Il 115 è il dato che nel nostro sistema sembra convalidare la regola dell’accessorietà. Da esso si evince che inequivocabilmente non sono punibili (se non seguiti dalla commissione di un reato) atti che anche se sono manifestazione esterna di un proposito delittuoso, non sembrano potere rientrare sotto la previsione di alcuna disposizione incriminatrice. Ora questi atti però a tenore del 115 non sono punibili. Ci si chiede allora quale sia la funzione del 115. Per Gallo in base ad esso si stabilisce che sono irrilevanti atti che non sono seguiti da altrui condotta quanto meno idonea e inequivocabilmente diretta a commettere un delitto. Ogni atto di cui il 115 sancisce la non punibilità è un atto atipico rispetto alla disposizione che incrimina un certo comportamento. Quando l’azione è specificamente individuata nell’astratta figura normativa, ciò non dà problemi. Il problema è invece quando il legislatore ponga l’accento sul tipo di evento, cioè quando adoperando espressioni come “cagionare”, “determinare”, tipicizzi una certa condotta in funzione della sua efficacia causale verso un dato risultato. In questi casi potrebbe dirsi che anche chi suscita il proposito criminoso e chi fornisce il mezzo indispensabile per fare reato, avrebbero già realizzato condotta tipica agli effetti della disposizione incriminatrice di parte speciale, in quanto incontestabile che, al pari degli esecutori immediati, avrebbero posto in essere azione idonea a cagionare evento. Ora però in questo modo allargheremmo troppo i confini della punibilità, venendo meno anche la distinzione tra atti preparatori ed esecutivi (anche comprare un arma potrebbe prefigurare tentativo. )
Quindi bisognerà sempre ricercare nel complesso degli atti compiuti da un soggetto e causalmente legati ad un evento, quello esprimente nelle forme/modi richiesti dall’ ordinamento la signoria dell’agente sul fatto realizzando quindi la prima della condizioni che del fatto permettono l’imputazione a fini giuridici (nella forma dolosa quest’atto è l’ultimo). Tuttavia il criterio dell’ultimo atto assume valore e portata diversi a seconda che siamo davanti alla realizzazione di un fatto ad opera di una o più persone (in questo 2° caso, atti identici a quelli che nel 1° caso sono fuori dal raggio della punibilità, dovrebbero ritenersi tipici, perchè se consideriamo isolatamente il comportamento dei vari concorrenti, ciascuno di tali atti potrebbe esser l’ultimo posto in essere da un certo partecipe. Il 115 quindi verrebbe in deroga a ogni regola generale e per certi motivi di politica legislativa, porterebbe all’irrilevanza di condotte tipiche). Dopo questa considerazione, viene però da chiedersi cosa voglia dire qualificare per tipico un certo comportamento. Tipicità di un certo atto vuol dire formalmente dichiararlo conforme al modello normativo, sostanzialmente rilevarne il carattere pregiudizievole per un interesse giuridico. Ora l’ ordinamento contrassegna la tipicità in atti che ordinariamente prevedono la condotta di un solo soggetto, quindi in ipotesi di commissione di un reato ad opera di più persone, la tipicità degli atti esisterà solo se gli atti o l’atto in questione sarebbero apparsi tipici in un processo di esecuzione monosoggettiva (da ciò deduciamo che ad esempio un atto di organizzazione compiuto da un individuo per commettere un delitto, non è tipico. Quindi se commesso da più individui, non sarà comunque tipico).
Ci si era precedentemente chiesti se l’ ordinamento contempli certe figure criminose, relativamente a cui l’interprete sia obbligato ad arrivare allo stesso risultato a cui, generalmente, si perverrebbe anche accettando la concezione cosiddetta “estensiva della fattispecie”: cioè qualificare autore del reato chiunque in ogni modo dia un contributo causale al verificarsi di esso. In base ai ragionamenti di sopra si può dire che fattispecie del genere nel nostro ordinamento non ce ne sono, ed è quindi ribadito che il 115 sancisce la non punibilità solo di atti atipici rispetto alla disposizione incriminatrice di parte speciale.
