Il responsabile del procedimento

Allo scopo di cucire le varie fasi del procedimento, la L. 241/90 ha istituito la figura del responsabile del procedimento (che viene individuato dal dirigente dell’ unità organizzativa cui il procedimento fa capo; e, fino a quando non compie tale operazione, è lui il responsabile).

Il primo atto che il responsabile deve porre in essere è comunicare agli interessati l’ avvio del procedimento; tale atto deve essere accompagnato dall’ indicazione del proprio nominativo, in modo che l’ interessato conosca l’ identità della persona alla quale rivolgersi per ricevere informazioni o per sollecitare la conclusione del procedimento.

Il responsabile del procedimento dirige la fase istruttoria, ponendo in essere gli atti di sua competenza o sollecitando l’ adozione degli accertamenti o delle ispezioni degli organi tecnici; indìce le conferenze di servizi o ne propone l’ indizione; adotta, ove abbia competenza, il provvedimento finale ovvero trasmette gli atti all’ organo competente perché questi provveda; cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalla legge; è responsabile dell’ osservanza del termine stabilito per la conclusione del procedimento (non può, però, rispondere delle omissioni altrui: ad es., della mancata adozione del provvedimento da parte dell’ organo competente).

Le fasi del procedimento

 L’ iniziativa

La prima fase del procedimento amministrativo è la fase di iniziativa: questa può essere di parte, come nel processo (nel processo civile, ad es., è l’ attore che la esercita; nel processo penale è il pubblico ministero; nel processo amministrativo il ricorrente; nel procedimento amministrativo è colui che fa una richiesta di autorizzazione o di sovvenzione, etc.).

L’ iniziativa, però, può anche essere d’ ufficio, ossia può partire dalla stessa amministrazione che dovrà provvedere (si pensi, ad es., alle pianificazioni urbanistiche e ambientali, ai procedimenti sanzionatori, ai procedimenti espropriativi, etc.).

Un atto fondamentale della fase di iniziativa è costituito dalla comunicazione di avvio del procedimento; questa va fatta: ai futuri destinatari del provvedimento finale, a coloro che, per legge, devono intervenire nel procedimento e a coloro i quali potrebbero ricevere un pregiudizio dall’ adozione del provvedimento.

La comunicazione (dalla quale si può prescindere nei casi di urgenza: ad es., nel caso in cui il responsabile dell’ ufficio tecnico comunale ordini l’ abbattimento di una costruzione pericolante) deve indicare: l’ amministrazione competente, l’ oggetto del procedimento, l’ ufficio responsabile, la persona del responsabile e la data prestabilita per la conclusione del procedimento.

L’ istruttoria

La decisione (cioè, il provvedimento amministrativo) deve essere preceduta da una fase istruttoria, nella quale vanno accertati i presupposti di fatto che, insieme alle concorrenti ragioni giuridiche, giustificano la decisione: ad es., l’ ordine emesso dal comune di demolire opere edilizie realizzate in parziale difformità del permesso di costruire richiede un confronto tra la situazione di fatto, posta in essere dal costruttore, ed il progetto che è stato rilasciato (una verifica del genere potrebbe approdare alla conclusione che nessuna difformità esiste o, all’ opposto, che la difformità è totale, sicché l’ intero manufatto va rimosso, e non soltanto parte di esso).

L’ istruttoria amministrativa, a differenza dell’ istruttoria del processo civile o del processo penale, è retta dal principio inquisitorio: ciò significa che non è sulle parti private che grava l’ onere della prova, ma è l’ amministrazione che deve verificare, d’ ufficio, l’ esistenza dei presupposti del provvedimento (anche se, a tal fine, può giovarsi dell’ apporto degli interessati).

Il protagonista dell’ istruttoria è il responsabile del procedimento: è lui, infatti, che valuta le condizioni di ammissibilità della domanda, i requisiti di legittimazione e i presupposti rilevanti per l’ emanazione del provvedimento; è lui che deve accertare, d’ ufficio, i fatti, adottando le misure necessarie (collaborando con gli interessati, ai quali, ad es., può chiedere il rilascio di dichiarazioni), disponendo accertamenti tecnici e ispezioni ed ordinando l’ esibizione di documenti.

