Con il diritto di libertà di associazione riconosciuto dal can. 215, il codice detta un’ampia disciplina al fenomeno associativo nella Chiesa. In particolare nei canoni 298 – 299 è sancito il diritto dei fedeli di formare associazioni con fini di pietà, culto, apostolato, carità, che possono essere erette dalla competente autorità ecclesiastica. Il codice distingue due tipi di associazioni:
- associazioni private: sono costituite per iniziativa dei fedeli (can. 299)
- associazioni pubbliche: costituite direttamente dall’autorità ecclesiastica o aventi lo scopo di insegnare la dottrina cristiana in nome della Chiesa, di incrementare il culto pubblico (can. 301).
Questa distinzione si ricollega alla più generale distinzione operata dal codice canonico tra persone giuridiche private e pubbliche (can. 116), le persone giuridiche private nascono per libera iniziativa dei fedeli e agiscono in nome propria per il perseguimento delle finalità proprie della Chiesa, le persone giuridiche pubbliche sono costituite dall’autorità competente e agiscono in nome di questa, esercitando funzioni autoritative. Questa distinzione si riflette sul regime giuridico delle associazioni, in particolare i beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche entrano a comporre il patrimonio ecclesiastico (bona ecclesiastica).
Tra le disposizioni di carattere generale troviamo la necessità di avere il consenso da parte della competente autorità per poter dire che l’associazione è cattolica (can. 300); la necessità di avere propri statuti, propria denominazione e prevedere le modalità di iscrizione e dimissione dei soci (can. 305). Le associazioni senza personalità giuridica possono possedere beni con l’effetto di far sorgere diritti in capo ai consociati intesi come comproprietari (can. 310). Alle associazioni di fedeli laici si applicano anche alcune norme speciali, in particolare è incoraggiata la loro costituzione per il perseguimento di fini spirituali. In altre parole il diritto positivo viene a favorire la formazione di quelle associazioni che rispondono alla funzione dei fedeli laici nel mondo e che si ispirano al Concilio Vaticano II, secondo cui esistono azioni che i fedeli compiono individualmente in nome proprio e azioni che compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori. Coloro che presiedono a queste associazioni devono favorire la cooperazione con altre associazioni affinché siano di aiuto alle opere cristiane (can. 328).
Soprattutto i responsabili devono curare la formazione dei consociati, non solo una formazione cristiana e generale in relazione alle finalità dell’associazione ma anche una preparazione professionale specifica sulle attività dell’associazione (il cosiddetto volontariato). Possiamo dire che il canone 215 positivizza un diritto naturale proprio di ogni uomo, ma sarebbe riduttivo poiché se è vero che il diritto di associazione non è mai fine a sé stesso, ma trova riconoscimento e disciplina nella misura in cui l’associazione persegue le finalità, ciò è tanto più vero in relazione all’ordinamento canonico nel quale si realizza una compenetrazione della vita e del destino del singolo con la vita ed il destino del tutto e viceversa.
Il fondamento del diritto di associazione in realtà è duplice: naturale e soprannaturale. Quest’ultimo è individuato nel Concilio Vaticano II che guarda alla Chiesa come popolo di Dio. La missione della Chiesa non è propria ed esclusiva della gerarchia ma di tutto il popolo di Dio, perciò l’associarsi dei membri della comunità ecclesiale è opportuno. In questo diritto di associazione si riflette la duplice missione dei laici: nella Chiesa e nel mondo e nella cooperazione al ministero gerarchico. Nella figura dell’associazione si trova lo strumento tecnico giuridico con cui realizzare strutture più complesse per esplicitare le funzioni propriamente laicali (associazioni private) o le funzioni derivate dal ministero gerarchico (associazioni pubbliche).