Excursus storico. Nel periodo preunitario esisteva una netta demarcazione tra sistema di tutela previsto per le imposte dirette e quello previsto per le imposte indirette: questa distinzione trovava la sua probabile ragione per la peculiarità dell’oggetto della lite fiscale: nei tributi indiretti la facilità di distinzione delle questioni di diritto (an) dalle questioni tecniche di stima (quantum) consentiva di devolvere al giudice ordinario la piena cognizione delle controversie (pur posticipandola ad una prima fase di natura tecnico-amministrativa), mentre nei tributi diretti la connessione tra presupposto e base imponibile unita all’enorme prevalenza delle contestazioni in ordine a valutazioni del fatto pertinenti la funzione amministrativa di accertamento, rendeva impossibile devolvere queste questione “di semplice estimazione” al giudice ordinario.

Dopo l’Unità d’Italia, la l.1830/1864 introdusse l’imposta sui redditi di ricchezza mobile, attribuendo alle istituite “Commissioni tributarie” evidenti connotazioni di amministrazione attiva nella ripartizione del carico tributario localmente stabilito. La 1° regolamentazione di tale tributo diretto prevedeva un sistema cosiddetto ”a contingente” in cui le Commissioni di prima istanza (comunali o consorziali) dopo aver pubblicato gli elenchi forniti dall’agente e dopo aver esaminato eventuali osservazioni dei contribuenti, “accertavano i redditi” con deliberazioni soggette a reclamo dinnanzi a Commissione provinciale. La legge però rimaneva silente circa l’attività giudiziaria. Intervenne in questo senso la l.2248/1865 (quella che abrogava contenzioso amministrativo) che stabilì implicitamente che tutte le controversie in materia di imposte dirette (quindi anche di imposta di ricchezza mobile) fossero conosciute dal giudice ordinario. Ora questa legge però manteneva il sistema delle Commissioni, tuttavia prevedeva che l’azione giudiziaria in materia d’imposte dirette potesse esser proposta solo a seguito della formazione del ruolo d0imposta e del pagamento delle imposte in esso iscritte (la regola del cosiddetto “solve et repete”), restando escluse comunque dalla giurisdizione ordinaria le controversie di semplice estimazione. Successivamente, con la l.3021/1866 ci fu la sostituzione del metodo del “contingente” con quello della “quotità” (con cui si trasferisce all’agente la fase di accertamento del tributo e la formazione del ruolo, nonché l’introduzione di un 3° grado di giudizio, limitato però alle sole questioni concernenti l’applicazione della legge). Tuttavia solo con la l.3719/1867 si introdusse la possibilità del successivo ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria, anche qui escludendo le controversie attinenti la semplice estimazione del reddito. In pratica fino alla riforma tributaria del 1972 il sistema che sorse con la 1° legge sull’imposta di ricchezza mobile, posponeva la tutela civile (strutturata in 3 gradi) a quella speciale (articolata con Commissioni, comunali o mandamentali, provinciali e Centrale. Ma solo le Commissioni di 1° e 2° istanza potevano addentrarsi nelle questioni relative all’estimazione del reddito). Ora il complesso dei mutamenti intervenuti, come ad esempio l’indicato limite oggettivo al giudizio ordinario, condusse dottrina e giurisprudenza a rifiutare il precedente inquadramento amministrativo delle Commissioni e a classificarle tra le “giurisdizioni speciali amministrative”: tuttavia la composizione dei collegi e l’incisività dei “potere di accertamento” loro conferiti, indussero a ritenere invece che queste conclusioni non fossero per nulla pacifiche. Le Commissioni in seguito apliarono la loro area di influenza: all’imposta sui fabbricati (1889), all’imposta complementare sui redditi (1925),all’imposta indiretta sui trasferimenti della ricchezza (1936).

Negli anni 1936-1937 vennero introdotte norme recanti il riordino delle Commissioni tributarie e la riforma del relativo procedimento. Queste modificazioni hanno dato maggior compiutezza al diritto processuale tributario. Da un lato vennero recepite dal processo civile fondamentali regole attinenti la formazione della pronuncia, il contraddittorio, l’uso delle prove, il giudizio d’appello, la revocazione; d’altro lato per la nomina dei componenti fu abbandonato il principio elettivo e fu mantenuta la facoltà della Commissione di 1° istanza di elevare gli accertamenti eseguiti dagli uffici ( o concordati col contribuente) di complesso inquadramento sistematico. Quindi le Commissioni divenivano sempre più organi giurisdizionali, ma d’altra parte continuavano ad essere organi burocratico-corporativi vicini all’amministrazione.

Con l’avvento della Costituzione, la previgente normativa mal si conciliava sia con la statuita necessità dell’indipendenza dei giudici appartenenti alle giurisdizioni speciali (108 cos)sia con la prevista tutela in sede giurisdizionale verso gli atti della P.A. (113cos). In tale ottica, mentre il 102cos pose il divieto di istituire nuovi giudici speciali, la VI disposizione transitoria decretò che entro 5 anni dall’entrata in vigore della Cos, la legge avrebbe dovuto provvedere a revisionare gli organi di giurisdizione speciale esistenti alla data di entrata in vigore della Costituzione , diversi da Consiglio di Stato, Corte dei Conti, tribunali militari. Si erano studiati tanti progetti, ma la legge si occupò solo della legge delega di riforma tributaria: la l.825/1971 conferì al Governo il compito di procedere alla revisione delle Commissioni tributarie con criteri che esaltassero autonomia dei componenti, garantendo autonomia del giudizio, escludendo le questioni di estimazione dalla cognizione del giudice ordinario. Quindi natura giurisdizionale delle Commissioni.

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