Nell’ambito dell’attività investigativa l’ art. 349 cpp prevede il potere di procedere all’identificazione dell’indagato e di eventuali testimoni.
Per pervenire all’effettiva identificazione di tali persone è stato altrèsì riconosciuta alla polizia giudiziaria la facoltà di disporre l’accompagnamento, anche coattivo, nei propri uffici di chi rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione ritenuti falsi (cd. fermo di identificazione).
La polizia giudiziaria potrà, inoltre, ai fini dell’esatta identificazione personale, anche effettuare rilievi dattiloscopici,fotografici e antropometrici o quegli altri accertamenti, non predeterminati dal legislatore, che le peculiarietà del caso rendessero necessari (es.: accertamenti sul DNA).
Tuttavia mentre il potere di accompagnamento è stato previsto sia nei confronti dell’indagato che del potenziale testimone, la p.g. potrà effettuare i rilievi soltanto sull’indagato (cfr. però art. 4 TULPS che prevede in forma più estesa il potere di rilevazione della polizia).
La persona accompagnata per l’identificazione può essere trattenuta negli uffici di polizia solo per il tempo effettivamente necessario all’identificazione e, comunque, non oltre le 12 ore. Per garantire l’effettivo rispetto del termine è prescritta la comunicazione al P.M. del fermo e del rilascio.
Infermità mentale e partecipazione cosciente
Perché un soggetto possa assumere la qualità di imputato è necessario anche che il soggetto abbia la capacità processuale.
Il diritto di difesa dell’imputato, sotto i due profili della difesa tecnica (costituita dalla partecipazione del difensore scelto dall’interessato) e dell’autodifesa (costituita dalle scelte rimesse alla valutazione dell’interessato), richiede, come è ovvio, per il suo valido esercizio la capacità di intendere e di volere. Su tale principio si fonda l’art. 70 c.p.p. che stabilisce che, nel caso in cui il soggetto non appaia nella condizione mentale di partecipare al procedimento, deve procedersi alla nomina di un perito per verificare la capacità processuale.
Occorre distinguere tra capacità penale, intesa come capacità di intendere e volere al momento della commissione dell’illecito penale (che influisce sulla imputabilità e quindi sulla stessa punibilità dell’autore del reato), e capacità processuale, intesa appunto come capacità di intendere e volere riferita alla partecipazione cosciente al procedimento penale.
Il legislatore faceva riferimento, per indicare il difetto di quest’ultimo tipo di capacità, ad una infermità mentale sopravvenuta al fatto, ma la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma nella parte in cui richiede che l’incapacità sia successiva al fatto. In realtà, non rileva quando sia insorta la patologia, ma ciò che rileva è solo che il soggetto si trovi nell’impossibilità di operare scelte coscienti e, quindi, di partecipare alle attività istruttorie.
Se la perizia accerta l’incapacità processuale dell’imputato, il giudice pronuncia ordinanza con la quale sospende il procedimento (art. 71 c.p.p.).
Effetti della sospensione sono:
– nomina di un curatore speciale per la cura degli interessi processuali dell’incapace;
– assunzione di prove solo se vi sono pericoli nel ritardo ovvero se si tratta di prove utili per pronunciare una sentenza di proscioglimento (tali prove possono essere sollecitate dal curatore speciale);
– sospensione dell’azione civile che sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale.
Nel caso in cui l’indagato/imputato sia affetto da malattia mentale, l’autorità giudiziaria può disporre tre provvedimenti cautelari al fine di tutelare la collettività e il medesimo soggetto:
– il p.m. può richiedere un’ordinanza di custodia cautelare presso una struttura psichiatrica giudiziaria, nel caso in cui sussistano specifiche esigenze cautelari, ovvero il soggetto sia socialmente pericoloso;
– il p.m. può richiedere un’ordinanza di ricovero provvisorio presso una struttura psichiatrica giudiziaria, nel caso in cui sussistano specifiche esigenze cautelari;
– il p.m. o il giudice presso il quale si trovano gli atti del procedimento, deve informare l’autorità competente per il trattamento sanitario obbligatorio (ovvero il sindaco, ex l. n. 180/78).
L’ordinanza di sospensione adottata dal giudice può essere impugnata da tutte le parti, ovvero non solo dal pubblico ministero, bensì anche dall’imputato, dal difensore e dal medesimo curatore speciale.
La sospensione del procedimento per infermità mentale dell’imputato è strettamente collegata alla sua incapacità di partecipare coscientemente agli atti, motivo per il quale il legislatore prevede che ogni sei mesi si proceda a verificare se le condizioni siano migliorate al punto di consentire la prosecuzione del procedimento medesimo.
Può accadere, comunque, che il soggetto resti incapace e che, non potendosi pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, resti imputato sino alla morte.