Il desiderio da parte dei commentatori di trovare la ratio delle leggi sbrigliava l’inventiva dei commentatori allentando le catene sull’attenzione ai verba. Ciò poteva portare al fatto che nei giuristi ratio e verba sganciati l’un dell’altro potessero dar luogo a interpretazioni variabili e arbitrarie. L’interpretazione allora non poteva esser libera ma doveva esser incanalata entro argini stabili e il miglior modo era far pesare l’autorevolezza di giudici e dottori che quindi frenassero la libertà interpretativa. Si creò quindi l’idea dell’ argumentum ab auctoritate (da interpretare come “autorevolezza”). All’origine di ciò si può forse trovare la teoria romana dell’exemplum cioè la precedente soluzione di un caso a cui giudici e giuristi potevano adeguare la propria soluzione di altra fattispecie simile (quello che oggi chiameremmo “precedente”). L’exemplum però si era negato che fosse vincolante e si poteva negare anche quando la sua provenienza da un’alta autorità potesse ispirare timore reverenziale. Giovanni da Bastiano sosteneva che l’exemplum non era vincolante quando era unico, ma se ce ne erano più di uno con lo stesso risultato allora doveva diventare vincolante. Tuttavia nasceva in fondo il dovere morale di attenervisi non perché le sentenze dei predecessori fossero costrittive di quelle dei successori, ma perché ogni ratio buona ed equa ha una forza vincolante in se di valore universale. Tuttavia il giudice dava sempre e solo sentenze necessarie ma non generali: l’unico autorizzato a darle generali era il principe. Il professore invece dava pareri generali perché enunciava rationes di per sé astratte ma non necessarie dato che non era investito di alcuna autorità (allargamento quindi dell’exemplum dal capo giudiziale a quello dottrinale). Il seguire costantemente questo principio dell’argumentum crea a lungo andare una sua oggettivazione assumendo le sembianze di una opinio communis che rimaneva comunque “probabile” cioè idonea alla dimostrazione ma non vincolante. Tutto ciò interessava comunque i pratici del diritto e allontanava il diritto dai legami con la grande cultura, specie con l’umanesimo. Umanesimo. Esso con l’entusiasmo che aveva generato per la filologia sembrava portare a un grande ritorno alla grammatica delle arti liberali. Gli umanisti criticavano pesantemente i commentatori, rei secondo i primi di usare una dialettica che tradiva quella originale aristotelica. Gli umanisti soffrivano poi d’impotenza derivata dal fatto che per entrare negli atenei potevano solo impiantarsi nelle corti dei principi e riuscire come in base a meccanismi cortigiani. L’umanesimo deve aspettare un secolo per entrare seriamente nella giurisprudenza e la cosa avvenne quando i giuristi appresero dagli umanisti che il testo del Digesto vulgato era irto di errori e che era bene correggerli ricorrendo al manoscritto più antico cioè la famosa “lettera pisana” poi diventata fiorentina.
Nascita dell’”umanesimo giuridico”. Esso avvenne quando i giuristi dediti alla pratica forense divennero umanisti. I semi di questa situazione germogliarono in tutta Europa e si usa cogliere le prime manifestazioni del fenomeno in una triade che comprende un francese (Budeo), un tedesco (Zasio), un italiano (Alciato). Dal cinquecento è uso collocare questi 3 nomi alle origini della nuova giurisprudenza a cui poi verrà apposta l’etichetta di “scuola culta”.
Alciato. la sua prima formazione nella grammatica alla scuola di umanisti di vaglia gli fornì giovanissimo conoscenze sui classici e conoscenze filologiche. Si laureò in diritto civile e canonico a Ferrara e successivamente venne chiamato su una cattedra avignonese dove propose ancora uno studio sul modello dei commentatori, mentre il successivo magistero nello Studio di Bourges mostrò un connubio tra filologia e tecnica giuridica che gli procurò una singolare affluenza di uditori dotti ed ebbe vasta eco negli ambienti umanistici. Tra gli uditori di spicco che ebbe a Bourges ci furono Giovanni Calvino e Francesco Connan e quest’ultimo fu prof e giurista nella stessa cittadina elaborando una dottrina analizzando la parola greca sinallagma e arrivando a negare che l’efficacia vincolante dei contratti consensuali iuris gentium derivi dal consenso, in quanto secondo lui il consenso non è fonte di forza obbligatoria. Secondo lui la radice della parola sinallagma che vuol dire “scambio” porta a pensare solo alla struttura bilaterale del contratto a cui una prestazione ne sia agganciata un’altra e ciò quindi porta al fatto che non importa che le singole figura di negozi sinallagmatici ricevano un nomen quindi la vecchia teoria che il nome renda obbligatorio il “patto nudo” anche perché i patti senza nome (esempio: do ut des, do ut facias ecc) hanno la stessa struttura dei contratti consensuali nominato quindi efficacia pienamente obbligatoria. Ciò deriva dalla concezione aristotelica del diritto per cui la funzione del diritto è quella di “correggere” i rapporti sproporzionati e di bilanciarli coattivamente e ciò si fa appunto rendendo le prestazioni contrapposte entrambi obbligatorie. Connan non ha poi avuto seguito ma comunque il suo è un bell’esempio del procedere dei culti.
Sviluppi della situazione. La ventata umanistica non fu limitata a Bourges e il “cultismo” apparve ben radicato nella cultura giuridica di Francia che il relativo insegnamento fu detto mos gallicus iura docendi. Per contro la didattica ancorata al vecchio metodo didattico-scolastico dei commentatori che, malgrado occasionali sussulti umanistici, continuò ad esser generalmente seguita in Italia e fu chiamata mos italicus iura docendi. Il primo diritto criticava quello italiano per la scarsa conoscenza della storia, della lingua greca e latina. L’Italia poi, che aveva dato l’avvio all’ondata umanistica, vide nel cinquecento solo radi bagliori post-alciato mentre in Francia era dilagata la lezione alciatea comprendendo anche la storiografia. Il discorso poi probabilmente da fare è che nel nostro paese di “diritto scritto” i tribunali potevano ancora preferire l’utilizzo del mos italicus, mentre nel paese di “dir consuetudinario”nessuna prassi forense romanistica poteva ostacolare il diffondersi del mos gallicus ma per cortese ciò non è propriamente esatto in quanti anche i giuristi culti francesi non erano insensibili alle esigenze dell’uso pratico del diritto romano. Il cultismo francese con la sua critica filologica e la storicizzazione delle leges scalzarono quanto restava dell’antica venerazione per Giustiniano. Nessuno pretese più che le sue leggi fossero ispirate da Dio, come dicevano glossatori e commentatori. Esse erano prodotti umani confezionati da uomini fallibili quindi qualcuno attaccò la compilazione denunciando manchevolezze, alcuni se la presero con Giustiniano, altri con l’esecutore materiale Triboniano. Hotman fu un famoso antitriboniano il cui maestro era stato Calvino, critico del potere monarchico oppressore specie sul piano religioso da doversi catalogare tra i più accessi monarcomarchi e fu sostenitore anche della tesi che i poteri pubblici e lo stato non venivano da Dio bensì da un originario “patto sociale” stretto idealmente tra le genti quando decidevano di vivere insieme associandosi in un consorzio umano.