Nel costituzionalismo democratico contemporaneo si ripropone l’alternativa tra due configurazioni della rappresentanza vista alla luce del principio pluralistico, che presuppone una visione della società fondata sull’ineliminabilità del conflitto, e del principio democratico che richiede la stabilizzazione del patto costituente.
Il dilemma di fondo che si pone alle democrazie pluralistiche è il seguente: optare per una parcellizzazione dei centri di potere, oppure ricercare una tavola di valori comuni, di congegni atti a tradurre il pluralismo sociale in unità politica.
Si sviluppa infatti l’esigenza di assicurare insieme ad una sovranità articolata, un obiettivo di unificazione intorno ad un nucleo di valori fondamentali.
In sostanza il pluralismo sociale dev’essere garantito al massimo grado, ma dev’essere in qualche modo anche organizzato. L’inscindibilità della rappresentanza dall’organizzazione del pluralismo sociale fu avvertita dai giuristi weimariani:
Herman Heller ha affermato l’esigenza di unificazione della volontà popolare e ciò si compie grazie anche alle istanze rappresentative.
Rudolf Smend ha affermato che la funzione della rappresentanza è anche quella di esprimere la volontà popolare mediante un processo di integrazione che punti a tradurre il pluralismo in unità.
Per entrambi quindi la rappresentanza può trascendere il mero rispecchiamento di interessi popolari. Queste posizioni avrebbero aperto la strada a visioni dinamiche del processo rappresentativo visto come un risultato continuamente costituito e dialetticamente rinnovato.
L’impatto dell’ascesa dei partiti sullo schema tradizionale della rappresentanza pose alcuni interrogativi di fondo:
1. una democrazia pluralistica che riconosce nei pariti i soggetti principali del processo politico può continuare ad utilizzare lo schema della rappresentanza?
2. La rappresentanza fornisce ancora un’intelaiatura idonea entro la quale inquadrare i processi di organizzazione del pluralismo?
La risposta di Carl Schmitt non poteva essere più drastica. Muove una critica aspra alla crisi epocale determinata dall’abbandono dell’idea di una trascendenza del potere sovrano rispetto all’immediatezza delle divisioni della società. Lo stato pluralistico segnava la fine dell’identificazione tra politico e statale. L’analisi schmittiana coinvolgeva in pieno il ruolo del partito, lungi dal porsi come perno di un sistema fondato sulla rappresentanza.