I principi giuridici sui quali si reggono i servizi pubblici hanno subìto un radicale mutamento a seguito dell’ intervento del diritto comunitario. Le linee essenziali di questo sistema sono le seguenti.
• Nel Trattato di Roma non si fa menzione del servizio pubblico, se non all’ art. 73, ove si fa rifermento al settore dei trasporti, e all’ art. 86, ove si parla di servizi di interesse economico generale (nozione corrispondente a quella di servizio pubblico economico, ex art. 43 Cost.). Come si può notare, restano fuori dalla previsione i servizi sociali, riguardo ai quali ogni Stato ha mantenuto le proprie competenze (va detto, però, che i princìpi in tema di servizi economici tendono oggi ad estendere la loro efficacia anche nell’ ambito dei servizi sociali).
• L’ art. 86 del Trattato stabilisce che i servizi di interesse economico generale devono essere prestati da imprese; da questo punto di vista, il dettato comunitario ricalca il regime delineato dall’ art. 43 Cost.; ma a differenza del regime che è prevalso in Italia sino ad una decina di anni addietro, le imprese che forniscono servizi di interesse economico generale sono soggette alle regole della concorrenza, come qualunque altra impresa che produce servizi.
• Le regole della concorrenza, tuttavia, non sono applicabili qualora sussista il pericolo che la loro osservanza possa pregiudicare la missione affidata alle imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale. Ciascun servizio, infatti, ha una missione sua propria: ad es., distribuire la corrispondenza, trasportare i viaggiatori da un luogo all’ altro, consentire alla gente di comunicare a distanza, etc.; vi è, però, anche una missione comune a tutti: la missione, cioè, di assicurare un minimo di servizi di una qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti (a prescindere dalla loro ubicazione geografica) ed offerti ad un prezzo abbordabile. È in tal senso che si parla del cd. principio di eguaglianza nella fruizione del pubblico servizio (principio elaborato dalla dottrina francese e penetrato, poi, nel diritto comunitario). Ovviamente, si tratta di un principio che non sempre si concilia con la logica del mercato e della concorrenza: nessun imprenditore, ad es., sarebbe disposto a distribuire la posta nei paesini di alta montagna, difficilmente accessibili e con popolazione rada (o lo farebbe facendo pagare il servizio a prezzi esorbitanti, allo scopo di coprire i costi elevati, e a condizioni disagevoli per l’ utenza). È per tal motivo che in questi casi si rende necessario l’ intervento dei pubblici poteri: i soli che, infatti, possono obbligare le imprese che gestiscono il servizio a raggiungere anche quel tipo di utenti ad un prezzo per loro accessibile.
• L’ accesso degli utenti al servizio in condizioni di eguaglianza costituisce uno degli elementi fondamentali per il miglioramento del tenore e della qualità di vita, nonché per la coesione economica e sociale (si tratta di due degli obiettivi principali che l’ art. 2 del Trattato assegna alla Comunità). Esso, però, pone due problemi.
Il primo riguarda la misura del servizio da rendere accessibile a tutti; a tal riguardo, il diritto europeo ha isolato, all’interno di ogni servizio di interesse economico generale, un ambito più ristretto: il cd. servizio universale. Ora, che cosa debba intendersi per servizio universale ce lo dice la Corte di Giustizia CE (causa Corbeau, 1993), la quale, con riferimento al servizio postale, ha stabilito che coincide con il servizio universale la raccolta, il trasporto e la distribuzione della corrispondenza ordinaria, a favore di tutti gli utenti, su tutto il territorio dello Stato, a tariffe uniformi e a condizioni di qualità simili. Esula, viceversa, dal servizio universale un servizio di posta espressa, con raccolta a domicilio, possibilità di modificare la destinazione durante l’ inoltro e recapito in giornata. Ne consegue, pertanto, che il monopolio legale si giustifica soltanto per il servizio universale, ossia per quel complesso elementare che va assicurato a tutti, ma non per il valore aggiunto (ossia per quei servizi che esulano da quel complesso elementare).
