Secondo una classificazione è una condizione di trattabilità ed decidibilità della causa del merito, mentre secondo altra è una condizione di validità dell’azione.
È previsto dall’art. 100 c.p.c. (“per agire nel giudizio bisogna avere interesse”). Non ha alcun senso porsi il problema dell’esistenza dell’interesse riguardo il convenuto (è ovvio che questi ha interesse).
Non è vero che il legislatore ogni volta che parla di interesse, si riferisce all’interesse ad agire, a volte viene usato per individuare i legittimati ad agire:
– Art. 105.2 c.p.c. prevede una legittimazione all’intervento adesivo, e per individuare i legittimati usa l’espressione “interesse”;
– Art. 117 cc. prevede fra i soggetti legittimati ad impugnare il matrimonio anche chiunque abbia un interesse legittimo attuale.
Il concetto di interesse ad agire è stato utilizzato per introdurre nell’ordinamento delle forme di tutela non previste espressamente dalla legge (o meglio per estendere tali forme di tutela, farle diventare di carattere generale). In particolare si è cercato di utilizzarlo per l’istituto della condanna in futuro: talvolta si consente ad un soggetto di agire in giudizio prima che il suo diritto di credito sia esigibile (perché ad es. sottoposto a termine) per procurarsi un titolo esecutivo che potrà utilizzare dopo la scadenza del termine, quando il suo diritto è divenuto esigibile, qualora il debitore non adempia immediatamente (es. procedimento per convalida di licenza o di sfratto: il locatore di un bene immobile, prima che scada il rapporto di locazione, può convenire in giudizio il conduttore notificando un atto di citazione che contestualmente contiene anche la licenza. Se il conduttore non si oppone, il giudice condanna la licenza e condanna in futuro il conduttore a rilasciare l’immobile).
Taluni hanno utilizzato il concetto di interesse ad agire per cercare di estendere la condanna in futuro ad ogni ipotesi di credito sottoposto a termine (il ragionamento era che fosse da ammettere la condanna in futuro perché vi era un interesse alla condanna in futuro). Questo tentativo è fallito, deve esservi un’espressa previsione di legge (le forme di tutela sono solo quelle previste dal legislatore).
L’interesse ad agire, secondo l’opinione tradizionale, sorge quando vi è:
– Uno stato di obiettiva lesione del diritto;
– E quando vi è l’idoneità del provvedimento richiesto al giudice a porvi rimedio.
Questa definizione poi viene specificata in ogni tipo di processo di cognizione (esisterebbe, secondo questa opinione, in ogni tipo di processo di cognizione):
– Processo di mero accertamento: questo stato di obiettiva lesione del diritto è costituito da uno stato di incertezza in ordine all’esistenza della situazione sostanziale. Questa incertezza può derivare:
- Dal vanto di un diritto di un terzo;
- Dalla negazione di un diritto da parte di un terzo;
- Da uno stato di apparenza che crea un’incertezza in ordine ad una situazione sostanziale (es. il fatto che Tizio passi abitualmente sul fondo di Caio può far pensare che esista una servitù di passaggio);
- Dall’oscurità di un precetto, che può avere una fonte normativa (es. regolamento) o negoziale (es. contratto).
Quando vi è questo stato di obiettiva incertezza, che il giudice dovrà verificare anche eventualmente facendo un’istruzione sulle circostanze concrete, sussiste l’interesse ad agire;
– Processo di condanna: l’interesse ad agire sorgerebbe dall’inadempimento;
– Processi costitutivi: l’interesse ad agire sorgerebbe dalla mancanza dell’effetto giuridico che si chiede al giudice di costituire (poiché non ho l’effetto giuridico chiedo al giudice di pronunciare una sentenza che ha efficacia costitutiva).
Questa opinione tradizionale è stata criticata dall’opinione critica (in realtà ormai è questa quella tradizionale). Questa accoglie l’opinione tradizionale limitatamente ai processi di mero accertamento: l’interesse ad agire è una questione che si pone e rileva solo nei processi di mero accertamento; non si pone mai la questione dell’interesse ad agire, e non rileva, nei processi di condanna e nei processi costitutivi.
L’accoglimento di questa opinione fa si che l’interesse ad agire sia una condizione di trattabilità ed decidibilità della causa nel merito di carattere non generale (poiché opera solo nei processi di mero accertamento).
La critica consiste in ciò:
– Considerando il processo di condanna, l’interesse sorgerebbe, secondo l’opinione tradizionale, dall’inadempimento. Secondo tale opinione, se il giudice rileva che non vi è l’inadempimento dovrebbe emanare una sentenza di rigetto in rito (in quanto manca l’interesse ad agire).
Secondo l’opinione critica questo ragionamento porta ad un conseguenza che non è quella che accade nella realtà: se il giudice accerta che manca l’inadempimento, non rigetta la domanda in rito, ma rigetta la domanda nel merito (se manca l’inadempimento il diritto non esiste);
– Considerando il processo costitutivo l’interesse nascerebbe dalla mancanza dell’effetto giuridico che si chiede al giudice di costituire: es. domanda di risoluzione del contratto per inadempimento. Se il giudice rileva che l’effetto si è già verificato, dovrebbe rigettare la domanda per mancanza dì interesse ad agire emanando una sentenza di rigetto in rito. Non è vero perché se il giudice verifica che il diritto si è già prodotto, non rigetta la romanda in rito bensì la rigetta in merito (es. era prevista una clausola risolutiva espressa ed era già stata esercitata in precedenza. Il giudice, se gli viene chiesto di risolvere il contratto, rigetta la domanda perché non esiste il diritto alla risoluzione di ciò che è già stato risolto).