Reale portata del 115. Esso quindi non stabilisce che una condotta atipica sia punibile solo se aderisca ad un fatto tipico altrui bensì che una tale condotta in tanto è conforme ad una fattispecie di concorso incriminatrice ex novo, in quanto contribuisca ad un’offesa tipica, e sia pure questa la tipicità d’un delitto tentato. E’ chiaro che quando la condotta atipica non pone in essere alcuno dei requisiti necessari a realizzare un’offesa, la sua rilevanza potrà dipendere solo dal collegamento con un fatto tipico altrui: ma questa non è la regola, altrimenti si uscirebbe in una concezione viziata dalla confusione tra mezzo e fine. Infatti i requisiti dal cui insieme si fa un’offesa possono non riscontrarsi tutti nel comportamento di uno stesso soggetto, ma possono esser suddivisi tra le condotte di più soggetti, nessuna delle quali sia fornita di tipicità e antigiuridicità. Il pensiero in questo caso corre ai casi di esecuzione frazionata (x cui ognuno dei concorrenti realizza una frazione del comportamento delineato dalla fattispecie di parte speciale: ad esempio 2 persone: una minaccia un terzo, l’altra si impossessa della cosa mobile che il terzo ha. Questo fenomeno si spiega con l’idea della cosiddetta “tipicità parziale”: i vari elementi che il legislatore tipicizza, come propri della condotta di un unico agente, si riscontrano nelle condotte di più individui (ogni condotta si può dire sarà parzialmente tipica, ricordandosi però che per la rilevanza penale la tipicità è globale, altrimenti non si rispetta il principio di tassatività. L’esecuzione frazionata sarebbe opera di più coautori). Questo ultimo discorso cercherebbe in extremis si salvare il principio dell’accessorietà: ma per Gallo il fatto che più coautori e non più persone assieme ciascuna per suo conto comporta l’introduzione tra l’autore e il partecipe di una terza figura che il nostro ordinamento non giustifica: in pratica i concorrenti che danno vita ciascuno ad una parte sola della fattispecie, non violano la disposizione incriminatrice di parte speciale. Quindi o si danno tutti impuniti (assurdo), o bisognerà ritenerli responsabili a titolo di concorso. Quindi ex 115 per un concorso di persone nel reato serve un’offesa tipica.
Però un’offesa tipica può esser realizzata da condotte non tipiche e obiettivamente antigiuridiche (esecuzione frazionata). Questa idea, insieme a quella che il legame obiettivo intercorrente tra le condotte dei singoli partecipi sia sempre quello di un rapporto causale, fanno cadere la teoria dell’accessorietà. Soffermandoci sul collegamento obiettivo tra le azioni poste in essere dai vari partecipi nei termini della necessità di un rapporto causale, vuol dire aver scartato alcune formulazioni ricorrenti in proposito. Si parla infatti spesso di vincolo causale come vincolo intercorrente tra condotta del partecipe ed evento o tra condotta del principe e reato. Se l’evento è quello naturalistico, bisognerebbe riconoscere che nel nostro ordinamento non esiste un concorso senza evento (inaccettabile). La dottrina invece che ritiene che l’evento sia quello giuridico (cioè l’offesa d’un interesse protetto), parte dal presupposto che l’evento giuridico sia una conseguenza dell’azione umana, per cui esisterebbe un nesso di causalità. In questa situazione però l’offesa sarebbe esterna all’azione: e invece per Gallo è l’offesa a esprimere la portata economica dell’intera fattispecie. Così l’evento diventerebbe il contenuto di quel particolare atto giuridico che è il reato.
Per Gallo allora solo in senso improprio si può richiedere un rapporto da causa ad effetto tra la condotta del partecipe e una data offesa tipica. La proposizione che afferma la necessità di questo rapporto può avere due significati: uno per cui essa esprime l’esigenza che il partecipe contribuisca alla realizzazione dell’offesa, un secondo (più ristretto) per cui essa verrebbe a dire che azione/omissione del partecipe deve essere una conditio sine qua non del fatto costitutivo dell’offesa. se esaminiamo questo secondo punto, ci sembrerebbe esservi un’identificazione con un rapporto causale tra condotta e reato. Ma gli stessi sostenitori della teoria dell’accessorietà ritengono che la condotta atipica possa aderire a un fatto altrui in cui per difetto ad esempio dell’elemento soggettivo non sono ravvisabili estremi di un reato. Quindi l’identificazione è inammissibile.
Opinione che postula nesso causale tra condotte concorrenti. Essa nei limiti di una fattispecie di concorso incriminatrice ex novo ricalca gli schemi dell’accessorietà: qui l’affermazione regge. Ma l’accessorietà non c’è, quindi è inutile fare discorsi.
Ci si deve chiedere allora in cosa consista il collegamento obiettivo tra azioni poste in essere da singoli partecipi quando nessuna di esse è tipica e antigiuridica. ad esempio la rapina delle 2 persone (una minaccia, l’altra ruba). Il problema è definire quale delle 2 condotte sia in un rapporto da causa ad effetto, nonché qual è la causa e quale l’effetto. Grandi difficoltà. Ma Gallo si chiede: perché dover per forza accettare l’opinione per cui ogni illecito penale presenta un problema causale? Abbiamo visto il caso della condotta ripartita. Quindi in queste ipotesi non c’è bisogno di ricerca di ordine causale, in quanto bastano a costituire il legame obiettivo tra condotte due nessi (1° = che le condotte poste in essere si inquadrino in un solo episodio, di cui ciascuna di esse sia parte integrante di valutazione normativo-sociale. 2° = ogni condotta deve avere tipicità parziale).