I pareri e le valutazioni tecniche

Tra gli atti tipici della fase istruttoria ci sono i pareri e le valutazioni tecniche. Nella maggior parte dei casi, infatti, la legge ritiene opportuno che la decisione amministrativa sia preceduta da un parere di un organo tecnico, volto ad orientare l’ autorità chiamata a provvedere (ad es., la domanda di permesso di costruire è sottoposta al parare giuridico-tecnico della commissione edilizia comunale).

Quando il contenuto è esclusivamente tecnico (ad es., sanitario, chimico, etc.) si parla, invece, di valutazioni tecniche, le quali hanno la stessa funzione dei pareri, ma in questo caso la capacità di giudicare da parte dell’ organo di amministrazione attiva è nulla.

Il parere e la valutazione tecnica devono essere resi, rispettivamente, entro 45 e 90 gg. dal ricevimento della richiesta (i termini possono essere interrotti una sola volta, attraverso una richiesta istruttoria); scaduto il termine, senza che il parere sia stato comunicato (45 gg.), l’ organo di amministrazione attiva può procedere, prescindendo dal parere stesso: viene meno, cioè, l’ obbligo di attendere il parere ai fini della decisione.

Se, invece, è scaduto infruttuosamente il termine assegnato all’ ufficio chiamato ad esprimere la valutazione tecnica (90 gg.), l’ autorità procedente dovrà rivolgersi ad un altro organo (o ufficio), allo scopo di acquisire tale valutazione.

La distribuzione degli incombenti istruttori

Il responsabile del procedimento (che in questa fase rappresenta l’ amministrazione) accerta, d’ ufficio, i fatti, disponendo il compimento degli atti all’ uopo necessari; ma a questo accertamento può concorrere anche il privato, rendendo, ad es., le dichiarazioni che il responsabile del procedimento gli chiede di rilasciare o presentando memorie scritte e documenti (ciò accade nei procedimenti ad iniziativa di parte: così, ad es., la domanda di permesso di costruire deve essere corredata da un progetto, da un certificato di destinazione urbanistica e dai documenti comprovanti la proprietà).

È necessario sottolineare, però, che la normativa sul procedimento amministrativo ha trasferito sull’ amministrazione una parte degli oneri di documentazione che prima gravavano sul privato (si tratta, in particolare, di documenti che attestano atti, fatti, qualità e stati soggettivi, quali, ad es., la residenza, la condizione di invalido civile, la qualifica di coltivatore diretto, che possono essere acquisiti d’ ufficio, se necessari a fini istruttori, e se sono già in possesso dell’ amministrazione).

I fatti rilevanti nel procedimento amministrativo corrispondono ai fatti rilevanti nel processo civile, ex art. 2697 c.c.: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

A differenza del processo civile, però, nel procedimento amministrativo non vige una regola così rigorosa circa l’ onere della prova, perché, come detto, è l’ amministrazione che, di regola, deve accertare, d’ ufficio, i fatti.

Inoltre, mentre nel processo (civile, penale e amministrativo) i mezzi istruttori sono soltanto quelli previsti dalle leggi processuali (cd. principio di tipicità), nel procedimento amministrativo il responsabile può adottare ogni misura per l’ adeguato svolgimento dell’ istruttoria.

A questo punto, dobbiamo chiederci fino a che punto può spingersi l’ istruttoria; per rispondere a tale quesito può essere utilizzato il metodo suggerito dal Herbert Simon, in virtù del quale si afferma che l’ autorità amministrativa deve cercare di raggiungere un equilibrio tra la quantità di informazioni (cd. completezza dell’ istruttoria) e le esigenze di una decisione (esigenze consacrate a livello costituzionale nel principio del buon andamento dell’ amministrazione): espressione di questo canone è la regola enunciata nell’ art. 1, co. 2 L. 241/90, ai sensi del quale la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento (ad es., ripetendo indagini già fatte o acquisendo pareri non obbligatori), se non per motivate esigenze.

 La conferenza di servizi

Il procedimento amministrativo può coinvolgere non solo un interesse privato e un interesse pubblico, ma anche una pluralità di interessi pubblici (si pensi, ad es., al procedimento di pianificazione urbanistica, che tocca tutti gli interessi pubblici che gravitano sul territorio: ambientali, produttivi, culturali, etc.). In questi casi, l’ amministrazione competente a decidere è tenuta ad acquisire intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso di altre amministrazioni pubbliche (in altri termini, essa non può decidere autonomamente).

