Art. 81 c.p.c. disciplina la sostituzione processuale: “salvo nei casi previsti dalla legge, nessuno può agire in nome proprio per un diritto altrui”).
Da questa norma si ricava implicitamente la legittimazione ordinaria ad agire (la regola generale): un soggetto deve agire in nome proprio per un diritto proprio. Il soggetto agisce in nome proprio e deve affermare di essere titolare della situazione sostanziale controversa (può capitare che un soggetto affermi che la situazione sostanziale non gli appartenga).
Questa definizione di legittimazione ordinaria ad agire si armonizza con il concetto di azione come “diritto ad ottenere un provvedimento di merito sulla domanda” (favorevole o sfavorevole).
Si armonizza perché in passato la legittimazione ad agire era stata definita come “la titolarità del diritto controverso” (era legittimato ad agire solo chi era titolare del diritto controverso). Questo concetto di legittimazione ad agire si armonizza con il concetto di azione quale “diritto ad una sentenza di merito favorevole” (è chiaro che se l’azione è il “diritto ad ottenere una sentenza di merito favorevole”, ha l’azione solo chi è titolare del diritto sostanziale. Pertanto la legittimazione ad agire coincide con la titolarità del diritto sostanziale). L’azione così definita prendeva il nome di azione in senso concreto. Tale concetto (formulato agli inizi ‘900) è stato criticato perché se l’azione viene esercitata soltanto da chi è titolare del diritto sostanziale, che cosa viene proposto in giudizio quando l’attore si vede rigettata la propria domanda? (non esercita un azione in questo caso? Non è legittimato?).
L’azione in senso concreto era incapace di spiegare il fenomeno processuale nell’ipotesi di rigetto della domanda. L’azione allora deve essere definita in modo diverso, come “diritto ad ottenere una sentenza di merito”, solo così siamo in grado di spiegare il fenomeno processuale anche davanti una sentenza di rigetto.
Mutato il concetto di azione, e accolto un concetto di azione in senso relativamente concreto, è cambiato anche il concetto di legittimazione ad agire, come condizione dell’azione (ora è legittimato solo chi afferma di essere titolare del diritto perché alla fine può ottenere una sentenza di merito favorevole o sfavorevole).
Sulla scia di questa rivoluzione c’è chi ha detto che è azione (in senso astratto) anche quella che viene esercitata in mancanza delle condizioni di trattabilità ed decidibilità della causa nel merito (l’azione viene così definita come “il diritto ad un provvedimento di qualsiasi contenuto, di merito o di rito”). Con questa definizione di azione, la legittimazione ad agire spettava a chiunque (concetto di azione in senso astratto). È un concetto rifiutato perché totalmente inutile.
L’unico concetto utile è quello di azione in senso relativamente concreto.