La nozione di competenza

Secondo la definizione tradizionale, la competenza di un giudice si identifica con la misura della giurisdizione che a lui appartiene. Questa nozione (che potremmo definire storica) non può essere, tuttavia, accolta, perché essa fa riferimento in modo esplicito alla misura (e, quindi, alla quantità di giurisdizione); viceversa, bisogna prendere atto che la giurisdizione o esiste oppure non esiste: se esiste, però, deve essere piena e totale. Alla luce di ciò, pertanto, possiamo definire la competenza come la sfera di potestà entro la quale il giudice ha totale potere di decidere (al di fuori di questa sfera, invece, il giudice non ha alcun potere di decisione, per cui se egli dovesse emettere un qualsiasi provvedimento, lo stesso dovrà considerarsi nullo).

La competenza per materia

Un particolare tipo di competenza è rappresentato dalla cd. competenza per materia (vale a dire, per i reati oggetto dell’ accertamento del giudice di primo grado). Essa viene determinata attraverso l’ utilizzo di due diversi criteri: il criterio quantitativo (che tiene conto della pena comminata per il reato) ed il criterio qualitativo (che tiene conto della natura del reato commesso).

Ciò premesso, il nostro ordinamento processuale (artt. 5 e ss. c.p.p.) ripartisce la competenza tra i diversi giudici facendo riferimento, in primo luogo, ai giudici comuni. In particolare:

• la competenza della Corte d’ assise viene determinata utilizzando sia il criterio qualitativo, sia quello quantitativo; in tal modo, alla cognizione della Corte d’ assise sono affidati: i delitti puniti con l’ ergastolo o con la reclusione non inferiore a 24 anni ed altri delitti, particolarmente gravi, quali, ad es.: l’ omicidio doloso, quello preterintenzionale e i delitti contro la personalità dello Stato, puniti con la reclusione non inferiore a 10 anni;

• la competenza del giudice di pace è, invece, determinata con il solo criterio qualitativo, perché tiene conto di una serie di reati di minor allarme sociale o di cd. microcriminalità (quali, ad es., i reati di percosse, lesioni personali, omissione di soccorso e minaccia);

• la competenza del tribunale viene determinata utilizzando un criterio negativo (o residuale): alla sua cognizione sono, infatti, devoluti tutti i reati per i quali non siano competenti né la Corte d’ assise né il giudice di pace. In determinati casi, tuttavia, anche qui può trovare applicazione il criterio qualitativo-quantitativo; al riguardo, però, occorre tener presente la duplice struttura, collegiale o monocratica, che caratterizza il tribunale. Così procedendo, al tribunale collegiale vengono attribuiti i delitti, consumati o tentati, puniti con la pena della reclusione superiore a 10 anni (e sino alla soglia dei 24 anni, oltre la quale scatta, ovviamente, la competenza della Corte d’ assise), nonché una serie di altri reati ritenuti di particolare gravità, quali, ad es., il tentato omicidio, la rapina, il sequestro di persona e l’ associazione per delinquere di stampo mafioso; al tribunale monocratico, invece, vengono attribuiti tutti i reati per i quali non risulti già competente il tribunale collegiale, nonché (con previsione esplicita) il delitto di spaccio di sostanze stupefacenti non aggravato;

• alla competenza del tribunale per i minorenni sono, infine, devoluti tutti i reati commessi da quei soggetti che non hanno superato il diciottesimo anno di età, al momento della commissione del reato.

In relazione ai giudici speciali, la competenza per materia viene, invece, così ripartita:

• alla competenza della Corte costituzionale vengono affidati i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi dal Presidente della Repubblica;

• alla competenza del tribunale militare sono, invece, affidati i cd. reati militari commessi, appunto, dai militari in servizio alle armi.

La competenza per territorio

La cd. competenza per territorio si fonda sul rapporto che intercorre tra il luogo in cui è stato commesso il reato (cd. locus commissi delicti) e la sede giudiziaria entro la quale quel luogo è ricompreso (è necessario premettere, al riguardo, che il giudice, per essere territorialmente competente a conoscere di un certo reato, deve esserlo, innanzitutto, sotto il profilo materiale).

Ciò premesso, l’ art. 8, co. 1 c.p.p. stabilisce che la competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato: luogo in cui si è verificato l’ evento (nei cd. reati materiali) ovvero si è realizzata la condotta (nei cd. reati formali). Un diverso criterio si segue, invece, nell’ ipotesi in cui dal fatto sia derivata la morte di una o più persone: in tal caso, infatti, la competenza non viene attribuita al giudice del locus commissi delicti, ma al giudice del luogo nel quale si è realizzata la condotta (così, ad es., se Tizio investe Caio a Napoli e Caio, successivamente, decede nell’ ospedale di Salerno, nel quale era stato trasportato, la competenza è devoluta al giudice di Napoli, perché è in questa città che si è realizzata la condotta).

Un altro criterio si segue, ancora, nel caso in cui si tratti di reato permanente: in tale ipotesi, infatti, la competenza non viene attribuita al giudice del luogo in cui il reato è stato consumato, ma al giudice del luogo nel quale ha avuto inizio la consumazione del reato (se, ad es., Tizio rapisce Caio a Napoli, ma in seguito lo trasferisce a Milano, la competenza sarà sempre devoluta al tribunale di Napoli, perché è in questa città che si è venuta a creare la situazione di turbamento della collettività).

Un ultimo criterio si segue, infine, nel caso in cui il reato si presenti nella forma del tentativo: in tale ipotesi, infatti, la legge attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui è stato compiuto l’ ultimo atto diretto a commettere il delitto (ad es., Tizio vuole uccidere Caio; per far ciò, attende il suo rientro in casa, a Bergamo; lo pedina in auto fino a Milano e qui lo spara, ferendolo, però, soltanto di striscio: in tal caso, sarà il tribunale di Milano a giudicare Tizio per tentato omicidio).