Una terza opinione, di matrice giurisprudenziale, dà una definizione diversa d’interesse ad agire: ritiene che il processo sia il rimedio ultimo cui le parti devono ricorrere, l’interesse ad agire nasce quando non vi siano altri rimedi disponibili. Il processo viene configurato come extrema ratio. Porta a delle conseguenze spesso opposte a quelle sostenute dall’opinione critica:
– Nel processo di mero accertamento non rileva mai la questione dell’interesse ad agire. Questo perché le parti non hanno alcun rimedio per ottenere l’effetto di accertamento incontrovertibile, solo tramite il processo possono ottenere questo effetto (l’incontrovertibilità dell’accertamento non può essere ottenuto dalle parti in altro modo, ad es. per via negoziale).
È un risultato esattamente opposto a quello sostenuto sia dall’opinione tradizionale, sia dall’opinione critica;
– Nel processo di condanna rileva sempre la questione dell’interesse ad agire, poiché le parti hanno poteri negoziali e quindi devono esercitarli prima di ricorrere al processo, quantomeno devono cercare la collaborazione dell’altra parte per poter ottenere quel risultato che altrimenti devono ottenere tramite il processo di condanna (es. se Tizio ha dato una somma a mutuo a Caio e ne chiede la restituzione, non può agire immediatamente per via giudiziale, corre il rischio di vedersi la domanda rigettata per mancanza di interesse ad agire. Prima deve intimare stragiudizialmente al mutuatario di restituire la somma);
– Nel processo costitutivo bisogna distinguere:
- Azioni costitutive necessarie: le parti non hanno alcuna possibilità di produrre l’effetto giuridico che si chiede al giudice di costituire, non rileva la questione dell’interesse ad agire (es. l’azione di separazione tra coniugi);
- Azioni costitutive non necessarie: sono quelle che mirano ad ottenere la produzione di un effetto che le parti potrebbero già produrre esercitando i poteri negoziali, rileva la questione dell’interesse ad agire (es. azione forzata dell’obbligo di contrarre ex. 2932 cc., qui la giurisprudenza richiede che prima vi sia un atto di intimazione).
- Seguendo l’indirizzo dell’extrema ratio si arriva a dei risultati opposti rispetto a quelli dell’opinione critica:
– Processo di mero accertamento:
- Opinione critica: l’interesse opera sempre;
- Opinione giurisprudenziale: l’interesse non opera mai.
– Processo di condanna:
- Opinione tradizionale: l’interesse non opera mai;
- Opinione giurisprudenziale: l’interesse non opera sempre.
– Processo costitutivo:
- Opinione critica: l’interesse non opera mai;
- Opinione giurisprudenziale: l’interesse non opera solo nei processi costitutivi necessari.È nettamente preferibile l’opinione critica. L’opinione giurisprudenziale si fonda sulla valorizzazione del principio di economia processuale (la configurazione del processo come extrema ratio). Sul piano logico costruttivo tale principio non è un principio cardine sulla base del quale devono essere interpretati gli istituti (vi sono principi molto più importanti, come ad es. il principio del contradditorio).È un uso aberrante del concetto di interesse ad agire. Gli atti processuali costituiscono esercizio di poteri processuali che sono attribuiti dalla legge alle parti (la legge attribuisce alla parte i poteri, non dà al giudice il potere di sindacare il modo in cui vengono esercitati). Negare una richiesta effettuata dalla parte, perché questa non avrebbe interesse a compierla, è una cosa inammissibile.
- Altra opinione dice che l’interesse ad agire opera anche a livello di impugnazione. Ha configurato il cosiddett interesse ad impugnare. Questa opinione è stata formulata in Italia ispirandosi ad un opinione tedesca. Tradizionalmente in Italia il potere di impugnazione spetta alla parte soccombente (è soccombente colui la cui domanda è stata rigettata o colui nei cui confronti la domanda è stata accolta). In Italia è legittimata ad impugnare la parte soccombente, pertanto il rapporto per stabilire se una parte è legittimata ad impugnare è fra domanda di parte e sentenza pronunciata dal giudice al termine del processo di primo grado.
- L’interesse ad agire è una condizione di trattabilità ed decidibilità della causa nel merito, quindi va verificato all’inizio. Un orientamento giurisprudenziale ha cercato di estendere il concetto di interesse ad agire ad ogni atto del processo. Secondo questo orientamento il giudice avrebbe il potere di sindacare gli atti processuali di parte, e di negarne l’ammissibilità perché la parte non avrebbe interesse a compierli.
L’opinione che ammette l’interesse ad impugnare dice che ha l’interesse ad impugnare colui il quale può ottenere dal giudice d’appello un risultato migliore di quello fornitogli dalla sentenza di primo grado. Quindi per stabilire se esiste l’interesse ad impugnare bisogna fare un rapporto fra sentenza di primo grado pronunciata e sentenza che si chiede al giudice d’appello di pronunciare (non c’è più un rapporto fra domanda di primo grado e sentenza di primo grado, c’è un rapporto fra sentenza di primo grado e sentenza d’appello che si chiede al giudice di pronunciare). Questa opinione porta al risultato che possa impugnare anche colui che ha visto la propria domanda completamente accolta in primo grado, quando ad es. interviene una legge sostanziale retroattiva che prevede una disciplina più favorevole.
Non si può ammettere la figura dell’interesse ad impugnare in questi termini.
Vi sono giuristi che ammettono l’interesse a impugnare ma ne danno una definizione identica a quella della legittimazione ad impugnare (ha interesse ad impugnare la parte soccombente).