Bisogna distinguere fra:
– Contrasto pratico:
- Quando viene violato l’effetto negativo: es. Tizio dopo aver ottenuto l’accertamento incontrovertibile di essere proprietario nei confronti di Caio, viene pronunciata una successiva sentenza in cui si accerta che Caio è proprietario;
- Quando viene violato l’effetto positivo della cosa giudicata: es. Tizio propone la domanda di accertamento incontrovertibile dello status di figlio legittimo e viene accertata l’inesistenza. Successivamente Tizio propone la domanda volta ad ottenere gli alimenti nei confronti di Caio, il giudice del secondo processo non si uniforma all’accertamento incontrovertibile ma accoglie la domanda ritenendo che esista lo status di figlio legittimo;
– Contrasto logico: quando viene risolta diversamente una stessa questione pregiudiziale (es. Tizio stipula un contratto di mutuo con Caio. Tizio ha il diritto alla restituzione della somma data a mutuo. Tizio muore e gli succedono Sempronio e Mevio in eredi pro quota, hanno entrambi diritto alla restituzione di metà della somma data a mutuo. Instaurano due separati processi nei confronti di Caio, in uno viene accolta la domanda e nell’altro viene rigettata).
Vi sono delle regole che sono dirette a prevenire il contrasto fra giudicati (sia pratico che logico).
Quando è già stata decisa una determinata controversia nel merito non è possibile riproporre la stessa domanda, anche eventualmente di segno invertito.
Esempio: se Tizio ha chiesto l’accertamento del suo diritto di proprietà nei confronti di Caio su un determinato bene, e questa domanda è stata rigettata, Tizio non può riproporre la medesima domanda poiché verrebbe eccepita la cosa giudicata. Se invece fosse stata accolta, Caio non potrebbe a sua volta proporre la domanda di accertamento negativo del diritto di proprietà nei confronti di Tizio, oppure non potrebbe proporre l’accertamento del proprio diritto di proprietà nei confronti di Tizio.
Il fenomeno della litispendenza, che vieta che la stessa domanda venga proposta in due autonomi processi, è disciplinato da due norme:
– L’art. 39 c.p.c. prevede l’ipotesi che la stessa domanda venga proposta davanti ad un ufficio giudiziario diverso da quello in cui è pendente (es. tribunale di Udine e tribunale di Trieste): il giudice adito per secondo deve dichiarare d’ufficio con ordinanza la litispendenza e la cancellazione della causa dal ruolo. In questo caso la litispendenza può essere impugnata solo con regolamento necessario di competenza;
– L’art. 273 c.p.c. prevede l’ipotesi in cui la stessa medesima domanda venga proposta con un procedimento autonomo, ma davanti ad un giudice dello stesso ufficio giudiziario (es. la medesima domanda viene proposta entrambe le volte davanti al tribunale di Udine). In quest’ipotesi il giudice adito per secondo deve disporre la riunione davanti al giudice adito per primo.
Per stabilire quando una causa è identica ad un’altra si deve guardare agli elementi di identificazione dell’azione:
- Soggetti;
- Parti;
- Titolo (o causa petendi);
- Fatto giuridico posto a fondamento della domanda;
- Petitum immediato;
- Tipo di provvedimento richiesto al giudice;
- Petitum mediato.
Il terzo comma dell’art. 39 c.p.c. disciplina la prevenzione, cioè il criterio per stabilire qual è la domanda proposta per prima:
– Se si tratta di un processo che inizia con atto di citazione si deve guardare al momento della notificazione;
– Se si tratta di un processo che inizia con ricorso si deve guardare al momento del deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito.
L’art. 395.5 c.p.c. prevede la revocazione (è un’impugnazione). Bisogna distinguere fra:
– Revocazione ordinaria: i motivi di cui ai numeri 4 e 5. La proponibilità di questa impugnazione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza.
Il motivo di cui al n. 5 afferma che è motivo di revocazione di una sentenza “il suo contrasto con altra precedente avente tra le parti l’autorità di cosa giudicata, purché il giudice non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”. Se il giudice ha pronunciato sull’eccezione di cosa giudicata allora il rimedio non è la revocazione per il motivo di cui al n. 5, ma è il ricorso per Cassazione;
– Revocazione straordinaria: tutti gli altri motivi.
L’art. 295 c.p.c. prevede che il giudice debba sospendere il processo quando egli stesso o altro giudice debba decidere una controversia dalla quale dipende la decisione della causa. Prevede l’ipotesi che due siano le cause pendenti e che pendano davanti a giudici diversi (abbiamo due autonomi processi pendenti). Tra le situazioni sostanziali oggetto dei due processi deve esserci un rapporto di pregiudizialità di pendenza. In questo caso il giudice della causa dipendente deve sospendere il processo fino a quando non passa in giudicato la sentenza che decide sulla causa pregiudiziale (es. in un processo si chiede il diritto agli alimenti e nell’altro l’accertamento dello status di figlio legittimo). La sospensione non la deve pronunciare il giudice adito per secondo, ma il giudice della causa dipendente. Questa interpretazione dell’art. 295 c.p.c. è quella tradizionale e prevalente.
Vi è un principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Significa che non si può mettere in discussione il risultato del primo processo, quindi l’accertamento incontrovertibile prodotto da esso, deducendo in un secondo processo fatti che erano già stati dedotti nel primo (dedotto), oppure fatti che potevano essere dedotti nel primo processo e che non sono stati dedotti (deducibile).
