La costituzione in senso materiale
Emblematici sono gli itinerari della riflessione della dottrina costituzionalistica sviluppatesi nella prima metà del XX secolo sulla scia dell’affermarsi dei partiti di massa organizzati. Assai significativa è la riflessione di Costantino Mortati che negli anni trenta elaborò la dottrina della costituzione materiale incentrata sul ruolo dei partiti nella società di massa. Secondo Mortati il partito è divenuto l’elemento attivo dell’istituzione, necessario perché questa assuma una forma politica, è il soggetto da cui emana la costituzione fondamentale ed è elemento strutturale di questa. Il partito conferisce all’assetto costituzionale la necessaria omogeneità politica.
Il legame tra costituzione materiale e forze politiche dominanti carica il concetto di partito di una spiccata attitudine unificante. Nella visione di Mortati il partito esprime la stabilizzazione di rapporti di sovra e sottordinazione e l’emersione di forze politiche dominanti. I partiti assicurano la dialettica del parlamentarismo. Il multipartitismo è il fulcro della costituzione materiale. L’inserimento dei partiti nel circuito rappresentativo consente alle forze politiche della maggioranza di essere partecipi della direzione politica dello stato. Il principio maggioritario è dunque nucleo essenziale del principio della sovranità popolare.
Democrazia di partiti e stato di partiti
A partire dagli anni Cinquanta del XX secolo Leibholz sviluppò una tesi secondo la quale lo stato democratico si manifesta come stato di partiti, poiché strutturato su una relazione di tipo identitario o plebiscitario tra popolo, partiti ed organi di direzione politica dello stato. Secondo Leibholz gli ordinamenti democratici, grazie all’influenza dei partiti su tutte le fasi del processo politico, configurano il rapporto tra popolo e stato come nesso di identificazione. Lo stato di partiti fondato sul principio di identità, viene definito come forma razionalizzata della democrazia plebiscitaria. In esso la volonté générale si forma attraverso i partiti, grazie ai quali i cittadini sono divenuti politicamente attivi e la volontà politica si identifica con la volontà del popolo.
Finisce per crearsi un rapporto di identificazione anche tra società e stato.
Ma tale tesi è stata criticata: il popolo si presenta in ogni caso unificato organicamente dai partiti. Inoltre letture identitarie del rapporto stato-società sono in antitesi con il principio pluralistico e in contraddizione con equilibri di una democrazia attenta ai contropoteri. Ad essa infatti sembra più congeniale lo schema della rappresentatività perché introduce la mediazione del tessuto pluralistico. La critica maggiore ha quindi sostenuto che la volontà popolare deve essere il risultato di un confronto dialettico ed aperto.
Il partito tra componenti rappresentative e componenti plebiscitarie
Negli anni Cinquanta del XX secolo Ernst Frankel ha suggerito una tipologia degli ordinamenti democratici basati sul dosaggio tra componenti rappresentative e componenti plebiscitarie. Secondo questa ricostruzione:
– “sistema rappresentativo” → muove dall’assunto che l’interesse generale è definito a posteriori come risultato di un procedimento dialettico
– “sistema plebiscitario” → prende invece le mosse dalla tacita premessa di una volontà popolare unitaria di cui a priori si suppone sia identica all’interesse collettivo.
Mentre il sistema rappresentativo si sforza di assicurare alle minoranze un massimo di sicurezza giuridica e di possibilità di influenza, basandosi sull’idea di una società differenziata, al contrario il sistema plebiscitario ravvisa nelle minoranze e negli interessi minoritari fattori di disturbo perché minano la creazione di una volontà unitaria e quindi essi devono essere eliminati o neutralizzati.
Frankel concepisce i partiti come soggetti del pluralismo con il compito di armonizzare la componente plebiscitaria con quella rappresentativa nelle democrazie.