Il secondo problema è quello dei costi: se, infatti, il servizio universale deve essere garantito ad un prezzo abbordabile per tutti, esso finisce, almeno in parte, per essere fornito sotto costo (da qui l’ esigenza di coprire la differenza tra costi e ricavi). A tal riguardo, va detto comunque che il diritto europeo lascia liberi gli Stati membri dell’ Unione di decidere come finanziare i servizi di interesse economico generale; le principali soluzioni adottate sono le seguenti: il sostegno finanziario diretto (attraverso le risorse del bilancio), la riserva del diritto di svolgere il servizio a due o più imprese (diritto speciale) o ad una sola (diritto esclusivo), i contributi degli operatori di mercato e il finanziamento basato su princìpi di solidarietà.
• La libertà degli Stati nella scelta delle modalità di finanziamento del servizio universale trova, però, un limite nel divieto di aiuti di Stato, ex art. 87 Trattato CE, il quale, infatti, stabilisce che sono incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi dagli Stati che, favorendo talune imprese o produzioni, falsino la concorrenza. È bene precisare, tuttavia, che l’ aiuto di Stato (vietato dal Trattato) non deve essere confuso con la compensazione finanziaria, che rappresenta soltanto la contropartita di obblighi di servizio pubblico imposti dagli Stati membri (e che è ammessa dal diritto europeo). In questa prospettiva, la Corte di Giustizia, in una pronuncia del 2003 (causa Altmark), ha indicato le quattro condizioni affinché la compensazione non si trasformi in aiuto di Stato:
• in primo luogo, l’ impresa beneficiaria deve essere effettivamente incaricata dell’ assolvimento degli obblighi di servizio pubblico;
• in secondo luogo, i parametri in base ai quali verrà calcolata la compensazione devono essere predeterminati in modo obiettivo;
• in terzo luogo, la compensazione deve essere idonea a coprire tutti o parte dei costi originati dall’ adempimento dell’ obbligo di servizio pubblico;
• infine, l’ impresa incaricata dell’ assolvimento degli obblighi di servizio deve essere scelta con una gara di appalti pubblici.
• La dottrina francese ha sempre indicato (tra le regole del servizio pubblico) il cd. principio di continuità, in virtù del quale il servizio pubblico non tollera interruzioni; del resto, occorre osservare che nel nostro ordinamento l’ interruzione di un servizio pubblico è considerato un delitto (art. 331 c.p.). Il principio in esame (e lo stesso fatto che il nostro codice penale qualifichi come delitto l’ interruzione di un pubblico servizio) ha un solido fondamento e un’ importanza particolare. Infatti, è necessario sottolineare che, poiché la libertà di impresa include anche la libertà di cessazione dell’ attività imprenditoriale (e comporta, quindi, il rischio che un servizio di interesse generale cessi dall’ oggi al domani), occorrono degli strumenti per impedire che ciò avvenga; il principale di questi, nel diritto comunitario, è costituito dagli obblighi di servizio: l’ incarico della gestione di un servizio di interesse generale viene, cioè, conferito dai pubblici poteri ad una o più imprese, le quali si obbligano a rendere il servizio ad un determinato prezzo e per una durata prestabilita, ricevendo, a loro volta, una compensazione degli obblighi di servizio.
• La soggezione alle regole della concorrenza presuppone che per ogni servizio di interesse economico generale vi siano più imprese in lizza (e, ovviamente, che la loro non sia una cerchia chiusa); in realtà, è sufficiente questa osservazione per accorgersi di quanto sia distante da questo quadro la situazione dei servizi pubblici in Italia. Di recente, però, in seguito ad alcune direttive emanate dalla Commissione europea, riguardanti settori fondamentali (poste, ferrovie, telecomunicazioni, trasporto aereo e marittimo), il nostro Paese è stato costretto ad aprire alla concorrenza la gestione dei servizi pubblici (cd. liberalizzazione).