L’idea che si dovesse andare oltre l’offesa alla salute perché altri interessi del soggetto sono altrettanto costituzionalmente protetti, ma sfruttando il modello già collaudato col danno alla salute, è venuta affiorando quando ci si è resi conto che il superamento dei confini del 2059 (Danni non patrimoniali) tendeva ad essere incapsulato nella lesione della salute per trarne i benefici relativi ma in pari tempo che in tal modo si rischiava di dare alle cose un nome fuorviante.
Se nomina sunt consequentia rerum (i nomi sono corrispondenti alle cose), affermare che un’associazione ente non riconosciuto può esser risarcita sub specie di danno biologico suona stonato, così come il risarcimento a titolo di danno esistenziale che ultimamente è stato accordato al corpo di un’amministrazione dello Stato del quale risultava lesa l’immagine (Corte dei conti 10/2003).
Oltre ad essere fuori luogo in assoluto, nel caso di specie il danno esistenziale lo era relativamente all’oggetto della controversia, dalla quale emerge che ad essere offeso era stato il diritto all’immagine, cioè alla personalità morale – come si esprime in altro contesto il 2087 (Tutela delle condizioni di lavoro) – della pubblica amministrazione.
La Corte dei conti ritiene di dover fare capo al danno esistenziale perché l’immagine non sarebbe tutelata in modo da superare lo scoglio dei casi determinati dalla legge di cui al 2059, ma nell’accogliere la categoria nuova si vede costretta a rifare il percorso seguito dal danno biologico quando la fuga dal 2059 aveva portato all’applicazione del 2043, dal quale sciaguratamente si desunse la natura patrimoniale dello stesso danno biologico.
Questo percorso però avrebbe avuto una qualche giustificazione se, come era accaduto per il danno alla salute, si fosse potuta accreditare l’idea della diversità di questo, rispetto al danno morale.
Quando invece si evoca, come nella decisione ora riferita, la figura del danno esistenziale in termini di forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative, fonte di compiacimento o benessere per il danneggiato, a prescindere dall’implausibilità del riferimento che se ne fa ad un’entità che non sia la persona fisica, non si dice cosa diversa dal danno morale.
Sta qui il punto critico del danno esistenziale: nel non potersi scrollare di dosso l’identificazione col danno morale, come invece era riuscito al danno biologico.
Danno morale che nel frattempo è diventato significante più ampio di pecunia doloris.
Non è necessario, perché si parli di danno morale, che si scenda nella cupa e tetra afflizione: basta che si possa parlare di malessere, disagio.
Ma la questione non è quella di descrivere la realtà, bensì di dare ad essa la sua forma.
E questa è costituita dalla disciplina del danno non patrimoniale contenuta nel 2059 (Danni non patrimoniali) ed ormai per gran parte scagionata dal limite dei casi determinati dalla legge.
Tutto è (ri)cominciato quando la Corte costituzionale, dopo aver riannodato il danno biologico al 2059, fu investita di una nuova questione di legittimità costituzionale riguardante tale norma nella parte in cui esclude la risarcibilità del danno morale al di fuori di accertate ipotesi di reato.
Il giudice rimettente intendeva far passare l’idea che se il danno alla salute come danno ricondotto al 2059 era risarcibile senza più i limiti pur previsti dal 2059, allora pure ogni altro danno riconducibile a tale norma, in particolare il danno morale, doveva poter beneficiare dello stesso regime.
L’ordinanza della Corte cost. 293/1996 concluse invece per la manifesta infondatezza della questione.
La Corte chiarì che l’inclusione del danno alla salute nella categoria considerata dal 2059 non significa identificazione col danno morale soggettivo, ma soltanto riconducibilità delle due figure, quali specie diverse, al genere del danno non patrimoniale.
Corte cost. 372/1994 aveva applicato al danno biologico la disciplina del danno morale, solo scagionandolo dai limiti del 2059.
{Questo perché la salute è assistita dalla tutela costituzionale apprestata dal 32, mentre allora lo stesso non sembrò alla Corte che potesse dirsi con riguardo al resto del danno non patrimoniale, alias danno morale}.
Risultata impraticabile la via dell’equiparazione quoad effectum (per quanto riguarda il risultato) del danno morale al danno biologico, riprese la ricerca di una nuova via per il superamento.
Il c.d. danno esistenziale risponde all’idea che si dia un danno non patrimoniale che, diversamente dal danno biologico, non si identifichi con la lesione della salute e, diversamente dal danno morale, sia in grado di guadagnare una tutela liberata finalmente delle insufficienze risarcitorie di cui è causa il 2059.
Ma tale idea non riesce a formularsi in termini dogmaticamente accettabili.
La stessa Cassazione (7713/2000), che ad un certo punto aveva accolto la teoria, sembra essere stata più attratta dal risultato risarcitorio che dal sentiero argomentativo ordito per giustificarlo.
La Cassazione mette a frutto la categoria delle situazioni che sono costituzionalmente protette così come la salute, ma richiamandosi al 2043 (Risarcimento per fatto illecito), nei termini cioè di Corte cost. 184/1986, laddove dopo la sentenza 372/1994 della stessa Consulta il discorso si è spostato sul 2059.
Al di là di questo, l’argomentare dalle situazioni di rilevanza costituzionale sollecita l’obiezione che allora la categoria danno esistenziale, nel momento in cui, in funzione della necessaria radicazione normativa, rifluisce nella lesione di queste ultime, diventa un medio inutile.
Quanto all’altra linea argomentativa, quella che vorrebbe superare le limitazioni del 2059 mediante il ricorso al 2056 (Valutazione dei danni), essa si rivela poco affidabile perché mette insieme regole del danno non patrimoniale con altre che son proprie del danno patrimoniale.
In particolare il 1223 (Risarcimento del danno), che a tal fine viene riputato applicabile, risolve tutt’altra questione: quella del contenuto dell’obbligazione risarcitoria, una volta che sia certo che l’obbligazione è sorta, laddove qui la questione è proprio se e come l’obbligazione risarcitoria venga ad esistenza.