Come è noto l’Assemblea Costituente fu spinta a dar vita ad un regime di potestà legislativa regionale suddivisa in tre tipologie differenti: la potestà esclusiva, la ripartita concorrente, l’integrativo-attuativa.
Il primo tipo sarebbe dovuto essere, secondo la democrazia cristiana, esteso a tutte le Regioni, mentre in realtà poi, stipulato un compromesso con la sinistra, è rimasto esclusivo vantaggio delle Regioni a regime differenziato. Il secondo tipo è stato esteso a tutte le Regioni, tranne la Valle d’Aosta.
A ciascuno di tali tipi sono imposti dei limiti, diversi per ciascuna categoria.
È però da sottolinearsi che col tempo le differenze tra le diverse categorie hanno iniziato a venir meno, specie dopo la riforma del titolo V.
I limiti, che erano suddivisi in limiti di legittimità e limiti di merito, sono anch’essi venuti meno con la riforma suddetta.
I primi, in quanto riferiti alla violazione di norme giuridiche e quindi della Costituzione, giustificavano il ricorso alla Corte Costituzionale, mentre i secondi erano dati dalla violazione dell’ interesse nazionale e dell’interesse di altre Regioni e avrebbero potuto comportare l’impugnazione delle leggi regionali che se ne fossero rese responsabili dinnanzi alle Camere.
Sono proprio questi ultimi limiti (di merito) che sono stati causa di molte discussioni in dottrina.
Il timore principale era che l’autonomia regionale potesse venirne menomata. Il Parlamento infatti non poteva essere considerato giudice imparziale poiché influenzabile dal Governo. Infatti gli organi di indirizzo al fine di stabilire che cosa sia l’interesse nazionale, possono solo far riferimento all’indirizzo politico di cui Parlamento e Governo sono l’espressione.
Si è poi molto discusso sulla forma con cui le camere avrebbero rivestito la pronunzia sul ricorso governativo. Atto bicamerale non legislativo o legge vera e propria?
In realtà tutte le discussioni in merito non hanno avuto riscontro dato che nel tempo non si è mai verificato che il Governo abbia impugnato dinnanzi alle camere una legge regionale e dunque il giudizio di merito si è confuso con quello di legittimità.
I limiti generali di legittimità
I limiti di legittimità possono essere generali o speciali. Per quanto riguarda questi ultimi, essi con la loro varia intensità, danno la misura del diverso grado di autonomia espresso dai singoli tipi di potestà legislativa.
Quanto ai primi, essi si risolvono nel limite costituzionale. Quale specificazione del limite costituzionale, si pone il limiti delle materie, limite in parte storico in parte attuale.
Infatti inizialmente le competenze regionali erano dalla Costituzione delineate in positivo, ossia vi era l’elenco delle materia di competenza regionale. Invece le competenze statali sono state delineate in negativo, ossia le materie che non erano contenute in quell’elenco rientravano tra le competenze statali.
Con la riforma del titolo V le cose sono cambiate ma solo in parte. Le materie di competenza esclusiva della Regione sono delineate in negativo, mentre quelle di potestà ripartita sono delineate in positivo. Ecco perché il limite delle materie è in parte attuale ed in parte superato.
Altri limiti che possono essere ricondotti a quello costituzionale sono il principio del decentramento, dal quale discende l’obbligo per le leggi regionali di rispettare l’autonomia degli enti infraregionali; il principio di sussidiarietà, che si estende alle funzioni regionali in genere, ma specie sul piano della normazione, specificamente previsto con riguardo all’adempimento degli impegni comunitari; il principio della tipicità delle forme, che obbliga al rispetto dei procedimenti prescritti per la formazione degli atti regionali; il principio di uguaglianza è stato costretto a comprimersi di fronte al riconoscimento dell’autonomia. È evidente che, maggiori sono gli spazi offerti a quest’ultima, più frequente è il rischio di compromettere la parità tra i cittadini.
Strettamente collegato al suddetto principio è il limite dei rapporti privati. La giurisprudenza si è dimostrata al riguardo alquanto oscillante. La Corte Costituzionale, con una sentenza del 2001, pur ricollegando i limiti suddetti al principio di uguaglianza, ha affermato che esso non opera in modo assoluto in quanto anche la disciplina dei rapporti privatistici può subire qualche adattamento.
Molte polemiche poi sono state fatte con riguardo all’introduzione delle leggi quadro regionali, prive cioè di quei requisiti di generalità ed astrattezza proprie delle norme giuridiche. Non si ha dunque nessuna riserva amministrativa in relazione all’adozione di provvedimenti a carattere particolare e concreto. Si è assistito ultimamente ad un aumento dell’adozione di tali leggi; unica “speranza” circa la loro diminuzione è riposta nel progressivo processo di delegificazione, che potrebbe affidare molte materie di competenza legislativa, alla potestà regolamentare.
Una inversione di interpretazione potrebbe aversi con riguardo alla riserva di legge. Infatti inizialmente, quando una materia veniva riservata alla competenza della legge senza altra specificazione, tale disposizione veniva interpretata nel senso che la riserva fosse da attribuirsi alla legge statale, con conseguente consistente menomazione dell’autonomia regionale. Gradatamente si sono attribuite alla competenza delle Regioni le materie che ad esse spettavano, anche se in Costituzione si poteva trovare una riserva di legge, ad esclusion fatta di quegli interessi che necessariamente dovevano esser tutelati dallo Stato.
È da escludersi che si dia competenza alle Regioni con riguardo alla materia penale e processuale. Per quanto riguarda la materia processuale, unica eccezione potrebbe essere costituita dall’art 116 cost, che prevede che le Regioni possano acquisire la competenza a regolare la giustizia di pace.
Altro limite è costituito dal principio dell’irretroattività delle leggi regionali, con riguardo alla delicata questione della successione di leggi regionali a leggi statali previgenti.
In un primo momento l’orientamento giurisprudenziale era rivolto verso una posizione più rigida. In un secondo momento la Corte Costituzionale si è dimostrata più favorevole alla retroattività, con il limite del rispetto del principio di ragionevolezza.
Ultimo limite è quello legato alla dimensione territoriale. Più volte però si sono avute delle deroghe, giustificate dalla sussistenza di interessi regionali. Inoltre è facile che una legge regionale, abbia effetti perlomeno indiretti.
Inoltre ulteriore specificazione di tale limite si ha nell’art 120 Costituzione, che fa divieto alle Regioni di istituire dazi di importazione o esportazione e di adottare provvedimenti idonei ad ostacolare la libertà di circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni.