È previsto dall’articolo 41 c.p.c. il quale afferma che “finché la causa non è decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della Corte di Cassazione che risolvano una questione di giurisdizione di cui all’art. 37 c.p.”.
Non è un mezzo di impugnazione, ma è un rimedio preventivo. La funzione è quella di rendere possibile alle parti di ottenere rapidamente una statuizione sulla giurisdizione da parte dell’organo che è il supremo regolatore della giurisdizione (la Cassazione).
La Cassazione quando pronuncia sulla giurisdizione lo fa Sezioni Unite (giudica sulla ripartizione delle controversie tra i vari ordini giurisdizionali). In seguito alla riforma dell’art. 374 c.p.c. è possibile che venga devoluta la decisione sulla questione di giurisdizione anche ad una sezione semplice, ma solo se le Sezioni Unite si sono già pronunciate sulla stessa questione (comunque le Sezioni Unite sono l’organo competente).
Negli intendimenti del legislatore la decisione sulla questione di giurisdizione dovrebbe essere rapida, in realtà la Corte mediamente ci impiega circa tre anni a pronunciarsi (negli anni ’80 servivano anche 6 anni).
La Corte può essere adita su una questione di giurisdizione anche attraverso la normale trafila delle impugnazioni (ecco perché il regolamento preventivo di giurisdizione è comunque un mezzo per arrivare ad una pronuncia sulla giurisdizione più rapida di quella che si otterrebbe rispettando la normale trafila delle impugnazioni).
“decisa nel merito in primo grado” significa che non è possibile proporre un regolamento di giurisdizione in appello o nei successivi gradi di giudizio. Stando alla lettera della legge ogniqualvolta vi sia una decisione nel merito non è più proponibile un regolamento di giurisdizione (per aversi una decisione nel merito non è necessario attendere la pronuncia della sentenza definitiva. Anche la pronuncia di una sentenza non definitiva può avere per oggetto il merito poiché possono esservi delle pronunce su delle questioni preliminari di merito. Queste sono quelle questioni dalla cui decisione può dipendere la definizione della causa).
Il concetto di merito è inteso in senso ampio anche con riferimento alle sentenze di rito (quelle che pronunciano su questioni processuali. Una sentenza definitiva di rito è una sentenza che rigetta la domanda in rito, es. la sentenza che dichiara il difetto di legittimazione ad agire). Possono esservi delle sentenze non definitive anche su questioni di rito, quindi che il processo prosegua davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza.
Il concetto di merito va inteso come qualsiasi sentenza definitiva o non definitiva di rito o di merito (es. è possibile che la causa venga rimessa anticipatamente a decisione perché si pronunci sulla questione relativa alla legittimazione ad agire. Se il giudice si convince che la legittimazione ad agire esiste, allora emanerà una sentenza non definitiva di rito e rimetterà la causa al giudice istruttore affinché prosegua nell’istruzione del processo. Anche queste sentenze precludono la possibilità di proporre il regolamento di giurisdizione).
Si poneva un problema con riguardo alla pronuncia da parte del giudice di merito di una sentenza sulla giurisdizione. Ci si chiedeva se anche questa precludesse o meno la possibilità di proporre regolamento di giurisdizione. Alla base di quell’orientamento che amplia il concetto di merito vi è il rilievo che il giudice, quando pronuncia una qualsiasi sentenza, implicitamente riconosce la propria giurisdizione. Fino a metà degli anni ’90 la Corte di Cassazione ammetteva la proposizione di regolamento di giurisdizione, poi ha mutato orientamento (la ragione per cui oggi si nega la proponibilità del regolamento di giurisdizione è che altrimenti si verrebbe a riconoscere ad esso la funzione di mezzo di impugnazione, mentre invece è un rimedio preventivo la cui funzione è quella di consentire una rapida decisione sulle questioni di giurisdizione di cui all’art. 37 c.p.c.).
Quindi ogniqualvolta il giudice pronuncia una sentenza definitiva o non definitiva, di merito o di rito, compresa quella sulla giurisdizione, è precluso il regolamento di giurisdizione.