Un’ importante deroga alle norme sulla competenza territoriale è prevista nei procedimenti in cui un magistrato (giudice o pubblico ministero) assume la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato. In base all’ art. 11 c.p.p., infatti, la competenza, in questi casi, viene devoluta al giudice, di pari competenza per materia, il cui ufficio sia, però, situato nel capoluogo di un diverso distretto di Corte di appello (la ratio di tale disposizione risiede, ovviamente, nella preoccupazione che se il giudice competente, secondo gli ordinari princìpi della territorialità, fosse chiamato a giudicare un collega con il quale condivide l’ ufficio, non si troverebbe nelle necessarie condizioni di obiettività e di imparzialità).

La competenza per connessione

La connessione è un criterio di attribuzione della competenza che trova applicazione nel caso in cui tra più situazioni idonee, in astratto, a dar vita ciascuna ad un autonomo processo intercorra una relazione, in virtù della quale la regiudicanda oggetto di uno dei processi verrebbe a coincidere con la regiudicanda oggetto dell’ altro o degli altri processi; questa circostanza rende conveniente il confluire delle diverse regiudicande in un unico processo (cd. simultaneus processus). A questo punto, ovviamente, il problema sta nell’ individuare a quale tra i singoli giudici che sarebbero stati competenti a conoscere i singoli processi, quell’ unico processo dovrà essere affidato.

L’ art. 12 c.p.p. individua, in particolare, tre tipi di connessione:

• una connessione soggettiva, che si verifica quando il reato per il quale si procede è stato commesso da più persone in concorso o (nel caso di delitto colposo) in cooperazione tra di loro, ovvero quando più persone, con condotte indipendenti, hanno determinato la produzione dell’ evento (si pensi, ad es., all’ omicidio realizzato dall’ autista dell’ auto investitrice e dal medico inesperto che non sia intervenuto adeguatamente sul ferito);

• una connessione oggettiva, che si realizza quando una persona risulta imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (cd. concorso formale di reati) ovvero con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (cd. reato continuato);

• una connessione teleologica, che si verifica quando alcuni dei reati per i quali si procede sono stati commessi per eseguirne od occultarne altri (si pensi, ad es., al delitto di occultamento di cadavere a seguito di omicidio).

La connessione produce effetti particolari, innanzitutto, sulla competenza per materia, in quanto dà vita alla cognizione di un unico giudice: l’ art. 15 c.p.p. stabilisce, infatti, che se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della Corte d’ assise ed altri a quella del tribunale, è competente, per tutti, la Corte d’ assise.

La connessione dei procedimenti incide anche sulla competenza per territorio, in quanto dà vita, anche qui, alla cognizione di un unico giudice, individuato dall’ art. 16 c.p.p. nel giudice del luogo nel quale è stato commesso il reato più grave; se i reati sono di pari gravità, competente sarà il giudice del luogo nel quale è stato commesso il primo reato. Qualora, però, da più condotte poste in essere in luoghi diversi da più soggetti (in concorso, in cooperazione o con azioni indipendenti) sia derivata la morte di una persona, la competenza viene attribuita al giudice del luogo in cui si è verificato l’ evento (si pensi, ad es., all’ omicidio commissionato a Bologna dal mandante, eseguito dal killer utilizzando un potente veleno sottratto in un laboratorio a Roma, con evento-morte verificatosi nell’ ospedale di Palermo: in tal caso, la competenza dovrà essere devoluta, per tutti i reati, alla Corte d’ assise di Palermo).

La connessione dei procedimenti esplica, infine, particolari effetti anche sulla competenza di organi appartenenti a giurisdizioni diverse, comune e speciale: ai sensi, infatti, dell’ art. 13 c.p.p., se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice comune ed altri a quella della Corte costituzionale, competente, per tutti, sarà quest’ ultima; viceversa, se i procedimenti riguardano reati di competenza dell’ autorità giudiziaria comune e reati di competenza dell’ autorità giudiziaria militare, la connessione opera soltanto se i reati comuni sono più gravi dei reati militari e la competenza viene attribuita, per tutti i reati, al giudice comune.

Riunione e separazione di processi

Mentre la connessione presuppone una pluralità di giudici, tutti astrattamente competenti a conoscere di diversi processi legati tra loro da particolari vincoli, requisito per la riunione, invece, è che diversi processi appartengono alla competenza dello stesso giudice, il quale, per esigenze di economia processuale, può disporne (con ordinanza) la trattazione congiunta (a patto, però, che gli stessi siano pendenti nello stesso stato e grado).

La riunione di processi (art. 17 c.p.p.) opera:

• in tutti i casi in cui opera la connessione;

• nei casi di reati, sempre di competenza dello stesso giudice, commessi da più soggetti in danno reciproco gli uni degli altri;

• nei casi in cui la prova riguardante un reato finisca per influire sulla prova riguardante un altro reato, sempre di competenza dello stesso giudice.

Speculare rispetto alla riunione è, invece, la separazione di processi (art. 18 c.p.p.); quest’ ultima potrà essere disposta (sempre con ordinanza):

• quando la posizione di alcuni imputati è in grado di essere decisa, mentre per gli altri occorre procedere all’ acquisizione di ulteriori informazioni o al compimento di ulteriori attività;

• quando vi è un caso di legittimo impedimento a comparire in dibattimento di un imputato o del suo difensore (ad es. per malattia);

• quando nei confronti di uno o più imputati è stata ordinata la sospensione del procedimento.

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