Strumento fondamentale per la costruzione dello Stato francese fu la progressiva estensione della giurisdizione regia rispetto alle giustizia concorrenti:  le giustizia signorili, feudali, ecclesiastiche, comunali, corporative.

In sede locale, i re di Francia, a cominciare da Filippo Augusto, adottarono l’istituto dei balivi, già in vigore nella Normandia dei Plantageneti; si trattava di uomini di corte, inviati in missione con delega a decidere in nome del re.  Nell’arco di circa trent’anni, dal 1230 al 1260, i balivi passarono dal ruolo di commissari itineranti a quello di agenti locali dell’amministrazione regia.  Il territorio fu suddiviso in bailliages, ciascuno dei quali aveva a capo un balivo: la carica feudale dei senescalchi, già trasformata dai Plantageneti per amministrare talune province dei loro domini, venne utilizzata allo stesso fine dal re di Francia, ormai subentrato in tali territori.

Le competenze dei balivi e dei senescalchi rimasero per circa un secolo notevolmente ampie.  Ciascuno di loro rappresentava il re all’interno della propria circoscrizione territoriale. Funzioni amministrative si accompagnavano a poteri militari di arruolamento e di guardia dei luoghi fortificati, a compiti di finanza, infine a competenze giudiziarie che andarono crescendo nel tempo.  Rispetto alle giustizie signorili, la giurisdizione regia dei balivi e dei senescalchi si presentava come più moderna e affidabile, anche perché spesso esercitata da giuristi di professione.

Nel corso del secolo XIII. si ammise la possibilità di un ricorso diretto, in prima istanza, ai giudici regi per talune categorie di cause penali e civili.  Si riservarono ai balivi i cosiddetti «casi regi», concernenti beni o prerogative riconducibili alla monarchia.  Sul modello del diritto canonico, si estese ad ogni specie di causa civile la possibilità dell’appello dai giudici signorili ai giudici del re.

le qualità che il balivo avrebbe dovuto possedere:  saggezza, amor di Dio, bontà, capacità di ascoltare, conoscenza degli uomini, fermezza.

Una analoga vicenda contrappose vittoriosamente la giustizia regia alle giurisdizioni ecclesiastiche: fra il Trecento e il Quattrocento, la monarchia francese riuscì a limitare la portata del privilegio del foro della Chiesa, che riservava ai giudici ecclesiastici la giurisdizione su tutte le cause in cui fosse implicato un chierico.  La giustizia regia aumentò sensibilmente le proprie competenze giurisdizionali nei confronti degli ecclesiastici: come era accaduto con le giustizia signorili, anche su questo terreno i giudici del re ottennero la competenza a conoscere e a decidere cause già riservate ai giudici ecclesiastici.

Nel primo Trecento (gli anni di Filippo il Bello) la monarchia ottenne che i propri giudici intervenissero nelle cause di eresia e nei procedimenti d’inquisizione. Qualche decennio più tardi, per opera dei giuristi al servizio del re si affermò, nei riguardi della giurisdizione ecclesiastica, la teoria dei casi privilegiati, che venivano riservati alla giustizia regia: così, ad esempio, in materia di lesa maestà o di falsa moneta. Anche le azioni possessorie spettavano ormai alla giurisdizione del re. Le cause matrimoniali in senso stretto, concernenti l’esistenza del vincolo coniugale, rimasero naturalmente di pertinenza del diritto canonico; ma la giurisdizione sulle cause connesse col vincolo matrimoniale, in particolare quelle riguardanti i rapporti patrimoniali tra coniugi, fu rivendicata con successo dalla giustizia del re.

Infine, intorno alla metà del Quattrocento si affermò l’istituto dell’appello per abuso  con il quale divenne possibile far annullare una sentenza Ecclesiastica ritenuta ingiusta facendo ricorso al Parlamento o al Consiglio del re.

Lascia un commento