Proprio a tale scopo, la legge sul procedimento ha introdotto uno strumento di semplificazione: la conferenza di servizi (L. 241/90; d.l. 78/2010, conv. in L. 122/2010). La legge, in particolare, distingue i casi in cui la conferenza è facoltativa (può essere indetta) da quelli nei quali è, invece, obbligatoria (deve essere indetta); individua, inoltre, chi è competente a convocarla (di solito l’ amministrazione procedente e, per essa, il responsabile del procedimento); e attribuisce al privato interessato la facoltà di chiederne la convocazione.

Le regole comuni possono essere così sintetizzate:

• una volta indetta la conferenza, la prima riunione deve essere tenuta nei 15 gg. successivi (o nei 30 gg. successivi, qualora il procedimento sia particolarmente complesso);

• i lavori della conferenza non possono durare più di 90 gg. (prorogabili fino a 90 gg., nel caso in cui venga richiesta la valutazione di impatto ambientale);

• alla conferenza sono convocati coloro che propongono il progetto dedotto in conferenza;

• conclusa la conferenza (o scaduto il termine), l’ amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento;

• il provvedimento finale (che deve conformarsi alla determinazione di cui sopra) sostituisce, a tutti gli effetti, le autorizzazioni, le concessioni, i nulla osta o gli altri atti di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte nella conferenza;

• anche se i lavori della conferenza sono retti dal principio maggioritario, i partecipanti non possono limitarsi ad esprimere un voto (un sì o un no); infatti, il dissenso (ma anche il consenso) di una o più amministrazioni coinvolte, deve essere motivato e manifestato nella conferenza di servizi (non al di fuori di essa) e deve recare anche le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali che l’ organo partecipante alla conferenza ritiene necessarie affinché possa rilasciare il suo assenso;

• una deroga al principio maggioritario è prevista, però, qualora il motivato dissenso provenga da un’ amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale ovvero alla tutela del patrimonio storico-artistico, della salute e della pubblica incolumità; in questi casi, in ragione della rilevanza degli interessi in gioco, la competenza viene trasferita all’ organo politico: e, cioè, al Consiglio dei ministri, se il dissenso è tra amministrazioni dello Stato; alla conferenza Stato-regioni, se il dissenso è tra Stato e regione; alla conferenza unificata, se il dissenso è tra regione ed ente locale (l’ organo incaricato di risolvere il conflitto è chiamato a decidere entro 30 gg., prorogabili fino a 60 gg. quando l’ istruttoria è particolarmente complessa).

La partecipazione del privato

Il procedimento è il luogo nel quale il privato fa sentire la sua voce non solo a tutela del suo interesse ad impedire una misura amministrativa a lui sfavorevole ovvero del suo interesse a conseguire un provvedimento favorevole, ma anche in funzione di una decisione amministrativa giusta (che tenga conto, cioè, dell’ interesse del privato).

La prima esigenza che deve essere soddisfatta è quella di informare il privato interessato del fatto che è stato avviato un procedimento che lo riguarda [e ciò avviene mediante la comunicazione dell’ avvio del procedimento (questa esigenza risulta particolarmente avvertita nei procedimenti ad iniziativa d’ ufficio: si pensi, ad es., ad un provvedimento espropriativo o sanzionatorio)]. Ma, in realtà, anche nei procedimenti ad iniziativa di parte (ad es., richiesta di autorizzazione, concessione, etc.) può prospettarsi la necessità di una informazione nei riguardi di coloro che potrebbero ricevere un danno (diversi dal privato interessato). Grazie alla comunicazione dell’ avvio del procedimento l’ interessato può intervenire nel procedimento, prendere visione degli atti e presentare memorie e documenti; è necessario sottolineare, però, che possono intervenire nel procedimento anche: l’ interessato che non abbia avuto comunicazione dell’ avvio del procedimento (ma ne abbia appurato l’ esistenza aliunde), i soggetti che dal provvedimento potrebbero ricevere un danno ed infine i portatori di interessi diffusi, costituiti in associazioni (ad es., le associazioni ambientalistiche).

Le memorie e i documenti depositati obbligano l’ amministrazione a valutarli e a prendere posizione su di essi; fatto ciò, qualora essa ritenga di rigettare le argomentazioni e le richieste contenute nelle memorie e di non tener conto dei documenti presentati, deve enunciare le ragioni del suo convincimento.

