Cass. 76/1982 afferma che “incorre in responsabilità da fatto illecito, per avere cooperato all’inadempimento dell’alienante, il secondo acquirente di un immobile che, avendo conoscenza della precedente alienazione, trascriva per primo il proprio atto”.
{La giurisprudenza precedente tutelava il primo acquirente deluso accordandogli un’azione revocatoria della seconda alienazione quando risultasse la partecipazione del secondo acquirente alla dolosa preordinazione.
Tale soluzione, tuttavia, sapeva di espediente ed anzi di circolo vizioso, in quanto si revocava l’atto di disposizione in conseguenza del quale nasceva il credito (alla restituzione del prezzo), in funzione del quale lo stesso atto di disposizione veniva revocato.
A fare perno, invece, sull’obbligo di consegna, sicuramente preesistente al secondo atto di disposizione, l’azione revocatoria risultava sfocata in quanto lo strumento di conservazione della garanzia patrimoniale generica finiva con l’essere reso funzionale alla realizzazione di uno specifico credito.
Ora la Cassazione sembra ritornata alla sua vecchia giurisprudenza, assoggettando ad azione revocatoria il secondo atto di disposizione dal quale nasce il credito a tutela del quale la revocatoria medesima può unicamente dirsi attivata}.
Di fronte a questo modello se ne può da un lato rilevare la distanza rispetto alla regola dettata dal 2644 (Effetti della trascrizione), dall’altro la chiara propensione della responsabilità civile a fungere da grimaldello meglio di altri in grado di scardinare regole pur scritte nella legge.
Luigi Mengoni disse che la Corte reputa il 2043 (Risarcimento per fatto illecito) una clausola generale e la concretizza nell’àmbito normativo del 2644 conferendo rilevanza giuridica (ai fini della valutazione come “ingiusto” del danno sofferto dal primo acquirente) a un dato di fatto, la malafede del secondo acquirente, che alla stregua dei dati linguistici risultanti dal testo dell’articolo sarebbe irrilevante.
In realtà la Corte non si limita a trasformare la malafede, non prevista dal 2644 e perciò irrilevante, in un indice dell’ingiustizia del danno che serva a giustificare la sovrapposizione della regola di responsabilità al 2644, ma la trasforma tout court in “cooperazione all’inadempimento dell’alienante”, dalla quale fa derivare direttamente la illiceità del comportamento ed il risarcimento del danno che ne sia conseguito; danno che, in quanto consiste nella mancata (definitiva) attribuzione della proprietà, si configura come danno meramente patrimoniale.
Che la Cassazione abbia dovuto forzare in misura rilevante la regola del 2644 è messo in evidenza dalla necessità di ricorrere ad una figura problematica come la complicità nell’inadempimento, per concludere con la risarcibilità di un danno meramente patrimoniale.
Possiamo rilevare la contraddittorietà di qualificare extracontrattuale un comportamento previamente connotato con riferimento all’inadempimento.
Ma in questo caso la responsabilità muterebbe solo di segno, permanendo tuttavia.
Ciò non sarebbe privo di significato: anche il risarcimento di un danno che è meramente patrimoniale troverebbe infine giustificazione, nel momento in cui lo si riconducesse correttamente alla responsabilità ex contractu.
La stessa figura della complicità nell’inadempimento utilizzata dalla Corte non sembra però richiamata opportunamente nella specie.
Non si vede infatti quale obbligazione rispettivamente il venditore non adempia ed il secondo acquirente collabori a non adempiere.
Non quella di trasferire, perché in forza del principio consensualistico (1376: Contratto con effetti reali) l’effetto traslativo non nasce dall’adempimento di una obbligazione di dare in senso tecnico, ma dallo stesso contratto.
Non l’obbligazione di consegnare, la quale è meramente strumentale rispetto all’effetto traslativo e non può risolversi in senso difforme da quest’ultimo.
È possibile pensare tuttavia ad un inadempimento che attenga al rapporto contrattuale, pur se non riguardi propriamente una obbligazione ex contractu.
Corre qui invero l’occasione di utilizzare la categoria della lex contractus, del precetto che le parti si sono dato e che prefigura gli effetti che esse intendono perseguire onde il mancato attingimento di essi per opera di uno dei contraenti integra la violazione di tale precetto in termini analoghi a quanto accade quando viene violato sotto forma di inadempimento di una obbligazione.
Con questa precisazione il parlare di inadempimento da parte dell’alienante riguadagna significato.
Non è detto invece che dall’inadempimento imputabile al debitore si debba automaticamente inferire la rilevanza della cooperazione del terzo ai fini di una estensione ad esso della responsabilità: l’ordinamento potrebbe scindere le sorti dei terzi e quelle del debitore col quale i primi concorrono alla inattuazione del rapporto, in forza di una valutazione di opportunità che tenga conto di altri interessi.
È quanto è accaduto col 2644, nel quale la mancata previsione della buona fede del secondo acquirente quale elemento costitutivo dell’acquisto – sicché il terzo può ben essere in malafede ma acquista ugualmente solo che trascriva per primo – denota l’irrilevanza del comportamento del terzo a riguardo della inattuazione dell’effetto reale che colpisce il primo acquirente.
Essa denota altresì la contraddizione in cui cadrebbe l’ordinamento qualora, accordato ex 2644 l’effetto acquisitivo, considerasse rilevante la malafede come elemento costitutivo di una fattispecie di responsabilità della quale lo stesso effetto acquisitivo costituisse l’elemento oggettivo.
Infatti, poiché il danno per il primo acquirente consisterebbe nel mancato conseguimento del bene acquistato, il risarcimento a carico del terzo avrebbe l’effetto di svuotare l’acquisto poiché o soltanto in termini di valore (risarcimento per equivalente) o in natura (risarcimento in forma specifica) il bene appena acquistato, proprio in quanto acquistato, dovrebbe essere restituito.
Non per il solo fatto che la norma preveda l’effetto acquisitivo si deve escludere la possibilità di un’obbligazione a carico dell’acquirente che abbia fonte nell’acquisto medesimo: è un profilo esterno alla norma, e propriamente una ragione sistematica, quella per cui effetto acquisitivo ed obbligazione risarcitoria si palesano antinomici, onde il primo, sicuramente dettato dal 2644, esclude il secondo.
{Non si tratta di un’impossibilità giuridica, come invece ha affermato Pietro Trimarchi con riguardo alla norma, sotto questo profilo analoga, del 1380 (Conflitto tra più diritti personali di godimento): la previsione dell’effetto acquisitivo non è di per sé preclusiva del risarcimento (non, però, in forma specifica) che l’affermazione di illiceità del secondo acquisto con trascrizione poziore implicherebbe.
Perché la questione risarcitoria si pone proprio in esito all’effetto acquisitivo: dato quest’ultimo, si tratta cioè di vedere se il comportamento del secondo acquirente sia da reputare illecito e perciò da assoggettare al risarcimento.
La risposta data qui si pone dunque sul piano di una rilevata incoerenza di politica del diritto}.