Sono state elaborate comunque delle interpretazioni restrittive in ordine al regolamento di giurisdizione in conseguenza del fatto che in passato di esso era stato fatto un vero e proprio abuso. Il vecchio art. 367 c.p.c. prevedeva che fosse sospeso ex lege il procedimento in ragione del quale veniva proposto il regolamento di giurisdizione. Quindi la parte che pensava di essere in torto spesso proponeva tale regolamento, addirittura l’avvocato, visti i suoi buoni rapporti con l’ufficio di cancelleria, si informava di quale fosse il contenuto della sentenza del giudice prima che questa venisse pubblicata (la sentenza doveva essere depositata al cancelliere e questi, dopo averla ricopiata, la ritrasmetteva al giudice affinché la sottoscrivesse. Infine la sentenza ritornava al cancelliere il quale vi apponeva il visto e la pubblicava). Pertanto l’avvocato proponeva il regolamento di giurisdizione pochi giorni prima della pubblicazione ottenendo così la sospensione del procedimento.
Il nuovo 367 c.p.c., riformato con la legge 353/’90 poi entrata in vigore nel ‘95, non prevede più la sospensione automatica del processo in caso di proposizione di regolamento di giurisdizione, ma solamente nei casi in cui il giudice a quo (quello del procedimento in relazione al quale è stato proposto il regolamento) non ritenga l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata (vi è la possibilità per il giudice a quo di valutare se sussistono questi presupposti per evitare la sospensione del processo nel caso di abusi).
Di fatto il ricorso a regolamento di giurisdizione è stato di molto diminuito (in passato veniva proposto poiché, a causa della lunghezza dei tempi per pronunciarsi, la parte in torto sperava di ottenere una transizione a condizioni più favorevoli di quelle che avrebbe ottenuto se il procedimento fosse stato rapido).
Bisogna distinguere fra:
– Sospensione impropria: è lo stesso procedimento che continua in una sua fase che si svolge davanti ad un altro giudice. Quindi il procedimento in cui è stato proposto il regolamento di giurisdizione, quando viene sospeso, non è che termini, ma si svolge una sua fase davanti ad un giudice diverso per poi riprendere, qualora venga confermata la giurisdizione del giudice adito, davanti al giudice originario.
La fase che si svolge davanti ad un altro giudice non potrà mai essere instaurata autonomamente (non sarà mai possibile instaurare un processo proponendo un regolamento di giurisdizione).
È una sospensione impropria anche la questione di legittimità costituzionale;
– Sospensione propria: si ha quando un processo viene sospeso in attesa che si svolga un altro autonomo processo il cui risultato produce degli effetti sul primo.
Presuppone che siano pendenti due processi autonomi, ciascuno instaurato autonomamente.
Secondo alcuni è necessario che sorga una controversia fra le parti in ordine alla giurisdizione, secondo altri è necessario che sorga almeno un ragionevole dubbio sulla giurisdizione (la ragione è sempre quella di evitare degli abusi in ordine la proposizione del regolamento do giurisdizione).
Fra i legittimati è compreso anche colui che fa intervento adesivo (art. 105.2 c.p.c.): il terzo che sostiene le ragioni di una delle parti (intervento ad adiuvandum). Questo interveniente adesivo è titolare, secondo l’opinione accolta dalla giurisprudenza, di poteri minori rispetto a quelli delle parti poiché non è il titolare della situazione sostanziale controversa (es. non può impugnare).
Però si riconosce all’interveniente adesivo il potere di proporre il regolamento di giurisdizione perché qui è in gioco la sussistenza del potere giurisdizionale (non è in gioco l’esistenza o inesistenza della situazione sostanziale dedotta in giudizio).
Quando viene proposto il regolamento di giurisdizione, davanti alla corte di cassazione deve essere ricostituita la stessa composizione della lite sul piano soggettivo (è un caso di litisconsorzio necessario per ragioni processuali). Tutte le parti del procedimento che si sta svolgendo davanti al giudice di merito devono far parte del procedimento davanti alla Corte di Cassazione.