Prima che venga adottato un provvedimento che rigetta un’ istanza di parte, il responsabile del procedimento comunica all’ interessato i motivi che ostano all’ accoglimento dell’ istanza; in questo caso, l’ interessato, nei 10 gg. successivi, può presentare per iscritto le sue osservazioni e depositare eventuali documenti. Se non accoglie le osservazioni dell’ interessato l’ amministrazione ne deve dar ragione nella motivazione del provvedimento finale.

L’ accesso ai documenti

Perché possa far valere le sue ragioni nel procedimento amministrativo, il privato non solo deve essere informato della pendenza del procedimento e del suo oggetto, ma deve anche conoscere i documenti sulla base dei quali l’ amministrazione agisce. Questa conoscenza, in passato, era resa difficile a causa della sussistenza del segreto d’ ufficio, al quale era tenuto il pubblico impiegato, in virtù dell’ art. 15 D.P.R. 3/57 (statuto degli impiegati civili dello Stato); il principio di segretezza, però, è stato sostituito oggi dal principio di trasparenza, enunciato dall’ art. 1 L. 241/90.

In questa prospettiva, legittimati all’ accesso sono i privati, inclusi i portatori di interessi pubblici o diffusi (ad es., le organizzazioni sindacali) che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento.

Oggetto dell’ accesso sono i documenti amministrativi (anche interni e non relativi ad uno specifico provvedimento), indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della disciplina sostanziale: in altri termini, chi ha un interesse può accedere anche ad una lettera di intenti, ad una proposta contrattuale fatta dalla P.A. o ad un contratto di lavoro.

Tra i documenti ai quali si può accedere vi sono, poi, anche quelli che non riguardano uno specifico procedimento: l’ interessato, infatti, potrebbe avere interesse ad acquisire copia di un provvedimento, in relazione ad un processo civile, penale o amministrativo (ad es., la certificazione di una missione in un certo luogo, compiuta da un impiegato, da utilizzare come alibi in un processo penale a suo carico).

Il diritto di accesso può essere esercitato mediante il semplice esame del documento ovvero con l’ estrazione di copia (copia può anche essere la riproduzione di un filmato o di una registrazione fonografica).

È necessario sottolineare, però, che il diritto di accesso è escluso in determinati casi stabiliti dalla legge (art. 24, co. 1 L. 241/90): si tratta, in particolare, dei documenti coperti dal segreto di Stato e di quelli che contengono informazioni di carattere psico-attitudinale relative ai terzi.

È poi prevista la facoltà del Governo di sottrarre all’ accesso, mediante regolamento, alcune specie di documenti (art. 24, co. 6 L. 241/90): si tratta di documenti, la cui divulgazione possa produrre una lesione alla sicurezza e alla difesa nazionale ovvero possa pregiudicare la formazione e l’ attuazione della politica monetaria e valutaria ovvero, ancora, nuocere alle ragioni di ordine pubblico, ostacolare la lotta alla criminalità o pregiudicare l’ attività di polizia giudiziaria.

Il diritto di accesso può anche confliggere con la tutela e la riservatezza altrui: sono, pertanto, esclusi dall’ accesso i documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di persone (fisiche e giuridiche), gruppi, imprese e associazioni; ciò significa, quindi, che il diritto alla riservatezza del terzo prevale sul diritto di accesso (quando, però, l’ accesso ai documenti è necessario al privato per curare o per difendere i propri interessi giuridici, è il diritto di accesso che deve essere tutelato ed avere preminenza).

L’ amministrazione può, in ogni caso, rifiutare l’ accesso ai documenti quando l’ istante non è legittimato o la sua domanda non è motivata ovvero ancora quando il documento rientra tra quelli esclusi dall’ accesso; contro il rifiuto dell’ amministrazione, tuttavia, l’ interessato può proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale (Tar) entro 30 gg. (se accoglie il ricorso, che deve essere deciso in camera di consiglio entro 30 gg. dalla scadenza del termine per il deposito della richiesta, il Tar ordina all’ amministrazione l’ esibizione dei documenti richiesti).

Per quel che riguarda, infine, la natura che il diritto di accesso assume, parte della giurisprudenza nega che si tratti di un diritto soggettivo, qualificando l’ istituto come interesse legittimo; altra parte della giurisprudenza, invece, ritiene che ci si trovi in presenza di un vero e proprio diritto soggettivo (e ciò troverebbe conferma nel dato letterale, ex art. 22 L. 241/90, che qualifica, infatti, l’ accesso come diritto).

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