenza si fa riferimento all’art. 25 Cost. che impone espressamente al legislatore di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intellegibilità dei termini impiegati. Inoltre, è implicito l’onere di formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà.
Questa tesi è stata sviluppata anche in altre 2 sentenze da cui emerge che il vero punto di riferimento della determinatezza è il c.d. tipo criminoso, come sintesi espressiva di un omogeneo contenuto di disvalore penale.
Caso. Una significativa pronuncia di accoglimento di un’ eccezione di incostituzionalità per violazione del principio di tassatività, è la sent 34/95 in cui nel dichiarare incostituzionale una disposizione incriminatrice in materia di asilo e soggiorno di cittadini extracomunitari, la Corte ha rilevato che l’espressione utilizzata dal legislatore per indicare la condotta omissiva punibile (cioè non adoperarsi per ottenere il rilascio del documento di viaggio), impedisce di stabilire con precisione quando l’inerzia del soggetto che si sia intesa sanzionare, raggiunga la soglia penalmente apprezzabile; ciò in quanto mancano precisi parametri oggettivi di riferimento diversi da mere sinonimie lessicali.
Ovviamente una soluzione a tale problema sarebbe un più rigoroso rispetto dei criteri che presiedono ad una corretta tecnica di redazione delle norme incriminatrici.
La circolare 1986 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si prefigge proprio l’obiettivo di razionalizzare la legislazione, fissando alcuni criteri orientativi per la formulazione delle fattispecie penali, in conformità ai suggerimenti della migliore elaborazione dottrinale.
Il principio di tassatività e tecniche di redazione della fattispecie penale
Il principio di tassatività vincola da un lato il legislatore ad una descrizione il più possibile precisa del fatto di reato e, dall’altro il giudice ad una interpretazione che rifletta il tipo descrittivo così come legalmente configurato. Le principali tecniche di legiferazione sono:
Normazione descrittiva. È una tecnica che descrive il fatto criminoso mediante l’impiego di termini che alludono a dati della realtà empirica. Però tale tecnica può portare ad un eccesso casistico.
Normazione sintetica. È una tecnica che adotta una qualificazione di sintesi mediante l’impiego di elementi normativi (es. atti osceni invece di descrivere i singoli casi), rinviando ad una fonte esterna rispetto alla fattispecie incriminatrice, come parametro per la regola di giudizio da applicare nel caso concreto. (tecnica preferibile)
Gli strumenti di tecnica legislativa atti a garantire la tassatività della fattispecie sono:
Elementi descrittivi: sono elementi che traggono il loro significato direttamente dalla realtà (es. uomo, morte). Fattispecie costruite in forma descrittiva sono i delitti di omicidio o di lesione personale.
Caso. Carlo Braibanti, accusato di avere, mediante suggestione, sottoposto 2 ragazzi al proprio volere, fino al punto di metterli in stato di totale soggezione psicologica viene accusato di plagio. In tale caso le diverse interpretazioni dell’art. 603 comprovano l’impossibilità di accertare in modo inoppugnabile il fenomeno di dipendenza psicologica tra 2 soggetti, richiesto dalla norma incriminatrice.
Elementi normativi: sono elementi che necessitano, per la determinazione del loro contenuto, una etero- integrazione mediante in rinvio ad una norma diversa da quella incriminatrice.
Caso. Una donna prende il sole a seno nudo in una pubblica spiaggia: tale comportamento costituisce reato ex art. 726 per Cass. 1982, mentre è considerato lecito da Cass. 1983. La persistente oscillazione della giurisprudenza tra parametri di valutazione dell’osceno contraddittori al di là di ogni ragionevolezza, costituisce la prova dell’indeterminatezza del concetto di buon costume. In questo caso è la stessa inafferrabilità del bene oggetto di protezione, a tradursi in un conseguente inafferrabilità dei fatti che lo ledono.
Se si tratta di elementi normativi giuridici l’esigenza di tassatività è per lo più rispettata perché la norma giuridica richiamata è individuabile senza incertezze.
Se si tratta di elementi normativi extragiuridici, cioè rinvianti a norme sociali o di costume, il parametro di riferimento diventa incerto e sorgono dubbi sul rispetto del principio di tassatività. (es. indeterminatezza del concetto di buon costume)
Il principio di irretroattività
Il principio di irretroattività fa divieto di applicare la legge penale a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Tale principio è previsto:
per tutte le leggi dall’art. 11 disp.att. , il quale statuisce: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
solo con riferimento alla materia penalistica dall’art 25 Cost. 2°c. per il quale “ nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
al livello di legislazione ordinaria dall’ art 2 c.p. che al primo comma ribadisce l’irretroattività della norma incriminatrice a ai commi successivi, invece, la retroattività di una eventuale norma + favorevole successivamente emanata.
La ratio sottesa al principio codicistico dell’ applicabilità retroattiva della legge + favorevole al reo, è identica a quella che giustifica il riconoscimento del principio di irretroattività. In entrambi i casi all’ordinamento sta a cuore garantire al singolo la libertà o comunque maggiori spazi di libertà. Tale principio di retroattività della legge + favorevole trova comunque rilevanza costituzionale nell’ art 3 cost. sotto il profilo di una parità sostanziale di trattamento. L’art 2 riguarda però, il diritto penale sostanziale e non anche quello processuale.