Esempio del dedotto per il convenuto (*): Tizio ha chiesto la restituzione di una somma data a mutuo, Caio ha eccepito la remissione del debito. Il giudice ha rigettato l’eccezione e ha accolto la domanda di Tizio. Passa in giudicato la sentenza. Questa regola prevede che non è possibile per Caio rimettere in discussione il risultato del primo processo (l’accertamento del diritto di Tizio) deducendo gli stessi fatti che già aveva dedotto nel primo processo. Quindi non può proporre una domanda di accertamento negativo sostenendo che gli è stato rimesso il debito.
Esempio del dedotto per l’attore (#): un soggetto può essere proprietario perché ha acquistato un bene con un contratto di compravendita ma anche perché lo ha usucapito. Ha chiesto l’accertamento del suo diritto di proprietà deducendo che l’ha comprato da Sempronio. Il giudice rigetta la domanda. Non potrebbe riproporre la stessa domanda sulla base dello stesso contratto di compravendita.
La regola del dedotto e del deducibile vale per i fatti principali:
– Fatto giuridico posto a fondamento della domanda (fatto che integra la causa petendi);
– Fatti che sono oggetto delle eccezioni del convenuto. L’art. 2697 cc. li definisce come estintivi, impeditivi e modificati.
Esempio del deducibile per il convenuto (*): nel primo processo Caio ha eccepito solamente l’adempimento, potrebbe eccepire anche la remissione del debito ma non lo fa. Il giudice rigetta l’eccezione e quindi condanna Caio alla restituzione della somma data a mutuo da Tizio. Caio non potrà proporre una seconda domanda deducendo quello che non ha dedotto nel primo processo (la remissione del debito).
Esempio del deducibile per l’attore (#): Tizio potrebbe chiedere l’accertamento del suo diritto di proprietà sia sulla base del diritto di compravendita sia sulla base dell’usucapione, ma quest’ultimo non lo fa valere. Il giudice rigetta la domanda perché il contratto di compravendita è nullo. Passa in giudicato la sentenza. Tizio non potrà riproporre la domanda deducendo in giudizio l’usucapione.
Potrebbe l’attore o il convenuto affermare di non essere a conoscenza di un certo fatto? La riposta è negativa, vale solamente il criterio temporale (es. non potrebbe affermare di non essere a conoscenza del fatto che fosse maturato il tempo necessario per l’usucapione).
Limiti cronologici della cosa giudicata: la cosa giudicata copre il dedotto e il deducibile con riferimento ad un momento ben preciso, per cui non si possono dedurre in un successivo processo i fatti accaduti prima di questo momento. Questo momento non è rappresentato dal passaggio in giudicato o dalla pubblicazione, ma è l’ultimo momento utile in cui le parti del processo possono dedurre fatti nel processo stesso: udienza di precisazione delle conclusioni.
Nel processo c’è una fase introduttiva in cui le parti depositano i loro atti iniziali (notifica dell’atto di citazione e deposito della comparsa di risposta), poi c’è la prima udienza di trattazione, poi il deposito di alcune memorie (sono in parte memorie di trattazione ed in parte memorie istruttorie). Nella seconda udienza poi dovrebbe avvenire l’assunzione dei mezzi di prova ammessi. Quando il giudice ritiene che la causa sia matura per una decisione fissa l’udienza di precisazione delle conclusioni. Fino a quel momento le parti possono ancora dedurre i fatti. Una volta precisate le conclusioni il giudice rimette la causa a decisione, e dopo questo momento non vi è più il contatto fra parti e giudice. Il momento dell’udienza di precisazione delle conclusioni è il momento in cui si forma la cosa giudicata materiale.
Nel nuovo processo si possono dedurre solo i fatti sopravvenuti rispetto l’udienza di precisazione delle conclusioni del primo processo (quindi nell’esempio sopra, dopo che Caio è stato condannato a restituire la somma avuta a mutuo, potrebbe nel secondo processo far valere il pagamento della somma avvenuto dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni).
Il principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile è un corollario della cosa giudicata, è un corollario necessitato dalla incontrovertibilità dell’accertamento. L’art. 2909 cc. afferma che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa “stato ad ogni effetto”. Quell’inciso “ad ogni effetto” indica l’incontrovertibilità dell’accertamento, il fatto che non si può rimettere in discussione il risultato del processo. Se l’accertamento è incontrovertibile significa che non si può nemmeno rimettere in discussione con i fatti che o sono stati dedotti, o che la parte avrebbe potuto dedurre nel primo processo.
Un secondo principio afferma che il giudicato non si estende ai motivi. Bisogna stabilire quali, tra tutte le soluzioni delle varie questioni che il giudice affronta, sono decise con efficacia di cosa giudicata (es. Tizio chiede gli alimenti nei confronti di Caio deducendo di essere figlio legittimo. Il giudice deve risolvere varie questioni).
La regola la si deduce dall’art. 34 c.p.c. Le questioni pregiudiziali di regola sono decise con efficacia incidenter tantum. Le questioni pregiudiziali sono quelle che hanno per oggetto diritti, rapporti o status. Il legislatore ha indicato una regola che vale per le questioni pregiudiziali, ma la medesima regola vale anche per tutti gli altri antecedenti logici che il giudice deve affrontare (nell’esempio sopra quindi la cosa giudicata si forma solo sulla situazione sostanziale oggetto del processo, cioè il diritto agli alimenti, non si forma sulla questione pregiudiziale, cioè lo status di figlio legittimo).
Si può cogliere l’importanza di quell’opinione che distingue fra pregiudizialità tecnica e pregiudizialità logica. Secondo questa opinione l’art. 34 c.p.c. vale solo nei casi di pregiudizialità tecnica, non nei casi di pregiudizialità logica