Vi sono delle cause in cui più sono le domande proposte: in questi casi si parla di cumulo oggettivo di cause. Una di queste ipotesi consegue al cosiddett litisconsorzio facoltativo previsto dall’art. 103 c.p.c. che afferma che più parti possono agire o essere convenute davanti al giudice. Quindi vi potranno essere più attori o più convenuti quando vi è connessione oggettiva fra le cause, per il petitum mediato o per la causa petendi, oppure quando la decisione delle diverse cause dipende dalla risoluzione di identiche questioni. In un ipotesi di cumulo oggettivo di cause la Corte di Cassazione ha ammesso che possa essere proposto il regolamento di giurisdizione in relazione anche ad una soltanto delle cause (presupposto di questa soluzione è il fatto che il processo con cumulo oggettivo di cause venga configurato come un fascio di procedimenti che si svolgono contemporaneamente davanti allo stesso giudice, tanti procedimenti quante siano le cause cumulate).
L’ambito di applicazione del regolamento di giurisdizione lo definisce l’art. 41 c.p.c. rinviando all’art. 37 c.p.c. che disciplina il difetto di giurisdizione. Il regolamento di giurisdizione non è proposto solo per risolvere le questioni previste dall’art. 37.1 c.p.c., ma anche per quelle del secondo comma dello stesso articolo che però è stato abrogato tacitamente dalla L.218/’95. Si ritiene che il rinvio operato dall’art. 41 c.p.c. sia un rinvio mobile (un rinvio alla materia, non alla disposizione), quindi ora l’art. 41 c.p.c. rinvia alla L.218/’95.
Art. 11.1 L.218/’95 afferma che “il difetto di giurisdizione è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana”. È un eccezione in senso stretto (riservata al convenuto).
Il secondo comma prevede un’ipotesi di eccezione in senso lato in cui è il giudice a dover rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione nelle seguenti ipotesi:
– Quando il convenuto è contumace;
– Nei casi previsti dall’art. 5: fa riferimento alle ipotesi in cui vi siano azioni reali relative a beni immobili siti all’estero. In questo caso la giurisdizione non sussiste nemmeno se il convenuto si è costituito;
– Quando vi è una norma internazionale che esclude la giurisdizione del giudice italiano.
Il problema stabilire quand’è che il convenuto ha accettato tacitamente la giurisdizione italiana. Bisogna coordinare l’art. 3 con l’art. 4 di questa legge: l’art. 3 stabilisce i criteri generali della sussistenza della giurisdizione italiana (quando il convenuto è residente o domiciliato in Italia, oppure quando è residente o domiciliato all’estero ma ha un procuratore generale ai sensi dell’art. 77 c.p.c.). L’art. 4.1 afferma che “quando non sussiste la giurisdizione a norma dell’art. 3, la giurisdizione del giudice italiano tuttavia sussiste se le parti l’abbiano accetta espressamente per iscritto (se abbiano stipulato un accordo), ovvero quando il convenuto compaia e non eccepisca il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo”. Ecco il modo in cui il convenuto accetta tacitamente la giurisdizione italiana: costituendosi in giudizio e non eccependo il difetto di giurisdizione come primo atto difensivo (bisogna guardare al fatto che il convenuto non residente o domiciliato in Italia si sia costituito, e come prima cosa deve avere eccepito il difetto di giurisdizione. Se ha prima proposto qualsiasi altra eccezione, questo vale come accettazione tacita della giurisdizione italiana).
Non si guarda ed è irrilevante ai fini della giurisdizione italiana, la residenza, il domicilio o la nazionalità dell’attore; si guarda la residenza, il domicilio o la nazionalità del convenuto. L’accettazione tacita e quella espressa è possibile quando manchi la giurisdizione a norma dell’art. 3, non quando manchi la giurisdizione per qualsiasi altra ragione (art. 3 prevede il criterio della residenza o del domicilio in Italia). Se manca la giurisdizione perché ad esempio la causa ha per oggetto un’azione reale relativa a beni immobili siti all’estero, non è possibile l’accettazione (prevale l’assenza della giurisdizione ai sensi dell’art. 5 in cui non sono previste deroghe).